55 anni fa la Chiesa abolì l'Indice dei Libri Proibiti
Tra i libri proibiti il De Monarchia di Dante Alighieri, il Decamerone di Giovanni Boccaccio. Nella lista anche D'Annunzio e Moravia
Sono passati 55 anni dalla fine della censura ecclesiastica. Creato nel 1559 da papa Paolo IV, l’Index librorum prohibitorum, ossia l’elenco delle pubblicazioni messe al bando in quanto considerate eretiche, fu abolito solo nel 1966.
L’uso di pubblicare elenchi di libri proibiti dalle varie autorità ebbe origine dopo il divieto, sancito nel 1515 dal IV Concilio Lateranense, di stampare volumi senza il previo esame del vescovo. Si trattava di liste, non ufficiali e incomplete. Durante il Concilio di Trento, che doveva arginare la riforma di Martin Lutero, l'idea di un indice vero e proprio si fece sempre più strada. Nel 1548, ne stilò uno monsignor Giovanni Della Casa, l’autore del Galateo, arcivescovo di Benevento e nunzio apostolico a Venezia.
Nel 1557, e poi con maggior accuratezza nel 1559, il Sant’Uffizio pubblicò per ordine di Paolo IV Carafa il primo Index Librorum Prohibitorum ufficiale, detto Paolino. Era composto da tre elenchi: uno degli autori (di cui erano proibiti tutti gli scritti), un altro dei titoli dei libri col nome dei rispettivi autori (ne conteneva 126 di 117 autori), e un terzo degli scritti anonimi (332 opere). Il decreto dell'Inquisizione romana prescriveva, pena la scomunica, «Che nessuno osi ancora scrivere, pubblicare, stampare o far stampare, vendere, comprare, dare in prestito, in dono o con qualsiasi altro pretesto, ricevere, tenere con sé, conservare o far conservare qualsiasi dei libri scritti e elencati in questo Indice del Sant'Uffizio».
Vi erano inoltre elencate 45 edizioni proibite della Bibbia, oltre a tutte le Bibbie nelle lingue volgari, in particolare le traduzioni tedesche, francesi, spagnole, italiane, inglesi e fiamminghe. Veniva condannata l'intera produzione di 61 tipografi, soprattutto svizzeri e tedeschi: di essi erano proibiti tutti i libri, anche quelli riguardanti argomenti non religiosi, in qualsiasi lingua e di qualsiasi autore; questa disposizione aveva l'obiettivo di scoraggiare gli editori a pubblicare autori protestanti di lingua tedesca. Infine si proibivano intere categorie di libri, come quelli di magia cerimoniale.
Tra i libri proibiti c'erano: Dante Alighieri (De Monarchia), Agrippa di Nettesheim (Opera omnia), il Talmud, Guglielmo di Ockham (Opera omnia) e Luciano di Samosata (Opera omnia), Niccolò Machiavelli (Opera omnia), Giovanni Boccaccio (Decamerone) e Masuccio Salernitano (Il Novellino).
Il secondo Indice (detto Tridentino o Index librorum prohibitorum a Summo Pontifice) venne pubblicato durante l'ultima sessione del Concilio di Trento. Recependo un'indicazione del Concilio, papa Pio IV (1559-1565) lo fece rivedere e aggiornare. Era composto da due parti: nella prima vi erano elencati dieci principi generali che specificavano le categorie di cui si componeva l'Indice; la seconda parte conteneva l'elenco dei libri proscritti. Venne applicato in quasi tutta l'Italia e in gran parte dell'Europa. La Spagna applicò anche l'indice redatto dall'Inquisizione locale, provvista di pieni poteri già dal 1559.
Nel 1571, Papa Pio V istituì nel 1571 la "Congregazione dell'Indice", per tenere aggiornato l'Indice e reinviarlo periodicamente alle sedi locali dell'Inquisizione, da dove veniva diffuso presso tutti i librai.
L'indice nei suoi quattro secoli di vita venne aggiornato più di venti volte (l'ultima nel 1948) e fu abolito in seguito alle riforme del Concilio Vaticano II, nel 1966, sotto papa Paolo VI. Solo l'Opus Dei mantiene in vigore, una sorta di Indice sotto forma di semplice guida bibliografica.
Lo scopo dell'elenco era quello di ostacolare la possibile contaminazione della fede e la corruzione morale attraverso la lettura di scritti il cui contenuto veniva considerato dall'autorità ecclesiastica non corretto sul piano strettamente teologico, se non addirittura immorale.
