Da ex giocatore del Milan a presidente della Liberia? L'ascesa politica di George Weah
I risultati parziali lo danno in vantaggio. La Liberia, uscita nel 2003 da una lunga guerra civile, è in attesa di conoscere il successore del presidente Ellen Johson Sirleaf, in carica dal 2005, per il primo passaggio di potere democratico della sua storia
Dal calcio alla politica: George Weah, molto amato in patria, potrebbe diventare il prossimo presidente della Liberia. Secondo i dati parziali, l'ex giocatore del Milan sarebbe in testa in undici delle 15 circoscrizioni elettorali. Ma nel paese sembra regnare un clima di caos, alimentato da numeri non ufficiali circolati su internet. In pieno scrutinio, la Rete ha incoronato Weah. Dai social a Monrovia, i suoi sostenitori sono scesi per le strade e hanno fatto festa senza attendere i risultati ufficiali. Tra i primi a scrivere all'ex compagno di squadra del Milan, Paolo Maldini e Marcel Desailly.
A reclamare la vittoria non sono solo i sostenitori di Weah, che ancora non si è espresso sulle proieizioni di voto. Convinto di andare al ballottaggio - per vincere al primo turno occorre superare la soglia del 50% - c'è il vicepresidente uscente Joseph Boakai, uno dei favoriti alla poltrona presidenziale che ha dichiarato di essere in netto vantaggio rispetto agli altri 19 candidati in lizza. Dichiarazioni che si susseguono e che hanno in qualche modo hanno spinto la presidente uscente Ellen Johnson Sirleaf, prima donna alla guida di un paese in Africa, ha invitare tutte le parti ad aspettare i risultati definitivi. Insignita del Nobel per la Pace nel 2005, la politica, economista e imprenditrice, ha assicurato che la Liberia è "pronta per la sua prima transizione democratica". Parole che tentano di raffreddare voci critiche che arrivano da più parti. Come quelle dell'avvocato Charles Brumskine e dell'ex manager della Coca-Cola Alexander Cummings, attesi in terza posizione alle presidenziali e che speravano di arrivare al ballottaggio. Più di un candidato ha ipotizzato possibili brogli. Nulla è stato confermato e gli osservatori elettorali internazionali hanno invitato i candidati di rivolgersi alla giustizia liberiana.
Quello che è sicuro è una forte partecipazione al voto e sporadici problemi organizzativi, che fortunatamente non hanno creato particolari difficoltà nelle operazioni di voto e di scrutinio. L'alta affluenza segnerà la storia di questo paese che, uscito dalla guerra civile nel 2003, si sta confrontando con quella che comunemente ci hanno abituato chiamare democrazia.
A reclamare la vittoria non sono solo i sostenitori di Weah, che ancora non si è espresso sulle proieizioni di voto. Convinto di andare al ballottaggio - per vincere al primo turno occorre superare la soglia del 50% - c'è il vicepresidente uscente Joseph Boakai, uno dei favoriti alla poltrona presidenziale che ha dichiarato di essere in netto vantaggio rispetto agli altri 19 candidati in lizza. Dichiarazioni che si susseguono e che hanno in qualche modo hanno spinto la presidente uscente Ellen Johnson Sirleaf, prima donna alla guida di un paese in Africa, ha invitare tutte le parti ad aspettare i risultati definitivi. Insignita del Nobel per la Pace nel 2005, la politica, economista e imprenditrice, ha assicurato che la Liberia è "pronta per la sua prima transizione democratica". Parole che tentano di raffreddare voci critiche che arrivano da più parti. Come quelle dell'avvocato Charles Brumskine e dell'ex manager della Coca-Cola Alexander Cummings, attesi in terza posizione alle presidenziali e che speravano di arrivare al ballottaggio. Più di un candidato ha ipotizzato possibili brogli. Nulla è stato confermato e gli osservatori elettorali internazionali hanno invitato i candidati di rivolgersi alla giustizia liberiana.
Quello che è sicuro è una forte partecipazione al voto e sporadici problemi organizzativi, che fortunatamente non hanno creato particolari difficoltà nelle operazioni di voto e di scrutinio. L'alta affluenza segnerà la storia di questo paese che, uscito dalla guerra civile nel 2003, si sta confrontando con quella che comunemente ci hanno abituato chiamare democrazia.