Israele, ritratto di un paese a 70 anni
Una fiorente economia hi-tech in una regione ostile e dalle profonde diseguaglianze, una democrazia di stampo occidentale in affanno segnata da frequenti scandali, una società laica e multiculturale alle prese con l'oltranzismo ortodosso e il radicalismo islamico, e l'irrisolta ferita della questione palestinese, a settanta anni dalla dichiarazione di Indipendenza, ecco come è oggi lo Stato di Israele.
Crescita e diseguaglianze
Sospinto dal vivacissimo settore dell'alta tecnologia, il PIL pro capite di Israele, circa 40mila dollari, lo colloca a pieno titolo tra i paesi più avanzati economicamente, alla pari di Italia e Corea del Sud e non lontano da potenze economiche come Francia e Gran gretagna. Ma soffre anche di uno dei più alti livelli di disuguaglianza nel mondo sviluppato,. La povertà è particolarmente diffusa tra i cittadini arabi-israeliani e gli ebrei ultra-ortodossi. Questi due gruppi rappresentano quasi un terzo della popolazione e sono quelli in crescita dal punto di vista demografico e dunque rischiano, in prospettiva, se le diseguaglianze non vengono affrontate di rallentare l'economia.
Hard e soft power
Per un paese di poco meno di 9 milioni, Israele ha avuto un successo sorprendente. Conta ben otto vincitori del premio Nobel tuttora in vita tra i suoi cittadini e ha contribuito a dare al mondo tecnologie come la messaggistica istantanea, i microprocessori e le auto intelligenti. L'hi-tech sviluppato dall'esercito ha reso Israele una potenza mondiale per quanto riguarda la sicurezza informatica. Fa parte del piccolo club di nazioni che ha lanciato in orbita satelliti e di quello ancora più ristretto che dispone di armi nucleari, anche se il governo non lo ha mai confermato ufficialmente. Israele ha una delle forze aeree più forti del mondo. I successi del Paese spaziano anche sul fronte del cosiddetto "soft power", dal cinema, basti ricordare uno dei film più popolari dello scorso anno, "Wonder Woman" che vedeva come protagonista l'attrice israeliana Gal Gadot, allo sport con il recente successo della nazionale della Stella di David ai campionati europei di basket.
La questione dell'identità nazionale
Nonostante decenni di sviluppo, Israele sta ancora lavorando per forgiare un'identità nazionale. Oltre un secolo fa, i sionisti in Europa vedevano gli ebrei come una vera e propria nazione, non solo una religione. La persecuzione in Europa culminata nell'Olocausto durante la Seconda Guerra Mondiale ha spinto gli ebrei europei a riversarsi in Terra Santa. Subito dopo la fondazione di Israele nel 1948, a questi primi insediamenti si aggiunsero immigrati provenienti da paesi come il Marocco, lo Yemen, l'Iraq e l'Iran. Questi ebrei mediorientali, o Mizrahi, avevano poco in comune con le loro controparti europee. Erano più poveri, più religiosi e spesso subivano discriminazioni. Tre generazioni di integrazione e matrimoni misti hanno attenuato le distinzioni, ma permangono differenze. Gli arrivi dall'ex Unione Sovietica e dall'Etiopia hanno reso Israele un Paese ancora più variegato ma le diverse comunità spesso si mantengono separate. In questo contesto multiculturale i politici nazionalisti spingono per una legislazione che definisca Israele come stato-nazione ebraica.
La questione religiosa
Dopo 70 anni, il ruoo della religione nello stato ebraico è ancora in discussione. Israele è un paese sostanzialmente laica dove la maggior parte delle persone vive la fede in modo molto moderato, tipico delle società occidentali democratiche secolarizzate. Eppure gli ultraortodossi, che rappresentano solo il 10% della popolazione esercitano una forte influenza sul piano politico. Una influenza sostanzialmente dovuta al fattto che le coalizioni politichedi destra non sono mai state in grado di raggiungere una maggioranza senza il loro apporto. Temi sensibili come il rigoroso rispetto del Sabato e l'esenzione dallla leva militare, una istituzione questa si davvero quasi sacra in Israele, sono alcuni esempi dell'impatto di questa agguerrita minoranza religiosa nella società più laica del Medio Oriente. Un impatto che ha influito anche sulle relazioni con gli ebrei americani - la più grande comunità ebraica fuori dai confini di Israele. L'establishment ortodosso israeliano si oppone strenuamente alla "contaminazione" di un ebraismo meno tradizionalista molto popolare negli Stati Uniti. L'anno scorso per esempio è riuscito a bloccare il progetto per consentire la preghiera egualitaria davanti al Muro del Pianto a Gerusalemme.
