Jason Burke e gli errori dell'America in Afghanistan: "Non distingue Al Qaeda da Isis e Talebani"
Jason Burke,corrispondente del Guardian per l'Asia e attualmente per l'Africa, profondo conoscitore del territorio afghano, ha coperto la guerra del 2001 e ha scritto libri sul terrorismo islamico. L’intervista di Katia Cerratti
Fallimento, errori, finanziamenti spesi male, infrastrutture inesistenti, popolazione allo stremo delle forze. Il tragico precipitare degli eventi in Afghanistan in questi ultimi giorni dopo il ritiro degli Usa, ha radici che affondano nel passato, all’inizio del conflitto, quando gli americani hanno messo in piedi una guerra contro un nemico che forse non conoscevano.
Fra gli errori più eclatanti infatti, Jason Burke, per anni corrispondente del Guardian per l’Asia e attualmente per l’Africa, ne individua uno fondamentale e logico che risale alle origini del conflitto e che può spiegare lo sgretolamento di questi giorni:
Sin dall’inizio, nel 2002, quando gli Americani sono arrivati in Afghanistan, è stato subito chiaro che non riuscivano a distinguere tra al-Qaeda che era, ed è, un gruppo internazionale islamico militante principalmente arabo, e i Talebani che invece è un gruppo nazionalista, però afghano, che non ha ambizioni internazionali. E’ stato questo il vero problema che ha portato al fatto che ora non c’è spazio per negoziati, non c’è spazio per un accordo con i Talebani, e lo sforzo antiterroristico è stato confuso, mescolato con lo sforzo politico e quello per ricostruire il paese in Afghanistan, e questo è successo fin dall’inizio, è stato questo il problema fin dall’ inizio, non ci sono stati insediamenti inclusivi e le risorse sono state distribuite in maniera sbagliata, a pioggia, indiscriminate.
Quale sia oggi il rapporto tra al-Qaeda e i talebani sembra ancora poco chiaro, ciò che è certo è che al Qaeda è già in territorio afghano. Costretta a fuggire dall'Afghanistan dopo la guerra del 2001, vi è tornata lentamente. Non ha più la vasta infrastruttura di 20 anni fa, con i suoi numerosi campi di addestramento e oggi, secondo Burke, i suoi 200-500 combattenti, sono dispersi in gran parte del paese. Molti provengono da al-Qaeda nell'Asia meridionale, un'affiliata costituita nel 2014 con reclute pakistane, indiane e bengalesi per promuovere gli obiettivi dell'organizzazione nella regione. Altri hanno combattuto a fianco dei talebani, con i quali avrebbero rapporti stretti perché mantenere un'alleanza con il gruppo, secondo Burke, è stata la chiave per la sua sopravvivenza per 25 anni e sarà ancora più importante ora:
La relazione tra al Qaeda e i Talebani oggi è piuttosto complicata. Sicuramente i Talebani non vogliono che al Qaeda gli causi dei problemi in termini di legittimità internazionale, detto questo, ci sono dei legami personali e anche dei legami ideologici, inoltre ci sono altre relazioni che rendono difficile per i talebani la possibilità di marginalizzare al Qaeda anche se volessero farlo. I Talebani si sono evoluti significativamente negli ultimi 20 anni, sanno molto di più di quello che succede nel mondo, i leaders talebani hanno passato molto tempo in paesi del Golfo Persico, a Karachi, altre città o altri paesi della regione, e sanno quali sarebbero i rischi che si prenderebbero se dovessero sostenere al Qaeda, ma magari è anche un rischio che sono disposti a correre. Inoltre, vale la pena sottolineare che i talebani stessi non sono mai stati direttamente collegati a nessun attacco terroristico internazionale e il loro programma, i loro piani, i progetti sono drammaticamente diversi da quelli di al Qaeda. Va ricordato inoltre che i Talebani sono divisi, sono una coalizione e come in ogni movimento unificato, in ogni coalizione, ci sono diversità di opinione tra i leader e gli elementi all’interno del movimento, come appunto con i Talebani.
