Crisi in Etiopia, governo denuncia lancio di razzi dal Tigray. Grave crisi umanitaria
Dal 4 novembre scorso il governo federale dell'Etiopia ha lanciato un'offensiva militare contro le forze del Tplf
Il governo federale dell'Etiopia ha accusato forze fedeli al governo della regione autonoma del Tigray di aver lanciato razzi durante la notte sulla regione confinante di Amhara, creando "ingenti danni" alle strutture aeroportuali delle città di Gondar e Bahir Dar. Le forze del Tigray hanno rivendicato la responsabilità del lancio di razzi e hanno minacciato di attaccare le infrastrutture nella vicina Eritrea, accusata di aiutare Addis Abeba. "I missili" hanno colpito le "zone militari" degli aeroporti di Bahir Dar e Gondar venerdì sera, ha detto alla televisione regionale Getachew Reda, portavoce del Tigray Central Command, minacciando anche di attaccare le infrastrutture di Asmara, capitale dell'Eritrea o Massaua, porto eritreo sul Mar Rosso.
L'offensiva militare
Dal 4 novembre scorso il governo federale dell'Etiopia ha lanciato un'offensiva militare contro le forze del Tplf (Fronte di liberazione popolare del Tigray) che governa la regione nel nord del Paese. Doveva essere "un'azione breve e mirata", così aveva detto il premier etiope Abiy Ahmed, premio Nobel per la Pace, che ha accusato il Fronte di liberazione del popolo dei Tigray, di aver attaccato due basi federali militari, accusa negata dal Tlpf.
Il conflitto arriva dopo mesi di tensioni tra Addis Abeba e i leader tigrini, che hanno organizzato elezioni locali lo scorso settembre nonostante il divieto del governo centrale a causa della pandemia. L'esito del voto ha riconfermato una larga maggioranza al partito Tlpf.
Ieri il premier etiope ha nominato Mulu Nega nuovo governatore ad interim per la regione settentrionale del Tigray. Poco prima, con una risoluzione, il Parlamento aveva deciso di stabilire un'amministrazione provvisoria dopo aver revocato l'immunità parlamentare al precedente governatore, Debretsion Gebremichael - eletto a settembre a capo della regione - e ad altri esponenti del Tplf. Il governo di Addis Abeba ha anche spiccato mandati di cattura a carico dei principali dirigenti politici e militari del Tigray.
Amnesty: "Massacro spaventoso"
"Dopo aver analizzato fotografie, video e immagini dal satellite e aver parlato con testimoni oculari, Amnesty International è in grado di confermare che la notte tra il 9 e il 10 novembre è avvenuto uno spaventoso massacro di civili nella città di Mai-Kadra, nello stato del Tigray. Numerose decine, ma probabilmente centinaia di civili, soprattutto lavoratori giornalieri, sono stati pugnalati o accoltellati a morte nel contesto dell'offensiva militare avviata il 4 novembre dal governo di Addis Abeba contro il Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf)".
Amnesty International sottolinea che "l'esatta dimensione del massacro è ancora incerta a causa del totale blocco delle comunicazioni. L'agenzia di stampa del governo dello stato di Amhara ha parlato di circa 500 morti. Una fonte locale che sta collaborando con Amnesty International per accertare l'identità delle vittime ha dichiarato che la maggior parte aveva documenti d'identità ahmara".
Amnesty International non è ancora in grado di confermare chi siano gli autori del massacro ma ha parlato con testimoni oculari che hanno chiamato in causa forze leali al Tplf, tra cui la polizia speciale del Tigray, che si sarebbero accanite sulla popolazione di Mai-Kadra dopo essere state sconfitte dalle forze armate federali. Secondo quanto ricostruito dall'organizzazione per i diritti umani, nella giornata del 9 novembre le forze armate federali e la Forza speciale amhara hanno lanciato un'offensiva contro la polizia speciale del Tigray, terminata la quale si sono accampate nottetempo fuori da Mai-Kadra. Al mattino sono entrate di nuovo in città e hanno scoperto il massacro.
