Mamme Thyssen: "Conte porterà la nostra lettera alla Merkel, ma il riesame è difficile"
I familiari delle vittime del rogo della Thyssen hanno incontrato a Palazzo Chigi il presidente del Consiglio e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede per chiedere una revisione del processo e delle pene
"Il premier Giuseppe Conte ci ha consigliato di scrivere una lettera che porterà alla Merkel quando la incontrerà nelle prossime settimane". I familiari delle vittime del rogo della Thyssen hanno incontrato il presidente del Consiglio e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede a Palazzo Chigi per chiedere una revisione del processo e delle pene, ipotesi questa molto difficile da realizzare.
"E' stato un incontro fattivo, ma quello che volevamo non lo potremo avere. Il riesame del processo, come avevamo chiesto, sarà un pò difficile. Apprezziamo la vicinanza di Conte e Bonafede, ma è incredibile che l'Italia non abbia ancora la documentazione relativa alla concessione della semilibertà ai due manager tedeschi della ThysenKrupp, Espenhahn e Priegnitz. Auspichiamo la rapida convocazione dell'ambasciatore tedesco e valutiamo tutti i possibili interventi, come l'apertura di una procedura di infrazione nei confronti della Germania", riferiscono i familiari delle vittime.
L'incontro col premier Conte e il ministro Bonafede era stato chiesto dai familiari dopo la notizia, la scorsa settimana, che i manager tedeschi Harold Espenhahn e Gerald Priegnitz, condannati in Italia, hanno ottenuto la semilibertà in Germania prima ancora di entrare in carcere. Insieme ai familiari, otto persone tra mamme e sorelle degli operai morti nel rogo, c'è anche Massimiliano Quirico di Sicurezza e Lavoro e all'incontro a Palazzo Chigi ha partecipato anche la sindaca di Torino, Chiara Appendino.
Thyssen: dalla tragedia del 2007 alle scarcerazioni
La notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007, allo stabilimento Thyssen di Torino, un getto d'olio bollente, incendiandosi, investe otto operai. Sette muoiono nel giro di un mese, uno solo riesce a salvarsi. Il fascicolo d'inchiesta a Torino viene affidato al pubblico ministero Raffaele Guariniello e la vicenda penale ha inizio nel 2008. L'amministratore delegato Herald Espenhahn è accusato di omicidio volontario con dolo eventuale e incendio doloso (dolo eventuale), altri cinque dirigenti di omicidio colposo e incendio colposo (con l'aggravante della previsione dell'evento). Viene, inoltre, contestata l'omissione dolosa dei sistemi di prevenzione antincendio e antinfortunistici.
Il 1 luglio 2008 i familiari delle sette vittime trovano un accordo con l'azienda per il risarcimento del danno, ricevendo una somma complessiva pari a 12.970.000 euro e rinunciando di fatto al diritto di costituirsi parte civile durante il processo.
Il 15 aprile 2011 arrivano le prime condanne: la Corte d'assise di Torino conferma i capi d'imputazione a carico dell'ad Herald Espenhahn, condannandolo a 16 anni e 6 mesi di reclusione. Altri cinque manager dell'azienda (Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Daniele Moroni, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri) vengono condannati a pene che vanno da 10 anni e 10 mesi a 13 anni e 6 mesi.
Il 28 febbraio 2013 la Corte d'assise d'appello modifica il giudizio di primo grado, non riconoscendo l'omicidio volontario, ma l'omicidio colposo, e riducendo le pene ai manager dell'azienda: 10 anni a Herald Espenhahn, 7 anni per Gerald Priegnitz e Marco Pucci, 8 anni per Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, 9 per Daniele Moroni.
Nella notte del 24 aprile 2014 la Cassazione conferma le colpe per i sei imputati e per l'azienda, ma dispone un nuovo processo d'appello per ridefinire le pene. Il 29 maggio 2015 l'appello bis riduce le condanne: per Espenhahn la pena scende da 10 a 9 anni e 8 mesi, 6 anni e 10 mesi per i dirigenti Marco Pucci e Gerald Priegnitz, 7 anni e mezzo per il responsabile di Terni Daniele Moroni e per l'ex direttore dello stabilimento, Raffaele Salerno, 6 anni e otto mesi per il responsabile della sicurezza Cosimo Cafueri.