Secondo la legge canonica, le forme di controllo sulla letteratura dovevano essere principalmente due: una prima, di censura preventiva, che poteva concedere il classico imprimatur ai libri redatti da cattolici su tematiche riguardanti la morale o la fede; una seconda, di aperta condanna, per volumi considerati offensivi: questa prevedeva l'inserimento nell'index dei libri incriminati.
Nei secoli l'Indice si riempì dei nomi di gran parte degli autori più rappresentativi del mondo europeo moderno, di cui erano vietati uno o più testi, o addirittura l'opera omnia. Da Francesco Bacone a Honoré de Balzac, da George Berkeley a Cartesio, e poi ancora Colette, Auguste Comte, Daniel Defoe, Denis Diderot, Alexandre Dumas (padre) e Alexandre Dumas (figlio), Gustave Flaubert, Thomas Hobbes, Victor Hugo, Immanuel Kant, Jean de La Fontaine, John Locke, Karl Marx, John Stuart Mill, Montaigne, Montesquieu, Blaise Pascal, Jean-Jacques Rousseau, George Sand, Spinoza, Stendhal, Voltaire, Émile Zola.
Tra gli italiani finiti all'indice ci sono stati Vittorio Alfieri, Pietro Aretino, Cesare Beccaria, Giordano Bruno, Benedetto Croce, Gabriele D'Annunzio, Antonio Fogazzaro, Ugo Foscolo, Galileo Galilei, Giovanni Gentile, Giulio Cesare Vanini, Francesco Guicciardini, Giacomo Leopardi, Niccolò Machiavelli, Ada Negri, Enea Silvio Piccolomini (papa Pio II), Giovanni Pico della Mirandola, Girolamo Savonarola.
Tra gli ultimi ad entrare nella lista Simone de Beauvoir, André Gide, Jean-Paul Sartre, Alberto Moravia, Aldo Capitini e Alfred Rosenberg.
Il 14 giugno del 1966 arrivò l’annuncio dell'abolizione dell'Indice, o meglio la notifica della perdita del suo valore giuridico di legge ecclesiastica, poiché - si legge - “l’Indice rimane moralmente impegnativo, in quanto ammonisce la coscienza dei cristiani a guardarsi, per una esigenza che scaturisce dallo stesso diritto naturale, da quegli scritti che possono mettere in pericolo la fede e i costumi".
L’uso di pubblicare elenchi di libri proibiti dalle varie autorità ebbe origine dopo il divieto, sancito nel 1515 dal IV Concilio Lateranense, di stampare volumi senza il previo esame del vescovo. Si trattava di liste, non ufficiali e incomplete. Durante il Concilio di Trento, che doveva arginare la riforma di Martin Lutero, l'idea di un indice vero e proprio si fece sempre più strada. Nel 1548, ne stilò uno monsignor Giovanni Della Casa, l’autore del Galateo, arcivescovo di Benevento e nunzio apostolico a Venezia.
Nel 1557, e poi con maggior accuratezza nel 1559, il Sant’Uffizio pubblicò per ordine di Paolo IV Carafa il primo Index Librorum Prohibitorum ufficiale, detto Paolino. Era composto da tre elenchi: uno degli autori (di cui erano proibiti tutti gli scritti), un altro dei titoli dei libri col nome dei rispettivi autori (ne conteneva 126 di 117 autori), e un terzo degli scritti anonimi (332 opere). Il decreto dell'Inquisizione romana prescriveva, pena la scomunica, «Che nessuno osi ancora scrivere, pubblicare, stampare o far stampare, vendere, comprare, dare in prestito, in dono o con qualsiasi altro pretesto, ricevere, tenere con sé, conservare o far conservare qualsiasi dei libri scritti e elencati in questo Indice del Sant'Uffizio».
Vi erano inoltre elencate 45 edizioni proibite della Bibbia, oltre a tutte le Bibbie nelle lingue volgari, in particolare le traduzioni tedesche, francesi, spagnole, italiane, inglesi e fiamminghe. Veniva condannata l'intera produzione di 61 tipografi, soprattutto svizzeri e tedeschi: di essi erano proibiti tutti i libri, anche quelli riguardanti argomenti non religiosi, in qualsiasi lingua e di qualsiasi autore; questa disposizione aveva l'obiettivo di scoraggiare gli editori a pubblicare autori protestanti di lingua tedesca. Infine si proibivano intere categorie di libri, come quelli di magia cerimoniale.