Il Fronte ha negato ogni responsabilità.
Onu: "Crimini di guerra"
In Etiopia sono i civili a fare le spese dell'offensiva militare in corso. Si trovano tra l'incudine delle forze federali dispiegate dal governo di Addis Abeba e il martello dei militari leali al partito al potere nello Stato dissidente. L'Onu lancia l'allarme su "possibili crimini di guerra" perpetrati nella regione settentrionale dell'Etiopia e chiede l'apertura di una indagine indipendente per individuare le responsabilità nell'uccisione di numerosi civili, denunciata da Amnesty International.
"I dettagli del presunto massacro non sono stati ancora del tutto verificati. Se viene confermato che è stato deliberatamente compiuto da una delle parti coinvolte negli attuali scontri, queste uccisioni di civili saranno ovviamente equiparate a crimini di guerra", si legge una nota diramata dall'ufficio dell'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet. Nel chiedere l'apertura di un'indagine indipendente e completa, la responsabile Onu sottolinea che la priorità è quella di "fermare i combattimenti ed impedire che altre atrocità vengano commesse".
Bachelet ha poi rinnovato il suo appello alle due parti coinvolte nel confronto armato ad "avviare un dialogo serio per risolvere quanto prima le divergenze, poiché in tale situazione non ci sarà alcun vincitore".
Sul terreno la situazione sta ulteriormente precipitando, con un crescendo di scontri terrestri e un rafforzamento dei bombardamenti aerei da parte delle forze governative. I residenti nel Tigre' sono totalmente isolati da giorni: al blackout delle comunicazioni, al blocco delle strade e dello spazio aereo si sono aggiunti frequenti tagli all'erogazione essenziale dell'acqua e dell'energia elettrica, oltre a penurie di carburante e farina, specialmente nella capitale di Makalle'. "C'è il rischio che la situazione diventi totalmente incontrollabile, provocando pesanti perdite in vite umane, distruzione e spostamenti massicci di civili all'interno dell'Etiopia e fuori dai confini" ha avvertito Bachelet.
Chi è Abiy Ahmed, il premier etiope, premio Nobel per la Pace 2019
Il primo ministro dell'Etiopia Abiy Ahmed si trova ora al centro di un conflitto, quello nella regione settentrionale etiopica del Tigray, che rischia di affossare molte delle speranze sollevate dal suo arrivo al potere. Abiy Ahmed ha deciso di risolvere in maniera militare lo scontro politico con il Fronte Popolare di liberazione del Tigrai (Tpfl) ma il timore è che la crisi si trasformi in un conflitto interetnico e si inneschi una destabilizzazione della regione.
Abiy Ahmed ha ottenuto il premio Nobel per aver fatto la pace con la vicina Eritrea nell'estate del 2018, appena pochi mesi dopo essere salito al potere, mettendo fine a un conflitto combattuto fra il 1998 e il 2000, che non si era poi mai formalmente concluso. Giovane e carismatico, in un continente dove molti paesi sono governati da vecchi autocrati, il 44enne Abiy Ahmed ha inizialmente sollevato grandi entusiasmi in Etiopia e nella diaspora etiope, un vera e propria "Abiymania" con molti che esibivano magliette con il suo volto.
La sua storia personale era già di per sé un simbolo di cambiamento: Abiy Ahmed è il primo capo di governo oromo, un'etnia largamente diffusa in Etiopia che si è sempre sentita discriminata politicamente, etnicamente e culturalmente. Ma Ahmed non voleva essere solo simbolo del riscatto oromo, quanto dell'unità fra le varie etnie che compongono il Paese.
Nato ad Agaro, nella regione dell'Oromia, Ahmed proviene da una famiglia mista di cristiani e musulmani. Entrato nell'esercito è salito sino al grado di tenente colonnello. Successivamente è stato il fondatore e il direttore dell'agenzia di cyber sicurezza del governo, in un paese dove le autorità esercitano uno stretto controllo su Internet. Diventato poi ministro della Scienza e la Tecnologia, Ahmed era anche il leader della Organizzazione democratica del popolo oromo (Opdo), uno dei quattro partiti etnici del Fronte Democratico Rivoluzionario del popolo etiope (Ersdf) al potere.
