Hotel Rigopiano, 4 anni dopo: l'hotel di lusso sul Gran Sasso travolto dalla valanga
Quattro anni fa la tragedia che sconvolse l'Italia. Il resort di lusso a Rigopiano, una località turistica montana del comune di Farindola, in provincia di Pescara (Abruzzo), fu inghiottito da una valanga dal peso di 120 mila tonnellate. La catena degli aiuti fece fatica a mettersi in moto, in 29 morirono
Una valanga di 120 mila tonnellate di neve e ghiaccio dal Monte Siella travolge l'hotel Rigopiano di Farindola. È il 18 gennaio 2017 e nel resort di lusso ci sono 40 persone: 28 ospiti, di cui 4 bambini, e 12 dipendenti. Isolati per via della neve e terrorizzati dalle quattro scosse di terremoto, di magnitudo 5.1, con epicentro nell'Aquilano, da ore i villeggianti attendono con apprensione i soccorsi. Impossibile andare via con i propri mezzi. La strada provinciale dall'hotel al bivio Mirri, lunga 9,3 chilometri, è "impercorribile per ingombro neve - riporterà l'inchiesta - di fatto rendendo impossibile a tutti i presenti nell'albergo di allontanarsi dallo stesso, tanto più in quanto allarmati dalle scosse di terremoto del 18 gennaio".
Un incubo iniziato qualche ora prima, quando l'amministratore dell'hotel invia un'email alle autorità per avvisare della "situazione preoccupante". Seguono varie telefonate di aiuto, a cominciare da Gabriele D'Angelo, cameriere dell'Hotel Rigopiano, deceduto nel disastro, tra i primi a chiedere l'evacuazione del resort. La sorella di Roberto Del Rosso, proprietario della struttura, si reca personalmente in Provincia a chiedere aiuto. Tutte le richieste, però, restano inascoltate. Agli ospiti, ignari dell'imminente valanga, non rimane che attendere l'arrivo dello spazzaneve.
COMMEMORAZIONE
Per il quarto anno consecutivo i familiari delle vittime hanno annunciato di ritrovarsi sul luogo del disastro per commemorare i propri cari. Una cerimonia riservata esclusivamente ai parenti a causa delle restrizioni legate alla pandemia. È prevista anche una fiaccolata e la deposizione dei fiori e una preghiera per gli "Angeli di Rigopiano", preceduta dall'alzabandiera con il silenzio suonato dalla tromba. Si terrà una messa e un coro intonerà il brano "Signore delle cime" quando si lasceranno volare in cielo 29 lanterne o palloncini. Infine, ci sarà la lettura dei nomi delle vittime nell'area in cui un tempo sorgeva l'hotel Rigopiano.
LE INCHIESTE
Sul fronte giudiziario, il processo per accertare le presunte responsabilità della morte delle 29 vittime si trova ancora
nella fase dell'udienza preliminare. Un ritardo dovuto sia a questioni processuali sia ai rinvii dovuti all'emergenza Coronavirus. La vicenda giudiziaria conta in totale 30 imputati (29 persone e una società) e vede riuniti in un unico procedimento davanti al gup del Tribunale di Pescara, Gianluca Sarandrea, l'inchiesta principale e quella sul depistaggio. La prossima udienza è fissata il 5 marzo.
La prima inchiesta
Sulle 29 persone morte la Procura di Pescara, che il 26 novembre scorso ha chiuso l'inchiesta su Rigopiano, non ha dubbi: negligenza, imperizia e imprudenza, a tutti i livelli istituzionali, causarono la tragedia. Gli indagati sono 25 e sono accusati, a vario titolo, di disastro colposo, lesioni plurime colpose, omicidio plurimo colposo, falso ideologico, abuso edilizio, omissione di atti d'ufficio, abuso d'atti d'ufficio. L'inchiesta del procuratore capo Massimiliano Serpi e del sostituto Andrea Papalia chiama in causa Regione Abruzzo, Prefettura, Provincia di Pescara, Comune di Farindola.
Tra gli indagati figurano l'ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, l'ex presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco e alcuni dirigenti della Regione. Sono invece 18 le richieste di archiviazione: si tratta per la maggior parte di politici delle ultime tre giunte regionali coinvolti nel corso delle indagini. Tra questi politici ci sono i tre ex governatori abruzzesi Luciano D'Alfonso, Ottaviano Del Turco e Gianni Chiodi. I familiari delle vittime si sono però opposti alle richieste di archiviazione e l'ultima parola spetterà al gip.
