Rohingya, ecco le cifre del massacro. MSF denuncia: almeno 6700 uccisi, molti bambini
Sono almeno 6.700 i Rohingya uccisi nel primo mese di repressione dell'esercito del Myanmar nello Stato del Rakhine. A denunciare questo drammatico bilancio è Medici Senza Frontiere (MSF), che parla di stime "prudenti". Il dato è la sintesi di una serie di intervista a 11.426 persone nei campi profughi in Bangladesh.
"Abbiamo incontrato e parlato con i sopravvissuti alla violenza in Myanmar, riparati in campi sovraffollati e malsani in Bangladesh", racconta il direttore dell'ONG, Sidney Wong. "Quello che abbiamo scoperto è stato sconcertante, sia in termini di numeri di persone che hanno avuto un membro della famiglia morto", sia per quanto riguarda i loro "orribili" racconti.
Nelle scorse settimane, l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, il principe giordano Zeid Ra'ad Al Hussein, non aveva ecsluso che la repressione condotta dall'esercito birmano potesse avere gli "elementi del genocidio". Adesso l'indagine di MSF supporta questa ipotesi con i numeri: il 69% delle vittime sono morte per ferite di armi da fuoco, un altro 9% (circa 70 persone) è stato bruciato vivo nelle case, mentre il 5% non è sopravvissuto alle percosse subite. Quanto ai piccoli sotto i 5 anni, oltre la metà è morta per colpa di armi da fuoco. Tutto questo prima che molti altri morissero nella fuga verso il Bangladesh, annegati dopo aver fatto naufragio nel braccio di mare che divide i due Paesi. Un'ecatombe.
Ecco le cifre in dettaglio
Sui 9 mila decessi accertati, nel 71.7% dei casi la causa del decesso è legata direttamente alla violenza. In un solo mese 6.700 rohingya hanno perso la vita colpiti da armi da fuoco (69% dei casi negli adulti; 59% nei bambini), bruciati vivi nelle loro case (9% negli adulti; 15% nei bambini), per violenti percosse (5% negli adulti; 7% nei bambini) e a causa dell’esplosione di mine (2% nei bambini).
I numeri dimostrano come la minoranza musulmana sia stata il bersaglio della spirale di violenza iniziata il 25 agosto scorso quando l’esercito e la polizia della Birmania, oltre ad alcune milizie locali, hanno lanciato l’operazione di sgombero nello Stato di Rakhine in risposta agli attacchi dell’Esercito per la salvezza dei Rohingya dell'Arakan. Da allora, più di 647mila rohingya sono fuggiti dalla Birmania per trovare rifugio in Bangladesh, dove oggi vivono in campi sovraffollati e in scarse condizioni igieniche.
I dati raccolti da Msf sono il risultato di sei analisi retrospettive sulla mortalità condotte nei primi giorni di novembre in diverse aree dei campi profughi Rohingya a Cox's Bazar in Bangladesh, poco oltre il confine con la Birmania. La popolazione totale coperta dall’analisi è di 608.108 persone; tra loro 503.698 sono fuggite dal Paese dopo il 25 agosto.
Il tasso di mortalità totale - tra il 25 agosto e il 24 di settembre - tra la popolazione intervistata è di 8 persone su 10mila al giorno, che equivale al decesso del 2,26% (con un intervallo di confidenza che va dall’1,87% al 2,73%) del campione della popolazione. Applicando questa proporzione alla popolazione totale arrivata in Bangladesh dal 25 agosto nei campi presi in esame dalle ricerche, il numero di rohingya morti nel primo mese dopo l’inizio del conflitto si attesterebbe tra le 9.425 e le 13.759 persone, includendo almeno 1.000 bambini di età inferiore ai 5 anni.
"Ancora oggi molte persone stanno fuggendo dal Myanmar verso il Bangladesh. Chi riesce ad attraversare il confine racconta di essere stato vittima di violenza nelle ultime settimane”, aggiunge Wong spiegando che "sono inoltre davvero pochi gli organismi di aiuto indipendenti in grado di accedere nel distretto di Maungdaw, nello Stato di Rakhine, e per questo temiamo per il destino dei rohingya che sono ancora lì".
"La firma di un accordo per il ritorno dei Rohingya tra i governi di Myanmar e Bangladesh è prematura. I Rohingya non possono essere costretti a ritornare in Myanmar e la loro sicurezza e i loro diritti devono essere garantiti prima che qualsiasi piano di rientro venga preso seriamente in considerazione”, conclude Wong.
MSF lavora in Bangladesh dal 1985. Vicino all’insediamento di Kutupalong nel distretto di Cox’s Bazar dal 2009, l'organizzazione gestisce due cliniche che offrono cure sanitarie di base e di emergenza, così come servizi di degenza e ambulatoriali ai rifugiati Rohingya e alla comunità locale. In risposta all'afflusso di rifugiati nel disretto di Cox Bazar, Msf ha notevolmente aumentato la sua presenza nell'area, estendendo le attività mediche, sanitarie e nel settore idrico. L'organizzazione lavora inoltre nella baraccopoli di Kamrangirchar, nella capitale Dhaka, fornendo cure di salute mentale, di salute riproduttiva, servizi di pianificazione familiare e consultazioni prenatali, e gestendo un programma di salute sul posto di lavoro per gli operai.