Da Churchill a Cristoforo Colombo. Le statue "scomode" nel mirino della protesta Black Lives Matter
Nel mirino dei manifestanti che protestano per la morte di George Floyd, le statue che raffigurano personaggi e simboli confederati e dell'epoca della schiavitù
Una statua di Cristoforo Colombo è stata demolita e gettata in un lago a Richmond, in Virginia, nel corso di una manifestazione di protesta per la morte di George Floyd, il 25enne afroamericano ucciso il 25 maggio scorso da un agente di polizia a Minneapolis. La scultura è stata demolita meno di due ore dopo che i manifestanti si erano radunati nel Byrd Park della città chiedendo a gran voce la sua rimozione come simbolo di oppressione razziale. Dopo aver legato il monumento con alcune corde, lo hanno buttato giù e dato alle fiamme. Quindi lo hanno fatto rotolare in un lago nel parco tra gli applausi della folla. Il piedistallo vuoto è stato dipinto e coperto da un cartello che dice "Colombo rappresenta il genocidio".
La protesta si allarga e coinvolge anche dieci delle più importanti basi militari negli Stati Uniti che potrebbero cambiare nome, quelle intitolate ad eroi confederati. Tra queste Fort Bragg in North Carolina, Fort Benning in Georgia e Fort Hood in Texas. La volontà di rinominare le basi - secondo quanto riportano alcuni media - è stata espressa dal segretario alla difesa Mark Esper e dall'Army Secretary Ryan McCarthy, e sarebbe maturata al Pentagono dopo settimane di proteste in tutto il Paese contro il razzismo. Finora l'esercito era sempre stato contrario a un cambio di nome delle basi ma, dopo la rivolta contro le statue che raffigurano personaggi e simboli confederati e dell'epoca della schiavitù, tutto potrebbe cambiare. Inoltre le stesse forze armate Usa, come emerge da alcuni rapporti, hanno ammesso come ci siano diseguaglianze e discriminazioni diffuse nel trattamento del personale militare afroamericano, più soggetto ad esempio a punizioni e sanzioni disciplinari.
Regno Unito
L'onda lunga delle rivolta di 'Black Lives Matter' scatenata oltreoceano dall'uccisione di George Floyd, accende nel Regno Unito una forma di protesta che minaccia di dilagare: la guerra delle statue che ha spinto il sindaco di Londra a intervenire con una "operazione di bonifica". Il primo a cadere è stato il monumento del mercante di schiavi britannico Robert Milligan, che si trovava davanti al Museum of London Docklands, nel cuore dell'ex zona portuale della capitale.
Questa volta, la statua non è stata presa d'assalto da una folla di dimostranti come era successo domenica scorsa a Bristol a quella di un altro mercante di schiavi del 17mo secolo- Edward Colston -, ma è stata prelevata da un gruppo di operai 'armati' di una mini gru. Il museo non ha nascosto che la statua di Milligan, un mercante proprietario di due piantagioni di canna da zucchero e 526 schiavi in Giamaica, fosse una presenza "scomoda" da "molto tempo". Dopo l'abbattimento della statua di Colston, Khan ha istituito una commissione per far pulizia dei monumenti ormai più 'impresentabili' nel Paese.
Nell'occhio del ciclone anche la statua a Cecil Rhodes, colosso dell'imperialismo britannico ottocentesco nell'Africa del Sud, celebrato come un benefattore nell'illustre ateneo di Oxford, ma additato come precursore dell'apartheid (da lui prese il nome la famigerata Rhodesia) da studenti e docenti delle comunità Bame: Black, Asian and Minority Ethnic.
Dalle proteste per la morte di George Floyd non era stato risparmiato neanche Winston Churchill, leader della vittoria sul nazismo (non immune da controversie durante la sua lunga carriera pubblica), la cui statua dinanzi a Westminster è stata imbrattata domenica scorsa.
Il premier conservatore Boris Johnson da un lato ha riconosciuto il diritto alla protesta e "l'incontrovertibile senso d'ingiustizia" che il caso Floyd ispira non solo negli Usa. Dall'altro ha condannato scontri di "frange minoritarie" con la polizia e "il danneggiamento" dei monumenti: azioni da punire, ha avvertito, per quanto mantenendosi cauto e vago sulle indicazioni alle forze dell'ordine, nel timore di gettar benzina sul fuoco.