La seconda inchiesta
La Procura ha aperto l'inchiesta bis su Rigopiano ipotizzando i reati di frode in processo penale e depistaggio a carico di sette persone, che all'epoca dei fatti lavoravano in Prefettura. Tra loro ci sono anche l'ex prefetto Provolo e Daniela Acquaviva, la funzionaria salita alla ribalta delle cronache perché nella telefonata del ristoratore Quintino Marcella - che per primo la sera della tragedia lanciò l'allarme - disse la frase "la madre degli imbecilli è sempre incinta".
L'accusa alla base di questa seconda inchiesta è di aver occultato il brogliaccio delle segnalazioni del 18 gennaio 2017 alla squadra Mobile di Pescara per nascondere la chiamata di soccorso fatta alle 11.38 dal cameriere D'Angelo, una delle 29 vittime, al Centro coordinamento soccorsi. Richieste di aiuto, secondo l'avvocato Emanuela Rosa, legale della famiglia D'Angelo, che "qualora ascoltate, avrebbero potuto cambiare l'esito degli eventi".
LA STORIA: DA RIFUGIO A HOTEL RIGOPIANO
Un rifugio gestito dal Club Alpino Italiano (Cai) intitolato alla medaglia d'oro al valor militare Tito Acerbo, morto nel 1918 nella battaglia del Piave: questo era l'hotel Rigopiano divenuto nel tempo, dopo diverse ristrutturazioni, un resort di lusso. La prima immagine di una baita in pietra su due piani risale al 1958. Farindola, sul versante aquilano del Gran Sasso, 1200 metri, a pochi chilometri dall'altopiano di Vado di Sole e da Campo Imperatore. Un luogo da incanto per un riparo alpino destinato nel tempo a diventare un'oasi di relax con spa all'aperto. L'idea di costruire l'albergo fu di Ermanno Del Rosso, professione geometra. Correva l'anno 1967, e Del Rosso, dopo aver contributo alla realizzazione della strada che portava alla frazione di Farindola, 1200 metri di altezza, scelse quell'appezzamento di terra per realizzare il suo sogno. L'hotel restò aperto per pochi anni, la struttura, venne infatti chiusa alla morte del fondatore e la proprietà venne ereditata dai nipoti. Agli inizi degli anni duemila, è Roberto Del Rosso a investire a Rigopiano. Insieme agli altri cugini crea una società, la Del Rosso srl e l'albergo viene ristrutturato. Liti, incomprensioni, quote rivendute, il terremoto dell'Aquila 2009, ipotesi di reato di corruzione relative a sanatorie proposte da amministratori locali - successivamente assolti -, non fermano il progetto dell'hotel.
Un incubo iniziato qualche ora prima, quando l'amministratore dell'hotel invia un'email alle autorità per avvisare della "situazione preoccupante". Seguono varie telefonate di aiuto, a cominciare da Gabriele D'Angelo, cameriere dell'Hotel Rigopiano, deceduto nel disastro, tra i primi a chiedere l'evacuazione del resort. La sorella di Roberto Del Rosso, proprietario della struttura, si reca personalmente in Provincia a chiedere aiuto. Tutte le richieste, però, restano inascoltate. Agli ospiti, ignari dell'imminente valanga, non rimane che attendere l'arrivo dello spazzaneve.
COMMEMORAZIONE
Per il quarto anno consecutivo i familiari delle vittime hanno annunciato di ritrovarsi sul luogo del disastro per commemorare i propri cari. Una cerimonia riservata esclusivamente ai parenti a causa delle restrizioni legate alla pandemia. È prevista anche una fiaccolata e la deposizione dei fiori e una preghiera per gli "Angeli di Rigopiano", preceduta dall'alzabandiera con il silenzio suonato dalla tromba. Si terrà una messa e un coro intonerà il brano "Signore delle cime" quando si lasceranno volare in cielo 29 lanterne o palloncini. Infine, ci sarà la lettura dei nomi delle vittime nell'area in cui un tempo sorgeva l'hotel Rigopiano.