Malgrado le divergenze interne, i talebani hanno avuto tutto il tempo necessario per considerare aspetti nuovi delle relazioni con l’Occidente, mostrando una facciata di pseudomodernità che li ha portati a Doha sotto nuove spoglie, prontamente scoperte nel momento in cui hanno rispedito a casa le donne negli uffici e hanno mostrato i muscoli nel minacciare ritorsioni se gli Usa non rispetteranno la deadline del 31 agosto per l’evacuazione definitiva dal paese. I cambiamenti sembrerebbero dunque solo apparenti ma ci sono comunque degli aspetti da considerare secondo Burke:
Anche durante il periodo di “regno” se così vogliamo dire, del mullah Omar tra il ’96 e il 2001, c’era una diversità di opinioni all’interno del movimento talebano, soprattutto tra i leader e non erano neanche d’accordo sempre sugli elementi costitutivi del movimento. Non c’è mai stata una grande omogeneità tra i talebani. E’ vero che erano a maggioranza di etnia pashtun, la maggior parte venivano dal sud est del paese con un piano, dei progetti ben definiti, ma comunque c’erano diverse fazioni, c’erano questioni legate alle personalità dei diversi leader e in diverse parti del paese arrivavano pressioni per delle manovre di potere, ad esempio il mullah Omar aveva una linea particolarmente oltranzista, altri invece erano più moderati e volevano il coinvolgimento dell’Onu, delle Organizzazioni non governative della comunità internazionale. Quello che però abbiamo visto da allora ad oggi è stata una curva di apprendimento che è stata in salita sostanzialmente, con un arricchimento per quanto riguarda la conoscenza della regione, della politica, della diplomazia internazionale, dei negoziati, del modo di fare la guerriglia, tutte cose che i talebani non conoscevano o non prendevano in considerazione 20 o 25 anni fa. Chiaramente questo avrà un effetto significativo in futuro permettendo un approccio più pragmatico o più ideologico.
In un momento in cui l’occidente sembra il nemico meno preoccupante per i talebani, altre realtà potrebbero diventare la spina del fianco del gruppo che ha preso il potere: Salafismo jihadista, Stato islamico che proprio nei giorni scorsi ha rilasciato la sua prima dichiarazione ufficiale sulla questione, accusando i talebani di essere cattivi musulmani e agenti degli Stati Uniti e considerandoli apostati, incapaci di applicare la legge islamica con sufficiente rigore. In particolare lo Stato Islamico della Provincia del Khorasan, una fazione fondata nel 2015 quando l'Isis ha cercato di estendersi più a est , espansione a cui i talebani si sono opposti fortemente. Negli ultimi mesi l’ISKP ha ripreso forza e, l’UNAMA, la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan, ha riferito di ben 77 attacchi da parte di questo gruppo. Chi sono dunque i veri nemici dei talebani?
I Talebani devono affrontare una serie di sfide. C’è una certa resistenza all’interno del Paese, lo Stato Islamico ha promesso di combattere i talebani, l’Occidente, come sappiamo ha un’opinione molto chiara dei Talebani, altri attori nella regione o comunque vicino all’Afghanistan oppongono le loro idee a quelle dei talebani e al loro modo di governare. Una delle sfide più grandi sarà quella di tenere insieme la coalizione che hanno costruito all’interno dell’Afghanistan se ci dovesse essere una resistenza seria e forte che potrebbe venire da partner disamorati all’interno della coalizione piuttosto che da regioni come il Panshir o altre minoranze o addirittura attori terzi esterni all’Afghanistan. Dovremmo stare a vedere cosa succederà perché al momento c’è una grande incertezza, è difficile dire quale sarà la più grande sfida e la più grande minaccia per i talebani.
Tra gli attori responsabili della situazione attuale in Afghanistan, emerge un Pakistan che nel corso degli anni si è dimostrato doppiogiochista e porto sicuro per i talebani.
Fin dalle prime fasi di questo conflitto, di questa situazione, il Pakistan ha preso una decisione strategica: ovvero, si aspettavano che gli Stati Uniti avrebbero lasciato l’Afghanistan come hanno fatto i russi anni prima e questo avrebbe dato loro, al Pakistan, la possibilità di guadagnare spazio di manovra, margine di manovra quindi, pubblicamente sostenevano gli Stati Uniti ma privatamente sostenevano anche i talebani e gli hanno offerto un sostegno significativo negli ultimi 20 anni. L’elemento più importante è quello di fornire un rifugio per i ribelli, tutti i ribelli hanno bisogno di un rifugio sicuro perché se non c’èun posto dove rifugiarsi, dove riposare, dove recuperare, dove raggrupparsi e riorganizzare le idee è molto difficile gestire una ribellione, portare avanti una ribellione e credo che senza la possibilità di attraversare il confine e trovare rifugio in Pakistan i talebani non sarebbero durati così a lungo e non avrebbero avuto questo successo.