Belgio
La morte dell'afroamericano George Floyd negli Usa, ha ravvivato anche in Belgio il dibattito sulla violenza della colonizzazione in Congo e sulla responsabilità di re Leopoldo II, le cui statue sono state oggetto della rabbia degli attivisti antirazzisti. Una statua equestre è stata vandalizzata con numerose iscrizioni tra cui "Blm", acronimo di Black Lives Matter. Ad Anversa una statua del sovrano è stata rimossa da una piazza. Il gruppo 'Réparons l'Histoire' ha lanciato una petizione all'inizio di giugno sul sito change.org chiedendo di rimuovere tutte le statue di Leopoldo II sul territorio della città di Bruxelles. Gli attivisti trovano incomprensibile che il sovrano, che regnò dal 10 dicembre 1865 fino alla sua morte nel 1909, venga ancora 'onorato' negli spazi pubblici dopo le sue azioni contro il popolo congolese.
La protesta si allarga e coinvolge anche dieci delle più importanti basi militari negli Stati Uniti che potrebbero cambiare nome, quelle intitolate ad eroi confederati. Tra queste Fort Bragg in North Carolina, Fort Benning in Georgia e Fort Hood in Texas. La volontà di rinominare le basi - secondo quanto riportano alcuni media - è stata espressa dal segretario alla difesa Mark Esper e dall'Army Secretary Ryan McCarthy, e sarebbe maturata al Pentagono dopo settimane di proteste in tutto il Paese contro il razzismo. Finora l'esercito era sempre stato contrario a un cambio di nome delle basi ma, dopo la rivolta contro le statue che raffigurano personaggi e simboli confederati e dell'epoca della schiavitù, tutto potrebbe cambiare. Inoltre le stesse forze armate Usa, come emerge da alcuni rapporti, hanno ammesso come ci siano diseguaglianze e discriminazioni diffuse nel trattamento del personale militare afroamericano, più soggetto ad esempio a punizioni e sanzioni disciplinari.
Regno Unito
L'onda lunga delle rivolta di 'Black Lives Matter' scatenata oltreoceano dall'uccisione di George Floyd, accende nel Regno Unito una forma di protesta che minaccia di dilagare: la guerra delle statue che ha spinto il sindaco di Londra a intervenire con una "operazione di bonifica". Il primo a cadere è stato il monumento del mercante di schiavi britannico Robert Milligan, che si trovava davanti al Museum of London Docklands, nel cuore dell'ex zona portuale della capitale.
Questa volta, la statua non è stata presa d'assalto da una folla di dimostranti come era successo domenica scorsa a Bristol a quella di un altro mercante di schiavi del 17mo secolo- Edward Colston -, ma è stata prelevata da un gruppo di operai 'armati' di una mini gru. Il museo non ha nascosto che la statua di Milligan, un mercante proprietario di due piantagioni di canna da zucchero e 526 schiavi in Giamaica, fosse una presenza "scomoda" da "molto tempo". Dopo l'abbattimento della statua di Colston, Khan ha istituito una commissione per far pulizia dei monumenti ormai più 'impresentabili' nel Paese.
Nell'occhio del ciclone anche la statua a Cecil Rhodes, colosso dell'imperialismo britannico ottocentesco nell'Africa del Sud, celebrato come un benefattore nell'illustre ateneo di Oxford, ma additato come precursore dell'apartheid (da lui prese il nome la famigerata Rhodesia) da studenti e docenti delle comunità Bame: Black, Asian and Minority Ethnic.
Dalle proteste per la morte di George Floyd non era stato risparmiato neanche Winston Churchill, leader della vittoria sul nazismo (non immune da controversie durante la sua lunga carriera pubblica), la cui statua dinanzi a Westminster è stata imbrattata domenica scorsa.
Il premier conservatore Boris Johnson da un lato ha riconosciuto il diritto alla protesta e "l'incontrovertibile senso d'ingiustizia" che il caso Floyd ispira non solo negli Usa. Dall'altro ha condannato scontri di "frange minoritarie" con la polizia e "il danneggiamento" dei monumenti: azioni da punire, ha avvertito, per quanto mantenendosi cauto e vago sulle indicazioni alle forze dell'ordine, nel timore di gettar benzina sul fuoco.
Belgio
La morte dell'afroamericano George Floyd negli Usa, ha ravvivato anche in Belgio il dibattito sulla violenza della colonizzazione in Congo e sulla responsabilità di re Leopoldo II, le cui statue sono state oggetto della rabbia degli attivisti antirazzisti. Una statua equestre è stata vandalizzata con numerose iscrizioni tra cui "Blm", acronimo di Black Lives Matter. Ad Anversa una statua del sovrano è stata rimossa da una piazza. Il gruppo 'Réparons l'Histoire' ha lanciato una petizione all'inizio di giugno sul sito change.org chiedendo di rimuovere tutte le statue di Leopoldo II sul territorio della città di Bruxelles. Gli attivisti trovano incomprensibile che il sovrano, che regnò dal 10 dicembre 1865 fino alla sua morte nel 1909, venga ancora 'onorato' negli spazi pubblici dopo le sue azioni contro il popolo congolese.