Ritorno a Vo' a un anno dall'arrivo della pandemia di Covid-19 in Italia
Il reportage fotografico di Associated Press
Esattamente un anno fa la prima conferma che il coronavirus era arrivato in Italia: un uomo di 38 anni di Codogno, il 20 febbraio 2020 risulta positivo al virus. È il primo caso accertato di contagio nel Comune in provincia di Lodi in Lombardia. La notizia getta nel panico gli abitanti del luogo, molti dei quali, già prima delle misure restrittive che poi verranno prese, decidono di non mandare più a scuola i propri figli. Segue l'assalto ai supermercati per fare scorta di provviste e la prima caccia alle introvabili mascherine chirurgiche nelle farmacie, per cercare di proteggersi da un virus ancora sconosciuto. Intanto a oltre 150 chilometri di distanza, tra le case di Vo', piccolo centro noto per i buoni vini prodotti sulle pendici dei Colli Euganei, una famiglia è colpita dal lutto e diventa suo malgrado protagonista del clamore che suscita l'arrivo dell'ondata pandemica nel Paese.
La sera dopo, il 21 febbraio 2020, Adriano Trevisan pensionato di 77 anni, muore per l'infezione. È considerata la prima vittima del coronavirus in Italia. Ma fin da subito la figlia reagisce a questa etichetta e in una intervista a Repubblica spiega: "Adriano Trevisan non è un numero, non è la prima vittima italiana del coronavirus, non è un nome e un cognome sul giornale. Adriano Trevisan è mio papà, è il papà di Vladimiro e Angelo. È il marito di mia madre Linda. È il nonno di Nicole e di Leonardo". Nei giorni a seguire, la Lombardia diventa epicentro della pandemia in una Italia che ai primi di marzo si ritrova tutta in lockdown. Uno shock che durerà fino a maggio e un modello/laboratorio per gli altri Paesi occidentali che, nell'arco di un mese, prendono misure analoghe nel tentativo di arginare il contagio.
Ma quella di Vo' è una storia a sé. È dal Comune in provincia di Padova che arrivano, infatti, alcune delle prime intuizioni scientifiche sul virus. La morte di Trevisan, un uomo molto conosciuto in paese, sconvolge la comunità: abituale frequentatore di un bar del posto, il 77enne era stato ricoverato due settimane prima per problemi cardiocircolatori, legati a una pregressa patologia che, stando alla
diagnosi del suo medico, Carlo Petruzzi, non poteva essere curata con i farmaci. Trevisan non aveva avuto alcun contatto con la Cina, fino a quel momento elemento chiave per la diagnosi del coronavirus. Dopo la morte del 77enne, il sindaco di Vo' Giuliano Martini dispone la chiusura di scuole e attività economiche non essenziali, vietando, con una ordinanza, ai residenti si lasciare la propria abitazione, se non per lavoro. Martini chiede l'aiuto di gruppi di volontari per assicurare le scorte alimentari e di farmaci. I medici di famiglia vengono messi in quarantena, l'ospedale più vicino, a 30 minuti di macchina, è chiuso. Una cittadina di 3.270 abitanti vive da quel momento in isolamento.
Tre giorni dopo la morte di Trevisan, da Roma, dando seguito ai decreti governativi, arrivano contingenti militari per chiudere le 12 strade di accesso alla città. Una cintura di sicurezza ritenuta necessaria, per evitare la diffusione del contagio. Altri blocchi vengono istituiti intorno a 10 città vicine a Milano, capoluogo lombardo, dove, nel frattempo, è stato confermato un primo caso di trasmissione locale. "C'era un grande senso di sconcerto - dice Luca Rossetto, uno dei medici di Vo' - Io stesso, nonostante una specializzazione in igiene, avrei dovuto sapere cosa fare, ma c'era un assoluto disorientamento". Rossetto realizza di aver visitato, nei giorni precedenti, 7 persone con sintomi riconducibili alla polmonite. Una settimana più tardi, lo stesso Rossetto viene ricoverato: è positivo al coronavirus. Per fortuna, si rimetterà.
Nel frattempo, il governatore del Veneto, Luca Zaia, ha disposto che tutti i residenti di Vo' fossero sottoposti a test molecolare. Essere riusciti in una simile, prima, operazione di screening di massa è merito della lungimiranza del virologo dell'Università di Padova, Andrea Crisanti che, subito dopo la comparsa del virus sul territorio, aveva ordinato l'acquisto dei kit occorrenti per sottoporre a test la popolazione. Crisanti intuisce che occorre effettuare un nuovo test a distanza di due settimane dal primo, in caso di positività. Il suo lavoro ha fornito una visione iniziale sulla diffusione del virus. Il
risultato dello screening a tappeto dà i suoi risultati: il 27 febbraio viene accertato che il 3% della popolazione è stato contagiato. Per Crisanti, il virus circola in città già dalla fine di gennaio. "Da quella data - afferma Crisanti - avremmo dovuto chiudere interamente Veneto e Lombardia, immediatamente". Ma chi doveva decidere "non ha realmente compreso l'entità del problema".
A due settimane dalla chiusura totale di Vo', il lockdown si dimostra l'unica arma a disposizione, al momento, contro il virus. Quando Crisanti dà il via al secondo giro di test a tappeto, il 7 marzo, non viene registrato alcun caso. Quei risultati, pubblicati sulla rivista Nature a giugno, ma noti fin da principio ai funzionari italiani, sono per il virologo la prova che l'isolamento e lo screening di massa erano il modo migliore per fermare il Covid-19. E mentre Crisanti insiste sulla necessità di estendere lo screening di massa a tutta la popolazione del Veneto, il virus si manifesta simultaneamente in altre regioni italiane. Gli scienziati non si spiegano ancora come il virus possa essere arrivato a Vo'. Il Veneto, regione conta poco meno di 5 milioni di abitanti cioè meno della metà della Lombardia, sebbene colpito dal covid-19 negli stessi giorni della Lombardia, epicentro della prima e della seconda ondata, riesce a cavarsela meglio.
Da ottobre scorso, il Paese è alla prese con la seconda ondata che si è abbattuta anche su Vo'. Una situazione dalla quale la città si sta ora riprendendo. Vo', oggi, è eco di se stessa. Matrimoni, battesimi, prime comunioni - che in passato avevano attirato un gran numero di persone - hanno subito pesanti restrizioni. La chiusura dei 45 ristoranti cittadini ha costretto la locale cooperativa vinicola a ridurre la produzione nel 2020. La sala da ballo non ha mai riaperto. "Le cose avrebbero potuto essere diverse", è l'amara riflessione del sindaco Martini che, un anno fa aveva detto: "Il virus a Vo è arrivato e a Vo è morto".