Ritorno a casa, dopo il 'passaggio' della guerra. Ecco come si presenta la città siriana di Harasta
Con la guerra alle spalle e una gran voglia di fare ritorno a casa: è questo lo spirito che accomuna i residenti della città siriana di Harasta, che dopo sei anni cercano di riprendersi ciò che gli è stato tolto. Si ricomincia dalle ispezioni delle abitazioni: alcune sono visibilmente da abbattere, perché martoriate dalle bombe, altre hanno resistito all'orrore e in qualche modo tornano a costituire un approdo sicuro
All'ingresso di Harasta, Khaled Noomane attende le famiglie che fanno ritorno a casa: per lui, ex parrucchiere, queste persone emozionate sono dei clienti speciali. Si tratta di residenti che per la prima volta, dall'inizio del conflitto tra ribelli ed esercito regolare di Bashar al-Assad, cercano di capire cosa resta della propria casa. È un momento importante anche per Khaled, che si offre per demolire o portare via le macerie mentre fa conoscenza con i nuovi arrivati. Tutt'intorno un gran chiasso annuncia gli spostamenti dei bulldozer inviati dal governo siriano allo scopo di ripristinare la viabilità stradale.
Benvenuti ad Harasta, la località situata nella parte orientale della Ghouta che nel 2011 ospitava 250mila abitanti mentre adesso ne conta appena 15mila. Tra l'altro, un vincolo incombe sulle loro teste. L'amministrazione locale costringe queste persone a non lasciare la città durante il periodo di "regolarizzazione". Dalla fine dei combattimenti, a migliaia di sfollati è stato concesso l'ingresso in città per ispezionare le proprie proprietà. Un accordo, a sua volta, reso operativo dall'intesa dello scorso marzo, quando circa 4.300 persone, tra cui 1.400 ribelli, hanno lasciato il territorio alla volta di altre aree nel nord del paese gestite dai ribelli. Così, da aprile, il regime di Assad è tornato a controllare Harasta.
Torniamo a Khaled, alla sua delusione, e al racconto degli altri protagonisti di questa nuova fase storica della Siria: "Prima di partire nel 2012 ero un parrucchiere, oggi sono un lavoratore", racconta deluso il giovane. "Lavoriamo con un martello e delle scope", spiega questo trentacinquenne padre di tre bambini mentre illustra la precarietà dei mezzi utilizzati per svolgere il suo ruolo. Gli fa eco Hassan, 40 anni, che vanta l'unico furgone della città: "Porto materiali da costruzione, blocchi di cemento, faccio compensazione".
Basta spostarsi pochi metri per trovare Mohamed Noomane, un uomo in festa: "La mia casa è stata danneggiata, ma sono felice che sia ancora lì". "Sono sorpreso di vedere che la maggior parte degli edifici sono stati distrutti", prosegue il cinquantenne fuggito da Harasta nel 2012. Nel suo salotto quasi intatto, una cornice è adagiata a terra tra la polvere che 'soffoca' ogni cosa.
"Abbiamo portato via dalle strade 110mila metri cubi di macerie", afferma il presidente del consiglio locale Adnane al-Wazzé mentre snocciola i numeri della devastazione: circa il 40% delle abitazioni di Harasta sono distrutte: "Molte strutture vanno abbattute e ricostruite perché potrebbero collassare sugli edifici adiacenti". "La distruzione avviene con l'accordo dei proprietari", assicura Wazzé che aggiunge: "Saranno garantiti i diritti dei proprietari", anche in caso di assenza. Ma una legge controversa, in vigore dallo scorso aprile, fa già discutere. Le norme prevedono degli "espropri ingiusti", che il governo potrà permettersi al fine di avvalorare progetti immobiliari.
Benvenuti ad Harasta, la località situata nella parte orientale della Ghouta che nel 2011 ospitava 250mila abitanti mentre adesso ne conta appena 15mila. Tra l'altro, un vincolo incombe sulle loro teste. L'amministrazione locale costringe queste persone a non lasciare la città durante il periodo di "regolarizzazione". Dalla fine dei combattimenti, a migliaia di sfollati è stato concesso l'ingresso in città per ispezionare le proprie proprietà. Un accordo, a sua volta, reso operativo dall'intesa dello scorso marzo, quando circa 4.300 persone, tra cui 1.400 ribelli, hanno lasciato il territorio alla volta di altre aree nel nord del paese gestite dai ribelli. Così, da aprile, il regime di Assad è tornato a controllare Harasta.
Torniamo a Khaled, alla sua delusione, e al racconto degli altri protagonisti di questa nuova fase storica della Siria: "Prima di partire nel 2012 ero un parrucchiere, oggi sono un lavoratore", racconta deluso il giovane. "Lavoriamo con un martello e delle scope", spiega questo trentacinquenne padre di tre bambini mentre illustra la precarietà dei mezzi utilizzati per svolgere il suo ruolo. Gli fa eco Hassan, 40 anni, che vanta l'unico furgone della città: "Porto materiali da costruzione, blocchi di cemento, faccio compensazione".
Basta spostarsi pochi metri per trovare Mohamed Noomane, un uomo in festa: "La mia casa è stata danneggiata, ma sono felice che sia ancora lì". "Sono sorpreso di vedere che la maggior parte degli edifici sono stati distrutti", prosegue il cinquantenne fuggito da Harasta nel 2012. Nel suo salotto quasi intatto, una cornice è adagiata a terra tra la polvere che 'soffoca' ogni cosa.
"Abbiamo portato via dalle strade 110mila metri cubi di macerie", afferma il presidente del consiglio locale Adnane al-Wazzé mentre snocciola i numeri della devastazione: circa il 40% delle abitazioni di Harasta sono distrutte: "Molte strutture vanno abbattute e ricostruite perché potrebbero collassare sugli edifici adiacenti". "La distruzione avviene con l'accordo dei proprietari", assicura Wazzé che aggiunge: "Saranno garantiti i diritti dei proprietari", anche in caso di assenza. Ma una legge controversa, in vigore dallo scorso aprile, fa già discutere. Le norme prevedono degli "espropri ingiusti", che il governo potrà permettersi al fine di avvalorare progetti immobiliari.