Scelto in parlamento dopo le dimissioni del suo predecessore Hailemariam Desalegn, Abiy Ahmed si è insediato al governo il 2 aprile 2018 promettendo di aprire "un nuovo capitolo" nella storia del paese. Ha cominciato con la liberazione di migliaia di prigionieri politici e la chiusura del carcere di Maekelawi, simbolo di anni di repressione. Poi ha sbloccato 264 siti e blog riconducibili all'opposizione. Il suo governo, che ha avviato diverse riforme economiche, comprende diversi ministri donna. Per la prima volta una donna è diventata presidente, Sahle-Work Zewde.
Non sono mancati nuovi episodi di violenze etniche, mentre Abiy Ahmed è sfuggito a più di un tentativo militare di rovesciarlo o ucciderlo. Le promesse elezioni politiche sono state rinviate per l'epidemia di coronavirus.
La crisi del Tigray
La crisi del Tigray nasce dallo scontro politico con il Tpfl, che è stato a lungo il partito egemone in seno all'Ersdf. Il Fronte tigrino si è sentito più volte preso di mira dalle riforme del nuovo premier, che intanto ha creato una propria formazione politica, il Partito della prosperità. A settembre il Tpfl è stato riconfermato al governo regionale del Tigray dopo elezioni che si sono svolte a settembre, malgrado il governo centrale avesse ordinato il rinvio di ogni competizione elettorale. Ora lo scontro è diventato militare, con il rischio che la rivalità politica si trasformi in conflitto interetnico.
Crisi umanitaria
La guerra sta provocando una crisi umanitaria, con migliaia di sfollati interni e in fuga nel confinante Sudan. L'interruzione delle telecomunicazioni nella regione dei Tigrè, inoltre, non rende possibile la verifica indipendente delle dichiarazioni contrastanti fatte dalle due parti in lotta. Secondo l’Unhcr, agenzia Onu per i rifugiati, dallo scoppio delle violenze, a inizio novembre, oltre 14.500 minori, donne e uomini sono fuggiti in Sudan per mettersi in salvo, andando a sovraccaricare le attuali capacità di assicurare assistenza. Nel frattempo, i servizi rivolti ai 96mila rifugiati eritrei presenti nel Tigray hanno subito gravi interruzioni e, secondo testimonianze, numeri crescenti di cittadini etiopi sarebbero costretti a fuggire all’interno della regione.
L'offensiva militare
Dal 4 novembre scorso il governo federale dell'Etiopia ha lanciato un'offensiva militare contro le forze del Tplf (Fronte di liberazione popolare del Tigray) che governa la regione nel nord del Paese. Doveva essere "un'azione breve e mirata", così aveva detto il premier etiope Abiy Ahmed, premio Nobel per la Pace, che ha accusato il Fronte di liberazione del popolo dei Tigray, di aver attaccato due basi federali militari, accusa negata dal Tlpf.
Il conflitto arriva dopo mesi di tensioni tra Addis Abeba e i leader tigrini, che hanno organizzato elezioni locali lo scorso settembre nonostante il divieto del governo centrale a causa della pandemia. L'esito del voto ha riconfermato una larga maggioranza al partito Tlpf.
Ieri il premier etiope ha nominato Mulu Nega nuovo governatore ad interim per la regione settentrionale del Tigray. Poco prima, con una risoluzione, il Parlamento aveva deciso di stabilire un'amministrazione provvisoria dopo aver revocato l'immunità parlamentare al precedente governatore, Debretsion Gebremichael - eletto a settembre a capo della regione - e ad altri esponenti del Tplf. Il governo di Addis Abeba ha anche spiccato mandati di cattura a carico dei principali dirigenti politici e militari del Tigray.
