I 50 anni di Paolo Sorrentino, il regista della grande bellezza al cinema e in tv
Il premio Oscar è impegnato nella preparazione del nuovo film Mob Girl con Jennifer Lawrence
"La statuetta è sicuramente un punto di arrivo, ma essendo ancora giovane per me è un punto di partenza per nuove avventure. Mi auguro di mantenere lo spirito che si ha quando si fa il primo film, lo stesso entusiasmo. Non voglio adagiarmi sugli allori". Nel 2014 Paolo Sorrentino si raccontava così stringendo in mano la statuetta dell'Oscar vinto con La Grande Bellezza premiato come miglior film straniero.
Negli ultimi 20 anni ha scritto due libri, diretto otto lungometraggi, trionfato agli Oscar e ai Golden Globe, ha all'attivo 4 premi europei (EFA), 5 David di Donatello, 7 partecipazioni al Festival di Cannes, 8 Nastri d'argento. Nel futuro ci sono il cinema, la scoperta che la serialità gli si addice (il grande successo di The Young Pope e il seguito The New Pope), una prospettiva personale da scrittore cominciata già nel 2010 con "Hanno tutti ragione" finalista al Premio Strega.
La sua ultima avventura al cinema è stata controversa: "Loro", uscito in Italia in due parti nel 2018 e poi rimontato per una versione internazionale coronata dal successo, resta una testimonianza davvero inedita del mito e della caduta di Silvio Berlusconi interpretato dal "suo" attore Toni Servillo. Un sodalizio iniziato nel 2001 con L'uomo in più e poi Titta di Girolamo (Le conseguenze dell'amore) fino a incarnare Jep Gambardella (La Grande Bellezza) e Giulio Andreotti (Il Divo).
I primi passi
Sorrentino, nato il 31 maggio 1970, ha un passato duro e doloroso: a 16 anni perde i genitori, vittime di una fuga di gas. Al padre lo lega, tra tante altre cose, una passione viscerale per Maradona e la squadra della sua città. Ma, strano a dirsi, sarà lontano da Napoli che troverà la sua anima internazionale, mentre il lungometraggio d'esordio ("L'uomo in più", 2001) è profondamente intriso dello spirito autoctono e il successivo "Le conseguenze dell'amore" accompagna un oscuro travet del crimine di camorra sulla via di un singolare esilio, verso la Svizzera. Negli anni '90 muove i primi passi: a Teatri Uniti con Mario Martone, sul set di "Il verificatore" con Stefano Incerti alla regia (fa l'ispettore di produzione), nel mondo del cortometraggio ("Un paradiso", la sua prima prova), a bottega con Antonio Capuano per cui scrive il copione di "Polvere di Napoli", sui set televisivi de "La squadra". Per una seconda opera corta, "L'amore non ha confini" (1998) trova in Nicola Giuliano il produttore ideale.
Il sodalizio con Toni Servillo e le fantasie felliniane
Con la Indigo (di Giuliano e Francesca Cima) realizzerà tutti i suoi progetti e la sera dell'Oscar dividerà il palcoscenico con gli amici Nicola e Toni (Servillo). Che è poi il suo doppio dall'altra parte della macchina da presa.
I suoi personaggi sono abitati da una doppia personalità che guida le loro azioni. Il tema è esplicito ne "L'uomo in più"(esordio nel 2001) in cui due Pisapia si contrappongono: il calciatore di successo e il cantante melodico al tramonto, le cui vite si incrociano per un solo istante. Servillo (che qui è il cantante) ritorna col doppio volto di un contabile di camorra e un uomo in fuga nel successivo "Le conseguenze dell'amore" (2004), il film che apre al regista le porte del festival di Cannes. All'opera terza abbandonerà i suoi territori tradizionali per una sorta di western nostrano, "L'amico di famiglia" con Fabrizio Bentivoglio, in cui si ritrovano altre due passioni dell'autore: quella per la musica e quella per il noir. Nel 2008 concorre per la Palma d'oro con Il Divo per cui ottiene il Premio della Giuria. Quell'anno il Grand Prix va al romano Matteo Garrone a al suo "Gomorra". In comune hanno Toni Servillo che nella caratterizzazione del Divo, tocca uno dei suoi vertici.
Per Sorrentino, il film è anche il suo punto di vista del disfacimento contemporaneo, quello stesso che proporrà, con espliciti rimandi alla "Dolce Vita" di Fellini, nel film della celebrazione, "La grande bellezza" (2013). In mezzo ha dato spazio alla sua anima internazionale, convincendo Sean Penn ad assumere, come Servillo, una maschera grottesca per il primo film in inglese, "This Must Be the Place" (2011).
Il successo planetario de "La grande bellezza" lo convince a continuare un personale sentiero felliniano con "Youth". Un anno dopo, nel 2016, si lancerà nell'avventura televisiva con "The Young Pope"(presentato alla Mostra di Venezia e venduto in oltre 80 paesi). Lavoratore instancabile, mette in cantiere sia una seconda serie sempre di ambientazione vaticana ("The New Pope") che il grande affresco berlusconiano "Loro".
Nuovi progetti
Schivo, poco social, capace di impegnarsi per le cause in cui crede, ama profondamente i suoi interpreti: "I grandi attori sono come i buoni registi: straordinari osservatori della realtà". A 50 anni non si ferma e, come aveva promesso sul palco degli Oscar, continua a sperimentare nuove avventure.
