Quando l'arte diventa vittima del potere: dalle braghe conciliari alle fiamme naziste
La censura delle opere dei Musei Capitolini ritenute offensive per la sensibilità del primo ministro iraniano Rohani in visita in Italia e per questo nascoste dietro alcuni pannelli ha suscitato clamore internazionale e grandi polemiche. Strali diretti anche al primo ministro Matteo Renzi che aveva recentemente parlato dell'importanza del ruolo della cultura nella lotta al terrorismo visto come versione estrema dell'intolleranza oscurantista.
Non molto tempo fa Matteo Renzi stesso aveva creato per altro un precedente. Durante la visita a Firenze del principe ereditario degli Emirati Arabi, Mohammed Bin Zayed Al Nahyan nell'ottobre scorso, il premier aveva ritenuto opportuno "velare" un nudo maschile, opera di Jeff Koons ed esposto a Palazzo Vecchio, sempre per motivi di "delicatezza" diplomatica.
L'artista americano per altro è abituato a sfidare la censura: ricordiamo l'opera in cui si ritrasse in posa erotica con la moglie Ilona Staller, in arte Cicciolina.
Ma la storia del rapporto conflittuale tra arte e potere è lunga. L'episodio ovviamente più noto è l'apposizione delle "braghe" al giudizio universale di Michelangelo disposta il 21 gennaio 1564 dalla Congregazione del Concilio di Trento e commissionata a Daniele da Volterra che da allora fu insignito del soprannome di "Braghettone".
Non andò meglio a Michelangelo Merisi da Caravaggio nel 1606 con la sua Vergine morta troppo sensuale e terrigna. I Carmelitani Scalzi che gliela avevano commissionata furono particolarmente sconvolti dai piedi scoperti fino alla caviglia.
Nell'800 campione di censure per offesa al comune senso del pudore fu certamente Édouard Manet che irritò i benpensanti con i suoi capolavori: "Colazione sull'erba" e "Olympia".
All'inzio del '900 Egon Schiele fu arrestato per aver fatto circolare "disegni osceni", uno dei quali fu addirittura bruciato in tribunale. Sorte ancora più triste toccò ad alcune opere allegoriche di Gustav Klimt commissionategli dall'Università di Vienna all'inizio del secolo, tra queste lo straordinario pannello intitolato "Giurisprudenza".
Queste opere, che già avevano suscitato polemiche all'epoca della prima esposizione, fecero una tragica e simbolica fine al termine della Seconda Guerra Mondiale. Le truppe naziste in fuga dall'Austria, nella notte tra il 7 e l'8 maggio del 1945 appiccarono infatti il fuoco al Castello di Immendorf dove i capolavori di Klimt, che pure avevano ricevuto le stimmate di "arte degenerata", erano stati trasferiti. Secondo il rapporto di polizia, dopo aver trascorso la notte in un'orgia nella sala dove erano esposti i quadri, i gerarchi delle SS, poco prima dell'arrivo delle truppe russe, minarono il castello e i capolavori di Klimt andarono in fumo nell'incendio che ne seguì.