La Cina e il 40mo anniversario della morte di Mao Zedong
40 anni, fa, moriva Mao Zedong, lasciando le redini della Cina al primo ministro Hua Guofeng. Era il 9 settembre 1976. Mao è stato il primo presidente della Cina comunista. Dopo le campagne dei "Cento fiori" e del "Grande Balzo in Avanti" era tornato in primo piano con la Rivoluzione culturale, un "grave errore", un caos interno che portò enormi catastrofi", secondo il Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Partito comunista cinese, che ha preso posizione, nel 50mo anniversario della '"circolare del 16 maggio" del 1966. Una condanna dell'azione politica voluta da Mao Zedong
Statue, spille, quadri, poster e magliette con l'immagine di Mao Zedong affollano i mercati di Pechino e, soprattutto, di Shaoshan, piccola città nella provincia di Hunan, in Cina, nota per essere il luogo natale del Grande Timoniere di cui il 9 settembre ricorre il 40mo anniversario della morte. I suoi 100 mila abitanti vivono di turismo e di quei souvenir cui nessun visitatore sembra voler rinunciare.
L'articolo più richiesto sono le statue, che qui si fabbricano a pieno ritmo. Ce ne sono di ogni foggia e dimensione, da 20 cm a tre metri, che mostrano Mao giovane o maturo, in piedi o seduto, di bronzo o di plastica, di vetro o di gesso. La riluttanza delle imprese locali nei confronti della stampa a fornire i dati sul volume del commercio non basta a nascondere quella che sembra una produzione incessante. Si sa solo che i modelli più popolari sono i busti da 50 cm che costano circa 250 euro, anche se il prezzo varia a secondo il materiale utilizzato. Per una statua di tre metri, prodotte solo su richiesta, servono circa 80 mila yuan (circa 10.650 €).
Poi ci sono tutti gli altri gadget, dalle cover per cellulari alle borse, dai portachiavi ai vestiti, anche per bambini con lo slogan in inglese "Mao è il mio presidente", molto gettonate dai turisti. Che forse poco o niente sanno della figura controversa che indosseranno, assurta a icona anche grazie a quei dieci ritratti che realizzò Andy Warhol, genio della pop art, dopo la visita di Nixon in Cina nel 1972, prendendo a modello la fotografia ufficiale di Mao del Libretto rosso. E che in Cina non furono esposti nel 2012 perché giudicati di poco interesse.
Intanto alla vigilia del 40mo anniversario della morte, la figura del Grande Timoniere viene commemorata, come scrive il Guardian, in modo "selettivo". Piuttosto che concentrarsi sulle politiche degli anni 50 e 60, molti cinesi preferiscono celebrare il Mao del 1949, un eroe rivoluzionario "che ha portato alla creazione di un Paese che ora li rende orgogliosi".
Mao Zedong, figura controversa
Il primo ottobre 1949 Mao Zedong proclamò la nascita della Repubblica Popolare Cinese, con capitale a Pechino, fondata su un modello economico socialista e guidata dal Partito Comunista Cinese. Sotto il suo governo il Paese visse numerose fasi come quella della collettivizzazione e la pianificazione dell’economia e quella della campagna dei cento fiori, in cui si ebbe una liberalizzazione culturale e del pensiero. Malgrado la riforma agraria, l'economia stentava a decollare. Per trasformare radicalmente il paese e realizzare il suo ideale di comunismo, Mao lanciò alla fine degli anni 50 la campagna del "Grande Balzo in Avanti", un tentativo di aumentare la produzione industriale nel Paese. La Cina, in quegli anni, era ancora un paese molto arretrato e Mao aveva a disposizione soltanto le braccia delle masse a lui fedeli. Il progetto fallì e portò alla morte per fame di 40 milioni di persone.