In questi giorni è stato testimone della Roma deserta della pandemia con le sue foto da reporter, nella inedita veste di direttore artistico per un numero tematico di Vanity Fair. "Avevo una necessità, quasi una curiosità morbosa di fare foto in una Roma così incredibilmente vuota. Anche quando ho girato La Grande Bellezza la città era deserta ma era d'estate e il set era sempre di notte, tra le 3 e le 5 del mattino, invece era di giorno che volevo vederla, un'occasione unica poterla fotografare così vuota sempre", ha detto il regista impegnato nella preparazione del nuovo film Mob Girl con Jennifer Lawrence.
Negli ultimi 20 anni ha scritto due libri, diretto otto lungometraggi, trionfato agli Oscar e ai Golden Globe, ha all'attivo 4 premi europei (EFA), 5 David di Donatello, 7 partecipazioni al Festival di Cannes, 8 Nastri d'argento. Nel futuro ci sono il cinema, la scoperta che la serialità gli si addice (il grande successo di The Young Pope e il seguito The New Pope), una prospettiva personale da scrittore cominciata già nel 2010 con "Hanno tutti ragione" finalista al Premio Strega.
La sua ultima avventura al cinema è stata controversa: "Loro", uscito in Italia in due parti nel 2018 e poi rimontato per una versione internazionale coronata dal successo, resta una testimonianza davvero inedita del mito e della caduta di Silvio Berlusconi interpretato dal "suo" attore Toni Servillo. Un sodalizio iniziato nel 2001 con L'uomo in più e poi Titta di Girolamo (Le conseguenze dell'amore) fino a incarnare Jep Gambardella (La Grande Bellezza) e Giulio Andreotti (Il Divo).
I primi passi
Sorrentino, nato il 31 maggio 1970, ha un passato duro e doloroso: a 16 anni perde i genitori, vittime di una fuga di gas. Al padre lo lega, tra tante altre cose, una passione viscerale per Maradona e la squadra della sua città. Ma, strano a dirsi, sarà lontano da Napoli che troverà la sua anima internazionale, mentre il lungometraggio d'esordio ("L'uomo in più", 2001) è profondamente intriso dello spirito autoctono e il successivo "Le conseguenze dell'amore" accompagna un oscuro travet del crimine di camorra sulla via di un singolare esilio, verso la Svizzera. Negli anni '90 muove i primi passi: a Teatri Uniti con Mario Martone, sul set di "Il verificatore" con Stefano Incerti alla regia (fa l'ispettore di produzione), nel mondo del cortometraggio ("Un paradiso", la sua prima prova), a bottega con Antonio Capuano per cui scrive il copione di "Polvere di Napoli", sui set televisivi de "La squadra". Per una seconda opera corta, "L'amore non ha confini" (1998) trova in Nicola Giuliano il produttore ideale.
Il sodalizio con Toni Servillo e le fantasie felliniane
Con la Indigo (di Giuliano e Francesca Cima) realizzerà tutti i suoi progetti e la sera dell'Oscar dividerà il palcoscenico con gli amici Nicola e Toni (Servillo). Che è poi il suo doppio dall'altra parte della macchina da presa.
I suoi personaggi sono abitati da una doppia personalità che guida le loro azioni. Il tema è esplicito ne "L'uomo in più"(esordio nel 2001) in cui due Pisapia si contrappongono: il calciatore di successo e il cantante melodico al tramonto, le cui vite si incrociano per un solo istante. Servillo (che qui è il cantante) ritorna col doppio volto di un contabile di camorra e un uomo in fuga nel successivo "Le conseguenze dell'amore" (2004), il film che apre al regista le porte del festival di Cannes. All'opera terza abbandonerà i suoi territori tradizionali per una sorta di western nostrano, "L'amico di famiglia" con Fabrizio Bentivoglio, in cui si ritrovano altre due passioni dell'autore: quella per la musica e quella per il noir. Nel 2008 concorre per la Palma d'oro con Il Divo per cui ottiene il Premio della Giuria. Quell'anno il Grand Prix va al romano Matteo Garrone a al suo "Gomorra". In comune hanno Toni Servillo che nella caratterizzazione del Divo, tocca uno dei suoi vertici.
Per Sorrentino, il film è anche il suo punto di vista del disfacimento contemporaneo, quello stesso che proporrà, con espliciti rimandi alla "Dolce Vita" di Fellini, nel film della celebrazione, "La grande bellezza" (2013). In mezzo ha dato spazio alla sua anima internazionale, convincendo Sean Penn ad assumere, come Servillo, una maschera grottesca per il primo film in inglese, "This Must Be the Place" (2011).
Il successo planetario de "La grande bellezza" lo convince a continuare un personale sentiero felliniano con "Youth". Un anno dopo, nel 2016, si lancerà nell'avventura televisiva con "The Young Pope"(presentato alla Mostra di Venezia e venduto in oltre 80 paesi). Lavoratore instancabile, mette in cantiere sia una seconda serie sempre di ambientazione vaticana ("The New Pope") che il grande affresco berlusconiano "Loro".
Nuovi progetti
Schivo, poco social, capace di impegnarsi per le cause in cui crede, ama profondamente i suoi interpreti: "I grandi attori sono come i buoni registi: straordinari osservatori della realtà". A 50 anni non si ferma e, come aveva promesso sul palco degli Oscar, continua a sperimentare nuove avventure.
In questi giorni è stato testimone della Roma deserta della pandemia con le sue foto da reporter, nella inedita veste di direttore artistico per un numero tematico di Vanity Fair. "Avevo una necessità, quasi una curiosità morbosa di fare foto in una Roma così incredibilmente vuota. Anche quando ho girato La Grande Bellezza la città era deserta ma era d'estate e il set era sempre di notte, tra le 3 e le 5 del mattino, invece era di giorno che volevo vederla, un'occasione unica poterla fotografare così vuota sempre", ha detto il regista impegnato nella preparazione del nuovo film Mob Girl con Jennifer Lawrence.