La Santa Rosalia di Van Dyck, dipinta durante la peste, è "in quarantena" al Met di New York
La Santuzza, patrona di Palermo, fu dipinta da un giovanissimo Van Dyck bloccato nella città siciliana da un'epidemia di peste
Per la seconda volta nella sua plurisecolare esistenza, la "Santuzza" di Palermo aspetta, al Metropolitan Museum di New York, la fine di un'epidemia. La grande pala di Santa Rosalia che intercede contro la peste, dipinta da Antoon Van Dyck mentre era in quarantena in Sicilia, è uno dei dipinti più importanti della grande mostra "Met at 150" che avrebbe dovuto celebrare il 150esimo anniversario del museo, chiuso per l'emergenza coronavirus.
Il New York Times ha raccontato la storia del quadro. Van Dyck era arrivato a Palermo nel 1624 su invito del viceré spagnolo che voleva farsi ritrarre dal giovane, ma già affermato artista di corte. Di lì a poco la città fu colpita dalla peste che provocò 10 mila morti, tra cui lo stesso viceré, il 10 per cento della popolazione.
Il pittore fiammingo guardava con orrore dal suo isolamento la chiusura del porto, gli ospedali incapaci di reggere l'afflusso degli infetti, i lamenti dei malati e dei moribondi nelle strade. Un barlume di speranza alla città in ginocchio lo infuse la scoperta, da parte di un gruppo di Francescani, di resti di ossa, tra cui un cranio che l'arcivescovo Giannettino Doria attribuì a Santa Rosalia, nobile della famiglia dei Sinibaldi, vissuta nel dodicesimo secolo. Le reliquie furono portate in processione l'anno dopo attraverso le strade, mentre i casi di contagio si abbassavano: la "Santuzza" aveva salvato la città.
Spodestando altri santi come Cristina, Oliva, Ninfa e Agata, Rosalia resta tuttora la patrona di Palermo. Van Dyck la dipinse quasi 400 anni fa mentre vola gloriosamente sopra la città sostenuta da ali di cherubini sovrapponendo strati di pittura sopra un suo autoritratto non finito.
Il quadro al Metropolitan è uno dei cinque dedicati da Van Dyck alla santa nei giorni della quarantena. Un anno dopo la sua fondazione nel 1870 fu anche uno dei primi acquisti del Met che, in questi giorni, l'ha messo in mostra, senza però che possa essere visto dal pubblico prima di luglio, salvo imprevisti, quando il museo prevede di riaprire.
Il New York Times ha raccontato la storia del quadro. Van Dyck era arrivato a Palermo nel 1624 su invito del viceré spagnolo che voleva farsi ritrarre dal giovane, ma già affermato artista di corte. Di lì a poco la città fu colpita dalla peste che provocò 10 mila morti, tra cui lo stesso viceré, il 10 per cento della popolazione.
Il pittore fiammingo guardava con orrore dal suo isolamento la chiusura del porto, gli ospedali incapaci di reggere l'afflusso degli infetti, i lamenti dei malati e dei moribondi nelle strade. Un barlume di speranza alla città in ginocchio lo infuse la scoperta, da parte di un gruppo di Francescani, di resti di ossa, tra cui un cranio che l'arcivescovo Giannettino Doria attribuì a Santa Rosalia, nobile della famiglia dei Sinibaldi, vissuta nel dodicesimo secolo. Le reliquie furono portate in processione l'anno dopo attraverso le strade, mentre i casi di contagio si abbassavano: la "Santuzza" aveva salvato la città.
Spodestando altri santi come Cristina, Oliva, Ninfa e Agata, Rosalia resta tuttora la patrona di Palermo. Van Dyck la dipinse quasi 400 anni fa mentre vola gloriosamente sopra la città sostenuta da ali di cherubini sovrapponendo strati di pittura sopra un suo autoritratto non finito.
Il quadro al Metropolitan è uno dei cinque dedicati da Van Dyck alla santa nei giorni della quarantena. Un anno dopo la sua fondazione nel 1870 fu anche uno dei primi acquisti del Met che, in questi giorni, l'ha messo in mostra, senza però che possa essere visto dal pubblico prima di luglio, salvo imprevisti, quando il museo prevede di riaprire.