Protesta estrema a Lampedusa. Bocche cucite con ago e filo
Gesto estremo di un gruppo di tunisini sbarcati a Lampedusa che hanno deciso di cucirsi la bocca con ago e filo
Una protesta che arriva dopo tre giorni di digiuno da parte di circa 40 migranti seduti sui gradini davanti al sagrato della chiesa madre nella piazza principale a due passi dal comune con le forze di polizia in tenuta antisommossa: non vogliono restare parcheggiati dentro l’hotspot della più grande delle Pelagie e non vogliono essere rimpatriati. La protesta è pacifica ma sull’isola da tempo la tensione è alta. Lo ha detto più volte il sindaco allarmato per i continui episodi di violenza contro gli stessi immigrati ospiti del centro di registrazione dal quale riescono ad uscire di tanto in tanto attraverso un varco. Alcuni non vi rientrano più: nascondendosi in anfratti e giacigli di emergenza cercando poi di infilarsi di straforo nelle navi in partenza per la Sicilia dove tentano la fortuna. Qualche giorno fa un tunisino si era tolto la vita impiccandosi: da mesi in attesa all’interno dell’hotspot - che dovrebbe trattenere i migranti non più di 48 ore - non ha retto. E poi i tafferugli tra gli stessi ospiti che spesso finiscono – come accaduto qualche giorno fa – in risse con feriti. Il centro di Lampedusa deve ritornare ad essere un hotspot a tutti gli effetti come gli altri, ha detto il garante nazionale per i diritti dei detenuti, mauro Palma che in settimana ha visitato l’hotspot a distanza di un anno. Un hotspot non deve essere un carcere per i migranti irregolari ha detto Palma, equiparandoli così a delinquenti comuni. Già nel 2014 al Cie di Ponte Galeria a Roma diversi immigrati illegali chiusi da troppo tempo nel centro avevano inscenato la stessa protesta a causa dei lunghi tempi di permanenza. Servizio con immagini in esclusiva di Angela Caponnetto