Nella primavera del 1960, lanciò la grande Rivoluzione Culturale. Voleva colpire il gruppo di esperti che aveva assunto la guida del paese dopo il disastro economico del Grande Balzo in Avanti e che, secondo la sua visione, aveva abbandonato la strada della rivoluzione. Gli avversari politici erano Deng Xiaoping, Liu Shaoqi e Xi Zhongxun, ministro sotto il Grande Timoniere e padre dell'attuale presidente Xi Jinping. La Cina fu a un passo dalla guerra civile. Con le scuole chiuse e le fabbriche in sciopero, le guardie rosse, invitate da Mao a "bombardare il quartier generale", davano la caccia a insegnanti, intellettuali, quadri di partito, chiunque fosse sospettato di atteggiamento borghese e "controrivoluzionario", distruggendo i simboli del passato, con una furia iconoclasta senza precedenti. Mao fu costretto a chiamare l'esercito per riportare l'ordine e a disperdere le guardie rosse, spedite in campagna a rieducarsi.
Un evento che ha segnato profondamente il Paese, tanto che cinquanta anni dopo, la Cina, che viaggia spedita sulla strada del capitalismo con tutta la complessa e controversa eredità di Mao Zedong, ha pressoché ignorato la ricorrenza della "circolare del 16 maggio" del 1966 e nessuna commemorazione ufficiale è stata dedicata alla mossa del Politburo che diede il via alla campagna di pulizia del Partito comunista cinese da tutti gli "elementi borghesi infiltrati nel governo e nella società".
50 anni dopo la Rivoluzione Culturale
"La storia ha dimostrato" che la Rivoluzione culturale fu un "disastro", "totalmente sbagliata nella sua teoria e nella pratica": ha scritto il Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Partito, il giorno dopo la ricorrenza, citando un'intervista dell'agosto del 1980 quando Deng Xiaoping parlò, incontrando Oriana Fallaci, delle valutazioni del Pcc su Mao e Rivoluzione culturale con tanto di visione storica e politica. "Non dovremmo mai dimenticare la lezione della Rivoluzione culturale e costruire il socialismo con caratteristiche distintive cinesi", è l'ultima parola del Partito che si appella a uno sforzo congiunto per "ringiovanire il paese" e centrare i "due obiettivi centenari", vale a dire il raddoppio del Pil pro capite al 2020 sul 2010 e una "nazione moderna e socialista, forte, democratica, civilizzata e armoniosa".
Se la Rivoluzione culturale resta un motivo di grande imbarazzo, lo è anche per il timore che possa mettere a rischio la legittimità del partito unico e dare il via a critiche contro lo stesso Mao, figura più "venerata" del Partito, la cui eredità è pur sempre considerata in gran parte positiva. Senza contare poi che il fondatore della Cina moderna è un simbolo per quei cinesi che credono che il Paese stia correndo troppo velocemente verso l’economia di mercato, generando disuguaglianze sociali e corruzione.
L'articolo più richiesto sono le statue, che qui si fabbricano a pieno ritmo. Ce ne sono di ogni foggia e dimensione, da 20 cm a tre metri, che mostrano Mao giovane o maturo, in piedi o seduto, di bronzo o di plastica, di vetro o di gesso. La riluttanza delle imprese locali nei confronti della stampa a fornire i dati sul volume del commercio non basta a nascondere quella che sembra una produzione incessante. Si sa solo che i modelli più popolari sono i busti da 50 cm che costano circa 250 euro, anche se il prezzo varia a secondo il materiale utilizzato. Per una statua di tre metri, prodotte solo su richiesta, servono circa 80 mila yuan (circa 10.650 €).
Poi ci sono tutti gli altri gadget, dalle cover per cellulari alle borse, dai portachiavi ai vestiti, anche per bambini con lo slogan in inglese "Mao è il mio presidente", molto gettonate dai turisti. Che forse poco o niente sanno della figura controversa che indosseranno, assurta a icona anche grazie a quei dieci ritratti che realizzò Andy Warhol, genio della pop art, dopo la visita di Nixon in Cina nel 1972, prendendo a modello la fotografia ufficiale di Mao del Libretto rosso. E che in Cina non furono esposti nel 2012 perché giudicati di poco interesse.
Intanto alla vigilia del 40mo anniversario della morte, la figura del Grande Timoniere viene commemorata, come scrive il Guardian, in modo "selettivo". Piuttosto che concentrarsi sulle politiche degli anni 50 e 60, molti cinesi preferiscono celebrare il Mao del 1949, un eroe rivoluzionario "che ha portato alla creazione di un Paese che ora li rende orgogliosi".