Tra i libri proibiti c'erano: Dante Alighieri (De Monarchia), Agrippa di Nettesheim (Opera omnia), il Talmud, Guglielmo di Ockham (Opera omnia) e Luciano di Samosata (Opera omnia), Niccolò Machiavelli (Opera omnia), Giovanni Boccaccio (Decamerone) e Masuccio Salernitano (Il Novellino).
Il secondo Indice (detto Tridentino o Index librorum prohibitorum a Summo Pontifice) venne pubblicato durante l'ultima sessione del Concilio di Trento. Recependo un'indicazione del Concilio, papa Pio IV (1559-1565) lo fece rivedere e aggiornare. Era composto da due parti: nella prima vi erano elencati dieci principi generali che specificavano le categorie di cui si componeva l'Indice; la seconda parte conteneva l'elenco dei libri proscritti. Venne applicato in quasi tutta l'Italia e in gran parte dell'Europa. La Spagna applicò anche l'indice redatto dall'Inquisizione locale, provvista di pieni poteri già dal 1559.
Nel 1571, Papa Pio V istituì nel 1571 la "Congregazione dell'Indice", per tenere aggiornato l'Indice e reinviarlo periodicamente alle sedi locali dell'Inquisizione, da dove veniva diffuso presso tutti i librai.
L'indice nei suoi quattro secoli di vita venne aggiornato più di venti volte (l'ultima nel 1948) e fu abolito in seguito alle riforme del Concilio Vaticano II, nel 1966, sotto papa Paolo VI. Solo l'Opus Dei mantiene in vigore, una sorta di Indice sotto forma di semplice guida bibliografica.
Lo scopo dell'elenco era quello di ostacolare la possibile contaminazione della fede e la corruzione morale attraverso la lettura di scritti il cui contenuto veniva considerato dall'autorità ecclesiastica non corretto sul piano strettamente teologico, se non addirittura immorale.
Secondo la legge canonica, le forme di controllo sulla letteratura dovevano essere principalmente due: una prima, di censura preventiva, che poteva concedere il classico imprimatur ai libri redatti da cattolici su tematiche riguardanti la morale o la fede; una seconda, di aperta condanna, per volumi considerati offensivi: questa prevedeva l'inserimento nell'index dei libri incriminati.
Nei secoli l'Indice si riempì dei nomi di gran parte degli autori più rappresentativi del mondo europeo moderno, di cui erano vietati uno o più testi, o addirittura l'opera omnia. Da Francesco Bacone a Honoré de Balzac, da George Berkeley a Cartesio, e poi ancora Colette, Auguste Comte, Daniel Defoe, Denis Diderot, Alexandre Dumas (padre) e Alexandre Dumas (figlio), Gustave Flaubert, Thomas Hobbes, Victor Hugo, Immanuel Kant, Jean de La Fontaine, John Locke, Karl Marx, John Stuart Mill, Montaigne, Montesquieu, Blaise Pascal, Jean-Jacques Rousseau, George Sand, Spinoza, Stendhal, Voltaire, Émile Zola.
Tra gli italiani finiti all'indice ci sono stati Vittorio Alfieri, Pietro Aretino, Cesare Beccaria, Giordano Bruno, Benedetto Croce, Gabriele D'Annunzio, Antonio Fogazzaro, Ugo Foscolo, Galileo Galilei, Giovanni Gentile, Giulio Cesare Vanini, Francesco Guicciardini, Giacomo Leopardi, Niccolò Machiavelli, Ada Negri, Enea Silvio Piccolomini (papa Pio II), Giovanni Pico della Mirandola, Girolamo Savonarola.
Tra gli ultimi ad entrare nella lista Simone de Beauvoir, André Gide, Jean-Paul Sartre, Alberto Moravia, Aldo Capitini e Alfred Rosenberg.
Il 14 giugno del 1966 arrivò l’annuncio dell'abolizione dell'Indice, o meglio la notifica della perdita del suo valore giuridico di legge ecclesiastica, poiché - si legge - “l’Indice rimane moralmente impegnativo, in quanto ammonisce la coscienza dei cristiani a guardarsi, per una esigenza che scaturisce dallo stesso diritto naturale, da quegli scritti che possono mettere in pericolo la fede e i costumi".