Fra gli errori più eclatanti infatti, Jason Burke, per anni corrispondente del Guardian per l’Asia e attualmente per l’Africa, ne individua uno fondamentale e logico che risale alle origini del conflitto e che può spiegare lo sgretolamento di questi giorni:
Sin dall’inizio, nel 2002, quando gli Americani sono arrivati in Afghanistan, è stato subito chiaro che non riuscivano a distinguere tra al-Qaeda che era, ed è, un gruppo internazionale islamico militante principalmente arabo, e i Talebani che invece è un gruppo nazionalista, però afghano, che non ha ambizioni internazionali. E’ stato questo il vero problema che ha portato al fatto che ora non c’è spazio per negoziati, non c’è spazio per un accordo con i Talebani, e lo sforzo antiterroristico è stato confuso, mescolato con lo sforzo politico e quello per ricostruire il paese in Afghanistan, e questo è successo fin dall’inizio, è stato questo il problema fin dall’ inizio, non ci sono stati insediamenti inclusivi e le risorse sono state distribuite in maniera sbagliata, a pioggia, indiscriminate.
Quale sia oggi il rapporto tra al-Qaeda e i talebani sembra ancora poco chiaro, ciò che è certo è che al Qaeda è già in territorio afghano. Costretta a fuggire dall'Afghanistan dopo la guerra del 2001, vi è tornata lentamente. Non ha più la vasta infrastruttura di 20 anni fa, con i suoi numerosi campi di addestramento e oggi, secondo Burke, i suoi 200-500 combattenti, sono dispersi in gran parte del paese. Molti provengono da al-Qaeda nell'Asia meridionale, un'affiliata costituita nel 2014 con reclute pakistane, indiane e bengalesi per promuovere gli obiettivi dell'organizzazione nella regione. Altri hanno combattuto a fianco dei talebani, con i quali avrebbero rapporti stretti perché mantenere un'alleanza con il gruppo, secondo Burke, è stata la chiave per la sua sopravvivenza per 25 anni e sarà ancora più importante ora:
La relazione tra al Qaeda e i Talebani oggi è piuttosto complicata. Sicuramente i Talebani non vogliono che al Qaeda gli causi dei problemi in termini di legittimità internazionale, detto questo, ci sono dei legami personali e anche dei legami ideologici, inoltre ci sono altre relazioni che rendono difficile per i talebani la possibilità di marginalizzare al Qaeda anche se volessero farlo. I Talebani si sono evoluti significativamente negli ultimi 20 anni, sanno molto di più di quello che succede nel mondo, i leaders talebani hanno passato molto tempo in paesi del Golfo Persico, a Karachi, altre città o altri paesi della regione, e sanno quali sarebbero i rischi che si prenderebbero se dovessero sostenere al Qaeda, ma magari è anche un rischio che sono disposti a correre. Inoltre, vale la pena sottolineare che i talebani stessi non sono mai stati direttamente collegati a nessun attacco terroristico internazionale e il loro programma, i loro piani, i progetti sono drammaticamente diversi da quelli di al Qaeda. Va ricordato inoltre che i Talebani sono divisi, sono una coalizione e come in ogni movimento unificato, in ogni coalizione, ci sono diversità di opinione tra i leader e gli elementi all’interno del movimento, come appunto con i Talebani.