LE INCHIESTE
Sul fronte giudiziario, il processo per accertare le presunte responsabilità della morte delle 29 vittime si trova ancora
nella fase dell'udienza preliminare. Un ritardo dovuto sia a questioni processuali sia ai rinvii dovuti all'emergenza Coronavirus. La vicenda giudiziaria conta in totale 30 imputati (29 persone e una società) e vede riuniti in un unico procedimento davanti al gup del Tribunale di Pescara, Gianluca Sarandrea, l'inchiesta principale e quella sul depistaggio. La prossima udienza è fissata il 5 marzo.
La prima inchiesta
Sulle 29 persone morte la Procura di Pescara, che il 26 novembre scorso ha chiuso l'inchiesta su Rigopiano, non ha dubbi: negligenza, imperizia e imprudenza, a tutti i livelli istituzionali, causarono la tragedia. Gli indagati sono 25 e sono accusati, a vario titolo, di disastro colposo, lesioni plurime colpose, omicidio plurimo colposo, falso ideologico, abuso edilizio, omissione di atti d'ufficio, abuso d'atti d'ufficio. L'inchiesta del procuratore capo Massimiliano Serpi e del sostituto Andrea Papalia chiama in causa Regione Abruzzo, Prefettura, Provincia di Pescara, Comune di Farindola.
Tra gli indagati figurano l'ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, l'ex presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco e alcuni dirigenti della Regione. Sono invece 18 le richieste di archiviazione: si tratta per la maggior parte di politici delle ultime tre giunte regionali coinvolti nel corso delle indagini. Tra questi politici ci sono i tre ex governatori abruzzesi Luciano D'Alfonso, Ottaviano Del Turco e Gianni Chiodi. I familiari delle vittime si sono però opposti alle richieste di archiviazione e l'ultima parola spetterà al gip.
La seconda inchiesta
La Procura ha aperto l'inchiesta bis su Rigopiano ipotizzando i reati di frode in processo penale e depistaggio a carico di sette persone, che all'epoca dei fatti lavoravano in Prefettura. Tra loro ci sono anche l'ex prefetto Provolo e Daniela Acquaviva, la funzionaria salita alla ribalta delle cronache perché nella telefonata del ristoratore Quintino Marcella - che per primo la sera della tragedia lanciò l'allarme - disse la frase "la madre degli imbecilli è sempre incinta".
L'accusa alla base di questa seconda inchiesta è di aver occultato il brogliaccio delle segnalazioni del 18 gennaio 2017 alla squadra Mobile di Pescara per nascondere la chiamata di soccorso fatta alle 11.38 dal cameriere D'Angelo, una delle 29 vittime, al Centro coordinamento soccorsi. Richieste di aiuto, secondo l'avvocato Emanuela Rosa, legale della famiglia D'Angelo, che "qualora ascoltate, avrebbero potuto cambiare l'esito degli eventi".
LA STORIA: DA RIFUGIO A HOTEL RIGOPIANO
Un rifugio gestito dal Club Alpino Italiano (Cai) intitolato alla medaglia d'oro al valor militare Tito Acerbo, morto nel 1918 nella battaglia del Piave: questo era l'hotel Rigopiano divenuto nel tempo, dopo diverse ristrutturazioni, un resort di lusso. La prima immagine di una baita in pietra su due piani risale al 1958. Farindola, sul versante aquilano del Gran Sasso, 1200 metri, a pochi chilometri dall'altopiano di Vado di Sole e da Campo Imperatore. Un luogo da incanto per un riparo alpino destinato nel tempo a diventare un'oasi di relax con spa all'aperto. L'idea di costruire l'albergo fu di Ermanno Del Rosso, professione geometra. Correva l'anno 1967, e Del Rosso, dopo aver contributo alla realizzazione della strada che portava alla frazione di Farindola, 1200 metri di altezza, scelse quell'appezzamento di terra per realizzare il suo sogno. L'hotel restò aperto per pochi anni, la struttura, venne infatti chiusa alla morte del fondatore e la proprietà venne ereditata dai nipoti. Agli inizi degli anni duemila, è Roberto Del Rosso a investire a Rigopiano. Insieme agli altri cugini crea una società, la Del Rosso srl e l'albergo viene ristrutturato. Liti, incomprensioni, quote rivendute, il terremoto dell'Aquila 2009, ipotesi di reato di corruzione relative a sanatorie proposte da amministratori locali - successivamente assolti -, non fermano il progetto dell'hotel.