Le relazioni con il Mondo Arabo
La prima cosa che fecero i Paesi arabi confinanti quando Israele dichiarò l'indipendenza fu attaccarlo. Da allora prosegue uno stato di guerra, calda e fredda, permanente che ha vissuto un momento cruciale nel 1967, con la guerra al termine della quale Israele allargò i propri confini su territori strappati alla Siria, alla Giordania e all'Egitto. Negli ultimi 50 anni più volte sono state immaginate "road map" verso una soluzione del conflitto mediorientale e il cosiddetto processo di pace è stato più volte intrapreso e ialtrettante volte nterrotto, dopo l'accordo di pace del 1979 con l'Egitto - il primo di Israele con un paese arabo - e quello con la Giordania nel 1994. Un accordo raggiunto dopo la storica stretta di mano tra Yasser Arafat e Yitzhak Rabin nel settembre del 1993 che sembrava aprire la strada alla pace ma che si rivelò effimera e illusoria. Oggi il primo ministro israeliano Netanyahu vanta legami rafforzati con paesi come l'India, la Cina e la Russia oltre che con paesi arabi cosiddetti moderati come l'Arabia Saudita e altre nazioni del Golfo che condividono le preoccupazioni di Israele sul vero nemico giurato che è l'Iran sciita degli Ayatollah. L'Arabia Saudita ora consente voli tra Israele e India per utilizzare il suo spazio aereo. Ma lsenza una soluzione della questione palestinese, queste buone relazioni formali rimangono assai fragili.
La questione palestinese
Durò poco l'euforia di quegli accordi che a metà degli anni Novanta sembravano aprire la strada alla pace. Le parti si accordarono per l'istituzione di un'autonoma "Autorità palestinese" con poteri limitati su alcune isole di territorio, ma non sono mai state in grado di raggiungere un accordo definitivo. Un incapacità o una mancanza di volontà che è costata la vita a migliaia di persone. I rapporti tra Israele e l'Autorità palestinese sono stati sempre assai tesi e le cose sono peggiorate da quando Hamas, la fazione più radicale che mantiene nel suo Statuto l'obiettivo di cancellare Israele dalle carte geografiche, ha preso il controllo di Gaza. Ne sono scaturiti almeno tre conflitti aperti con il lancio di razzi da parte palesitinese e le rappresaglie per le quali Israele è stata criticata pesanetemente con accuse di crimini di guerra per le vittime civili a Gaza.L'ultimo caso pochi giorni fa con oltre 20 palestinesi uccisi durante le proteste al confine. Oggi, nonostante l'accordo di autonomia, Israele mantiene un controllo effettivo sulla Cisgiordania e su circadue milioni e mezzo di palestinesi. A questo si aggiunge la costruzione del Muro e la questione dei coloni e dei loro insediamenti su un territorio martoriato e conteso.
Per anni, è sembrato che Israele accettasse la prospettiva dei "due popoli, due Stati" con una entità palestinese accanto che le consentisse di mantenere il suo status di democrazia a maggioranza ebraica. Oggi questa prospettiva sembra arenarsi e l'attuale governo israeliano si oppone drasticamente all'idea stessa di negoziati. Gli avversari considerano questa una scelta suicida. Alla tenera età di 70 anni lo Stato di Israele si trova da questo punto di vista di fronte a un bivio drammatico: dare ai palestinesi la cittadinanza all'interno di un unico Stato democratico e porre così fine allo status di Israele come paese a maggioranza ebraica o mantenere un sistema a due livelli, con una popolazione palestinese sostanzialmente senza diritti e dunque venire meno alla propria vocazione e tradizione democratica.