Amnesty: "Massacro spaventoso"
"Dopo aver analizzato fotografie, video e immagini dal satellite e aver parlato con testimoni oculari, Amnesty International è in grado di confermare che la notte tra il 9 e il 10 novembre è avvenuto uno spaventoso massacro di civili nella città di Mai-Kadra, nello stato del Tigray. Numerose decine, ma probabilmente centinaia di civili, soprattutto lavoratori giornalieri, sono stati pugnalati o accoltellati a morte nel contesto dell'offensiva militare avviata il 4 novembre dal governo di Addis Abeba contro il Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf)".
Amnesty International sottolinea che "l'esatta dimensione del massacro è ancora incerta a causa del totale blocco delle comunicazioni. L'agenzia di stampa del governo dello stato di Amhara ha parlato di circa 500 morti. Una fonte locale che sta collaborando con Amnesty International per accertare l'identità delle vittime ha dichiarato che la maggior parte aveva documenti d'identità ahmara".
Amnesty International non è ancora in grado di confermare chi siano gli autori del massacro ma ha parlato con testimoni oculari che hanno chiamato in causa forze leali al Tplf, tra cui la polizia speciale del Tigray, che si sarebbero accanite sulla popolazione di Mai-Kadra dopo essere state sconfitte dalle forze armate federali. Secondo quanto ricostruito dall'organizzazione per i diritti umani, nella giornata del 9 novembre le forze armate federali e la Forza speciale amhara hanno lanciato un'offensiva contro la polizia speciale del Tigray, terminata la quale si sono accampate nottetempo fuori da Mai-Kadra. Al mattino sono entrate di nuovo in città e hanno scoperto il massacro.
Il Fronte ha negato ogni responsabilità.
Onu: "Crimini di guerra"
In Etiopia sono i civili a fare le spese dell'offensiva militare in corso. Si trovano tra l'incudine delle forze federali dispiegate dal governo di Addis Abeba e il martello dei militari leali al partito al potere nello Stato dissidente. L'Onu lancia l'allarme su "possibili crimini di guerra" perpetrati nella regione settentrionale dell'Etiopia e chiede l'apertura di una indagine indipendente per individuare le responsabilità nell'uccisione di numerosi civili, denunciata da Amnesty International.
"I dettagli del presunto massacro non sono stati ancora del tutto verificati. Se viene confermato che è stato deliberatamente compiuto da una delle parti coinvolte negli attuali scontri, queste uccisioni di civili saranno ovviamente equiparate a crimini di guerra", si legge una nota diramata dall'ufficio dell'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet. Nel chiedere l'apertura di un'indagine indipendente e completa, la responsabile Onu sottolinea che la priorità è quella di "fermare i combattimenti ed impedire che altre atrocità vengano commesse".
Bachelet ha poi rinnovato il suo appello alle due parti coinvolte nel confronto armato ad "avviare un dialogo serio per risolvere quanto prima le divergenze, poiché in tale situazione non ci sarà alcun vincitore".
Sul terreno la situazione sta ulteriormente precipitando, con un crescendo di scontri terrestri e un rafforzamento dei bombardamenti aerei da parte delle forze governative. I residenti nel Tigre' sono totalmente isolati da giorni: al blackout delle comunicazioni, al blocco delle strade e dello spazio aereo si sono aggiunti frequenti tagli all'erogazione essenziale dell'acqua e dell'energia elettrica, oltre a penurie di carburante e farina, specialmente nella capitale di Makalle'. "C'è il rischio che la situazione diventi totalmente incontrollabile, provocando pesanti perdite in vite umane, distruzione e spostamenti massicci di civili all'interno dell'Etiopia e fuori dai confini" ha avvertito Bachelet.
Chi è Abiy Ahmed, il premier etiope, premio Nobel per la Pace 2019
Il primo ministro dell'Etiopia Abiy Ahmed si trova ora al centro di un conflitto, quello nella regione settentrionale etiopica del Tigray, che rischia di affossare molte delle speranze sollevate dal suo arrivo al potere. Abiy Ahmed ha deciso di risolvere in maniera militare lo scontro politico con il Fronte Popolare di liberazione del Tigrai (Tpfl) ma il timore è che la crisi si trasformi in un conflitto interetnico e si inneschi una destabilizzazione della regione.