Il 22 febbraio 2019 la Cassazione conferma le condanne per i sei dirigenti e nel novembre dello stesso anno la Corte europea dei Diritti dell'uomo accoglie la richiesta presentata dai familiari e da Antonio Boccuzzi, l'operaio che nel 2017 sopravvisse al rogo, con la quale si chiede a Italia e Germania di applicare la sentenza di condanna definitiva del 2016 nei confronti di Espenhahn e Priegnitz, i due dirigenti tedeschi che, a differenza degli imputati italiani, non hanno mai scontato le loro pene.
Il 28 maggio scorso dalla Germania giunge in Italia la notizia secondo cui Espenhahn e Priegnitz avrebbero chiesto la semilibertà prima ancora di andare in carcere. "E' l'ennesima pugnalata al cuore - commenta Rosina Plati', mamma di Giuseppe Demasi, tra le vittime del rogo - speriamo solo che la richiesta venga respinta. Queste persone non sono ancora andate in galera e chiedono già la semilibertà, è inspiegabile".
Sulla vicenda interviene il procuratore generale di Torino, Francesco Enrico Saluzzo, che spiega come non vi siano possibilità alternative rispetto al carcere per Espenhahn e Priegnitz. Saluzzo, che ha ricevuto una comunicazione da Eurojust, l'unità di cooperazione giudiziaria dell'Unione Europea, spiega che "il tribunale di Essen ha riconosciuto l'efficacia della sentenza torinese e quindi i dirigenti tedeschi andranno certamente in carcere. Sconteranno una pena di cinque anni, il massimo previsto dalla giustizia tedesca per l'omicidio colposo. La libertà vigilata è prevista solo dopo aver scontato metà della pena in carcere, mentre dopo i due terzi esistono delle misure alternative alla detenzione". I due manager sarebbero dovuti andare in carcere già a marzo, ma l'emergenza Covid ha rallentato l'esecuzione della condanna.
L'ennesimo colpo di scena arriva qualche giorno fa, il 17 giugno, quando si apprende che i manager tedeschi andranno in carcere ma potranno allontanarsi per lavorare. Il pg Saluzzo spiega come in effetti in alcuni land tedeschi sia prevista questa possibilità in assenza di recidiva e se non sussistono pericolo di fuga e di reiterazione del reato. La notizia scatena la rabbia dei parenti, che il giorno dopo si recano in Procura per un incontro con il procuratore generale.
"E' stato un incontro fattivo, ma quello che volevamo non lo potremo avere. Il riesame del processo, come avevamo chiesto, sarà un pò difficile. Apprezziamo la vicinanza di Conte e Bonafede, ma è incredibile che l'Italia non abbia ancora la documentazione relativa alla concessione della semilibertà ai due manager tedeschi della ThysenKrupp, Espenhahn e Priegnitz. Auspichiamo la rapida convocazione dell'ambasciatore tedesco e valutiamo tutti i possibili interventi, come l'apertura di una procedura di infrazione nei confronti della Germania", riferiscono i familiari delle vittime.
L'incontro col premier Conte e il ministro Bonafede era stato chiesto dai familiari dopo la notizia, la scorsa settimana, che i manager tedeschi Harold Espenhahn e Gerald Priegnitz, condannati in Italia, hanno ottenuto la semilibertà in Germania prima ancora di entrare in carcere. Insieme ai familiari, otto persone tra mamme e sorelle degli operai morti nel rogo, c'è anche Massimiliano Quirico di Sicurezza e Lavoro e all'incontro a Palazzo Chigi ha partecipato anche la sindaca di Torino, Chiara Appendino.
Thyssen: dalla tragedia del 2007 alle scarcerazioni
La notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007, allo stabilimento Thyssen di Torino, un getto d'olio bollente, incendiandosi, investe otto operai. Sette muoiono nel giro di un mese, uno solo riesce a salvarsi. Il fascicolo d'inchiesta a Torino viene affidato al pubblico ministero Raffaele Guariniello e la vicenda penale ha inizio nel 2008. L'amministratore delegato Herald Espenhahn è accusato di omicidio volontario con dolo eventuale e incendio doloso (dolo eventuale), altri cinque dirigenti di omicidio colposo e incendio colposo (con l'aggravante della previsione dell'evento). Viene, inoltre, contestata l'omissione dolosa dei sistemi di prevenzione antincendio e antinfortunistici.