Malgrado le divergenze interne, i talebani hanno avuto tutto il tempo necessario per considerare aspetti nuovi delle relazioni con l’Occidente, mostrando una facciata di pseudomodernità che li ha portati a Doha sotto nuove spoglie, prontamente scoperte nel momento in cui hanno rispedito a casa le donne negli uffici e hanno mostrato i muscoli nel minacciare ritorsioni se gli Usa non rispetteranno la deadline del 31 agosto per l’evacuazione definitiva dal paese. I cambiamenti sembrerebbero dunque solo apparenti ma ci sono comunque degli aspetti da considerare secondo Burke:
Anche durante il periodo di “regno” se così vogliamo dire, del mullah Omar tra il ’96 e il 2001, c’era una diversità di opinioni all’interno del movimento talebano, soprattutto tra i leader e non erano neanche d’accordo sempre sugli elementi costitutivi del movimento. Non c’è mai stata una grande omogeneità tra i talebani. E’ vero che erano a maggioranza di etnia pashtun, la maggior parte venivano dal sud est del paese con un piano, dei progetti ben definiti, ma comunque c’erano diverse fazioni, c’erano questioni legate alle personalità dei diversi leader e in diverse parti del paese arrivavano pressioni per delle manovre di potere, ad esempio il mullah Omar aveva una linea particolarmente oltranzista, altri invece erano più moderati e volevano il coinvolgimento dell’Onu, delle Organizzazioni non governative della comunità internazionale. Quello che però abbiamo visto da allora ad oggi è stata una curva di apprendimento che è stata in salita sostanzialmente, con un arricchimento per quanto riguarda la conoscenza della regione, della politica, della diplomazia internazionale, dei negoziati, del modo di fare la guerriglia, tutte cose che i talebani non conoscevano o non prendevano in considerazione 20 o 25 anni fa. Chiaramente questo avrà un effetto significativo in futuro permettendo un approccio più pragmatico o più ideologico.
In un momento in cui l’occidente sembra il nemico meno preoccupante per i talebani, altre realtà potrebbero diventare la spina del fianco del gruppo che ha preso il potere: Salafismo jihadista, Stato islamico che proprio nei giorni scorsi ha rilasciato la sua prima dichiarazione ufficiale sulla questione, accusando i talebani di essere cattivi musulmani e agenti degli Stati Uniti e considerandoli apostati, incapaci di applicare la legge islamica con sufficiente rigore. In particolare lo Stato Islamico della Provincia del Khorasan, una fazione fondata nel 2015 quando l'Isis ha cercato di estendersi più a est , espansione a cui i talebani si sono opposti fortemente. Negli ultimi mesi l’ISKP ha ripreso forza e, l’UNAMA, la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan, ha riferito di ben 77 attacchi da parte di questo gruppo. Chi sono dunque i veri nemici dei talebani?
I Talebani devono affrontare una serie di sfide. C’è una certa resistenza all’interno del Paese, lo Stato Islamico ha promesso di combattere i talebani, l’Occidente, come sappiamo ha un’opinione molto chiara dei Talebani, altri attori nella regione o comunque vicino all’Afghanistan oppongono le loro idee a quelle dei talebani e al loro modo di governare. Una delle sfide più grandi sarà quella di tenere insieme la coalizione che hanno costruito all’interno dell’Afghanistan se ci dovesse essere una resistenza seria e forte che potrebbe venire da partner disamorati all’interno della coalizione piuttosto che da regioni come il Panshir o altre minoranze o addirittura attori terzi esterni all’Afghanistan. Dovremmo stare a vedere cosa succederà perché al momento c’è una grande incertezza, è difficile dire quale sarà la più grande sfida e la più grande minaccia per i talebani.
Tra gli attori responsabili della situazione attuale in Afghanistan, emerge un Pakistan che nel corso degli anni si è dimostrato doppiogiochista e porto sicuro per i talebani.
Fin dalle prime fasi di questo conflitto, di questa situazione, il Pakistan ha preso una decisione strategica: ovvero, si aspettavano che gli Stati Uniti avrebbero lasciato l’Afghanistan come hanno fatto i russi anni prima e questo avrebbe dato loro, al Pakistan, la possibilità di guadagnare spazio di manovra, margine di manovra quindi, pubblicamente sostenevano gli Stati Uniti ma privatamente sostenevano anche i talebani e gli hanno offerto un sostegno significativo negli ultimi 20 anni. L’elemento più importante è quello di fornire un rifugio per i ribelli, tutti i ribelli hanno bisogno di un rifugio sicuro perché se non c’èun posto dove rifugiarsi, dove riposare, dove recuperare, dove raggrupparsi e riorganizzare le idee è molto difficile gestire una ribellione, portare avanti una ribellione e credo che senza la possibilità di attraversare il confine e trovare rifugio in Pakistan i talebani non sarebbero durati così a lungo e non avrebbero avuto questo successo.