Abiy Ahmed ha ottenuto il premio Nobel per aver fatto la pace con la vicina Eritrea nell'estate del 2018, appena pochi mesi dopo essere salito al potere, mettendo fine a un conflitto combattuto fra il 1998 e il 2000, che non si era poi mai formalmente concluso. Giovane e carismatico, in un continente dove molti paesi sono governati da vecchi autocrati, il 44enne Abiy Ahmed ha inizialmente sollevato grandi entusiasmi in Etiopia e nella diaspora etiope, un vera e propria "Abiymania" con molti che esibivano magliette con il suo volto.
La sua storia personale era già di per sé un simbolo di cambiamento: Abiy Ahmed è il primo capo di governo oromo, un'etnia largamente diffusa in Etiopia che si è sempre sentita discriminata politicamente, etnicamente e culturalmente. Ma Ahmed non voleva essere solo simbolo del riscatto oromo, quanto dell'unità fra le varie etnie che compongono il Paese.
Nato ad Agaro, nella regione dell'Oromia, Ahmed proviene da una famiglia mista di cristiani e musulmani. Entrato nell'esercito è salito sino al grado di tenente colonnello. Successivamente è stato il fondatore e il direttore dell'agenzia di cyber sicurezza del governo, in un paese dove le autorità esercitano uno stretto controllo su Internet. Diventato poi ministro della Scienza e la Tecnologia, Ahmed era anche il leader della Organizzazione democratica del popolo oromo (Opdo), uno dei quattro partiti etnici del Fronte Democratico Rivoluzionario del popolo etiope (Ersdf) al potere.
Scelto in parlamento dopo le dimissioni del suo predecessore Hailemariam Desalegn, Abiy Ahmed si è insediato al governo il 2 aprile 2018 promettendo di aprire "un nuovo capitolo" nella storia del paese. Ha cominciato con la liberazione di migliaia di prigionieri politici e la chiusura del carcere di Maekelawi, simbolo di anni di repressione. Poi ha sbloccato 264 siti e blog riconducibili all'opposizione. Il suo governo, che ha avviato diverse riforme economiche, comprende diversi ministri donna. Per la prima volta una donna è diventata presidente, Sahle-Work Zewde.
Non sono mancati nuovi episodi di violenze etniche, mentre Abiy Ahmed è sfuggito a più di un tentativo militare di rovesciarlo o ucciderlo. Le promesse elezioni politiche sono state rinviate per l'epidemia di coronavirus.
La crisi del Tigray
La crisi del Tigray nasce dallo scontro politico con il Tpfl, che è stato a lungo il partito egemone in seno all'Ersdf. Il Fronte tigrino si è sentito più volte preso di mira dalle riforme del nuovo premier, che intanto ha creato una propria formazione politica, il Partito della prosperità. A settembre il Tpfl è stato riconfermato al governo regionale del Tigray dopo elezioni che si sono svolte a settembre, malgrado il governo centrale avesse ordinato il rinvio di ogni competizione elettorale. Ora lo scontro è diventato militare, con il rischio che la rivalità politica si trasformi in conflitto interetnico.
Crisi umanitaria
La guerra sta provocando una crisi umanitaria, con migliaia di sfollati interni e in fuga nel confinante Sudan. L'interruzione delle telecomunicazioni nella regione dei Tigrè, inoltre, non rende possibile la verifica indipendente delle dichiarazioni contrastanti fatte dalle due parti in lotta. Secondo l’Unhcr, agenzia Onu per i rifugiati, dallo scoppio delle violenze, a inizio novembre, oltre 14.500 minori, donne e uomini sono fuggiti in Sudan per mettersi in salvo, andando a sovraccaricare le attuali capacità di assicurare assistenza. Nel frattempo, i servizi rivolti ai 96mila rifugiati eritrei presenti nel Tigray hanno subito gravi interruzioni e, secondo testimonianze, numeri crescenti di cittadini etiopi sarebbero costretti a fuggire all’interno della regione.