Mao Zedong, figura controversa
Il primo ottobre 1949 Mao Zedong proclamò la nascita della Repubblica Popolare Cinese, con capitale a Pechino, fondata su un modello economico socialista e guidata dal Partito Comunista Cinese. Sotto il suo governo il Paese visse numerose fasi come quella della collettivizzazione e la pianificazione dell’economia e quella della campagna dei cento fiori, in cui si ebbe una liberalizzazione culturale e del pensiero. Malgrado la riforma agraria, l'economia stentava a decollare. Per trasformare radicalmente il paese e realizzare il suo ideale di comunismo, Mao lanciò alla fine degli anni 50 la campagna del "Grande Balzo in Avanti", un tentativo di aumentare la produzione industriale nel Paese. La Cina, in quegli anni, era ancora un paese molto arretrato e Mao aveva a disposizione soltanto le braccia delle masse a lui fedeli. Il progetto fallì e portò alla morte per fame di 40 milioni di persone.
Nella primavera del 1960, lanciò la grande Rivoluzione Culturale. Voleva colpire il gruppo di esperti che aveva assunto la guida del paese dopo il disastro economico del Grande Balzo in Avanti e che, secondo la sua visione, aveva abbandonato la strada della rivoluzione. Gli avversari politici erano Deng Xiaoping, Liu Shaoqi e Xi Zhongxun, ministro sotto il Grande Timoniere e padre dell'attuale presidente Xi Jinping. La Cina fu a un passo dalla guerra civile. Con le scuole chiuse e le fabbriche in sciopero, le guardie rosse, invitate da Mao a "bombardare il quartier generale", davano la caccia a insegnanti, intellettuali, quadri di partito, chiunque fosse sospettato di atteggiamento borghese e "controrivoluzionario", distruggendo i simboli del passato, con una furia iconoclasta senza precedenti. Mao fu costretto a chiamare l'esercito per riportare l'ordine e a disperdere le guardie rosse, spedite in campagna a rieducarsi.
Un evento che ha segnato profondamente il Paese, tanto che cinquanta anni dopo, la Cina, che viaggia spedita sulla strada del capitalismo con tutta la complessa e controversa eredità di Mao Zedong, ha pressoché ignorato la ricorrenza della "circolare del 16 maggio" del 1966 e nessuna commemorazione ufficiale è stata dedicata alla mossa del Politburo che diede il via alla campagna di pulizia del Partito comunista cinese da tutti gli "elementi borghesi infiltrati nel governo e nella società".
50 anni dopo la Rivoluzione Culturale
"La storia ha dimostrato" che la Rivoluzione culturale fu un "disastro", "totalmente sbagliata nella sua teoria e nella pratica": ha scritto il Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Partito, il giorno dopo la ricorrenza, citando un'intervista dell'agosto del 1980 quando Deng Xiaoping parlò, incontrando Oriana Fallaci, delle valutazioni del Pcc su Mao e Rivoluzione culturale con tanto di visione storica e politica. "Non dovremmo mai dimenticare la lezione della Rivoluzione culturale e costruire il socialismo con caratteristiche distintive cinesi", è l'ultima parola del Partito che si appella a uno sforzo congiunto per "ringiovanire il paese" e centrare i "due obiettivi centenari", vale a dire il raddoppio del Pil pro capite al 2020 sul 2010 e una "nazione moderna e socialista, forte, democratica, civilizzata e armoniosa".
Se la Rivoluzione culturale resta un motivo di grande imbarazzo, lo è anche per il timore che possa mettere a rischio la legittimità del partito unico e dare il via a critiche contro lo stesso Mao, figura più "venerata" del Partito, la cui eredità è pur sempre considerata in gran parte positiva. Senza contare poi che il fondatore della Cina moderna è un simbolo per quei cinesi che credono che il Paese stia correndo troppo velocemente verso l’economia di mercato, generando disuguaglianze sociali e corruzione.