Il 1 luglio 2008 i familiari delle sette vittime trovano un accordo con l'azienda per il risarcimento del danno, ricevendo una somma complessiva pari a 12.970.000 euro e rinunciando di fatto al diritto di costituirsi parte civile durante il processo.
Il 15 aprile 2011 arrivano le prime condanne: la Corte d'assise di Torino conferma i capi d'imputazione a carico dell'ad Herald Espenhahn, condannandolo a 16 anni e 6 mesi di reclusione. Altri cinque manager dell'azienda (Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Daniele Moroni, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri) vengono condannati a pene che vanno da 10 anni e 10 mesi a 13 anni e 6 mesi.
Il 28 febbraio 2013 la Corte d'assise d'appello modifica il giudizio di primo grado, non riconoscendo l'omicidio volontario, ma l'omicidio colposo, e riducendo le pene ai manager dell'azienda: 10 anni a Herald Espenhahn, 7 anni per Gerald Priegnitz e Marco Pucci, 8 anni per Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, 9 per Daniele Moroni.
Nella notte del 24 aprile 2014 la Cassazione conferma le colpe per i sei imputati e per l'azienda, ma dispone un nuovo processo d'appello per ridefinire le pene. Il 29 maggio 2015 l'appello bis riduce le condanne: per Espenhahn la pena scende da 10 a 9 anni e 8 mesi, 6 anni e 10 mesi per i dirigenti Marco Pucci e Gerald Priegnitz, 7 anni e mezzo per il responsabile di Terni Daniele Moroni e per l'ex direttore dello stabilimento, Raffaele Salerno, 6 anni e otto mesi per il responsabile della sicurezza Cosimo Cafueri.
Il 22 febbraio 2019 la Cassazione conferma le condanne per i sei dirigenti e nel novembre dello stesso anno la Corte europea dei Diritti dell'uomo accoglie la richiesta presentata dai familiari e da Antonio Boccuzzi, l'operaio che nel 2017 sopravvisse al rogo, con la quale si chiede a Italia e Germania di applicare la sentenza di condanna definitiva del 2016 nei confronti di Espenhahn e Priegnitz, i due dirigenti tedeschi che, a differenza degli imputati italiani, non hanno mai scontato le loro pene.
Il 28 maggio scorso dalla Germania giunge in Italia la notizia secondo cui Espenhahn e Priegnitz avrebbero chiesto la semilibertà prima ancora di andare in carcere. "E' l'ennesima pugnalata al cuore - commenta Rosina Plati', mamma di Giuseppe Demasi, tra le vittime del rogo - speriamo solo che la richiesta venga respinta. Queste persone non sono ancora andate in galera e chiedono già la semilibertà, è inspiegabile".
Sulla vicenda interviene il procuratore generale di Torino, Francesco Enrico Saluzzo, che spiega come non vi siano possibilità alternative rispetto al carcere per Espenhahn e Priegnitz. Saluzzo, che ha ricevuto una comunicazione da Eurojust, l'unità di cooperazione giudiziaria dell'Unione Europea, spiega che "il tribunale di Essen ha riconosciuto l'efficacia della sentenza torinese e quindi i dirigenti tedeschi andranno certamente in carcere. Sconteranno una pena di cinque anni, il massimo previsto dalla giustizia tedesca per l'omicidio colposo. La libertà vigilata è prevista solo dopo aver scontato metà della pena in carcere, mentre dopo i due terzi esistono delle misure alternative alla detenzione". I due manager sarebbero dovuti andare in carcere già a marzo, ma l'emergenza Covid ha rallentato l'esecuzione della condanna.
L'ennesimo colpo di scena arriva qualche giorno fa, il 17 giugno, quando si apprende che i manager tedeschi andranno in carcere ma potranno allontanarsi per lavorare. Il pg Saluzzo spiega come in effetti in alcuni land tedeschi sia prevista questa possibilità in assenza di recidiva e se non sussistono pericolo di fuga e di reiterazione del reato. La notizia scatena la rabbia dei parenti, che il giorno dopo si recano in Procura per un incontro con il procuratore generale.