12 dicembre 1969, 50 anni fa la strage di Piazza Fontana
Fu l'inizio della strategia della tensione
In piazza Fontana a Milano, il 12 dicembre 1969, alle 16:37, scoppia una bomba nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura. Uccide diciassette persone e ne ferisce ottantotto. Un atto terroristico che segna l'inizio della "strategia della tensione" e che dà il via a una lunga serie di attentati (stazione di Bologna, piazza della Loggia, treno Italicus) che insanguineranno l'Italia durante gli anni Settanta. Dopo 50 anni, numerosi processi e depistaggi, Piazza Fontana resta ancora uno degli episodi più controversi della storia del nostro paese.
La vicenda giudiziaria ebbe fine nel 2005, quando la Cassazione la chiuse con un'assoluzione generalizzata degli imputati presi in esame dall'indagine scaturita negli anni '90 dal lavoro sulle "Trame nere", dell'allora giudice istruttore Guido Salvini che, di recente, ha anche pubblicato un libro dal titolo emblematico: "La maledizione di Piazza Fontana".
Una "maledizione" che cominciò subito dopo l'attentato, quando fu fatto brillare un altro ordigno inesploso nella sede dalla Banca commerciale italiana di piazza della Scala, disperdendo elementi utili alle indagini. Non era innescato ed era contenuto in una borsa nera Mosbach & Gruber che, con gli orologi Rhula, diventerà un marchio di fabbrica dello stragismo nostrano.
Le indagini e gli arresti
Da subito le indagini si concentrano sulla pista anarchica con l'arresto di Pietro Valpreda, frettolosamente o dolosamente individuato come autore della strage e che sarà assolto nel 1985 dopo un lungo calvario giudiziario; poi, il 15 dicembre con la morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato dal quarto piano della questura durante un interrogatorio.
Qualche tempo dopo, la pista nera con le indagini su elementi di Ordine Nuovo padovani e l'incriminazione del procuratore legale Giovanni Ventura e l'editore 'nazimaoista' Franco Freda. Poi lo choc, con la decisione di trasferire il processo da Milano a Roma, da Roma nuovamente nel capoluogo lombardo e infine a Catanzaro. Risultato: assolti sia Valpreda, sia i neofascisti.
Processi e assoluzioni
Negli anni '90 si fanno avanti i primi pentiti: l'armiere di Ordine nuovo in Triveneto, Carlo Digilio, e il militante mestrino Martino Siciliano. Raccontano nel dettaglio di riunioni preparatorie agli attentati culminati con quello di piazza Fontana, forniscono ragguagli su esplosivi, congegni, sulle cellule padovane e mestrine di On e sui milanesi del gruppo La Fenice. L'inchiesta sfocia in un processo nel 2000. Imputati Delfo Zorzi esponente di Ordine nuovo, ormai ricco imprenditore della moda in Giappone, il reggente di Ordine nuovo, il medico veneziano Carlo Maria Maggi, Giancarlo Rognoni, capo del gruppo milanese La Fenice, Roberto Tringali, accusato di favoreggiamento e lo stesso Digilio. Alla fine ergastolo per Zorzi, Maggi e Rognoni, mentre per Digilio scatta la prescrizione.
Tre anni dopo, la doccia fredda per i familiari delle vittime. In appello fioccano le assoluzioni. Digilio non è ritenuto credibile e, nelle more, c'è stata anche la brutta vicenda della ritrattazione di Siciliano, 'comprata' da Zorzi.
Il 3 maggio del 2005 di nuovo la parola fine. Gli imputati sono assolti definitivamente anche se i giudici della Suprema Corte, nelle motivazioni, confermano il quadro emerso dalle indagini e come gli attentati fossero opera di Ordine nuovo. Di più: la Corte ritiene che debba darsi una risposta "positiva" al giudizio di responsabilità di Freda e Ventura per "la strage di Piazza Fontana e gli altri attentati commessi quel giorno". Freda e Ventura non sono però giudicabili in quanto già processati e assolti in via definitiva per gli stessi fatti. Un'ulteriore beffa, come quella del pagamento delle spese processuali a carico dei parenti delle vittime. Decisione 'sanata' dalla Presidenza del Consiglio che si era costituita parte civile e aveva provveduto al pagamento.
Il racconto del testimone
Fortunato Zinni quel giorno c'era e si salvò per miracolo. Aveva appena siglato la contrattazione tra due agricoltori nel salone della Banca nazionale dell'Agricoltura di piazza Fontana intorno alle 16 e 30 del 12 dicembre del 1969, quando fu chiamato in un ufficio di sopra. Nell'ufficio si appoggiò alla vetrata e in quel momento scoppiò l'inferno. Era la bomba che uccise 17 persone e ne ferì più di 80 e che viene fatta coincidere con l'inizio della "Strategia della tensione".
A 50 anni di distanza, Zinni ricostruisce meticolosamente quel pomeriggio di morte, intervistato dall'Ansa. "Lo spostamento d'aria mi gettò a terra - racconta -. Quando scesi nell'atrio era buio e sentivo i telefoni suonare all'impazzata. Risposi ed era la Questura che mi chiedeva se era scoppiata la caldaia. Risposi di no, che la caldaia era da un'altra parte e che sentivo l'odore di mandorle amare dell'esplosivo. L'agente mi chiese: cosa vede? Risposi: un pezzo di braccio".
"Qualcuno mi si aggrappò ai pantaloni - prosegue - mi chiese aiuto, aveva una gamba maciullata. Qualche mese dopo si presentò una persona con un pacchetto. Dentro c'era la mia cinghia con la quale avevo cercato di fermare l'emorragia. Io non me lo ricordavo". Ricorda, invece, la tensione alle stelle nell'ufficio del direttore. Fu incaricato di redigere un'elenco delle vittime, lui che conosceva tutti. "Tornai nel salone, dove i corpi erano coperti, come se fossero lenzuola, da fogli di una macchina per scrivere Underwood Olivetti che aveva un carrello lungo 120 centimetri". Riuscì ad identificarne buona parte.
"La mattina dopo ci sentimmo dire dal procuratore De Peppo che potevamo mettere a posto la banca perché stavano arrestando i colpevoli", conclude. Il primo fu il ballerino anarchico Pietro Valpreda, assolto dopo oltre tre anni di carcere, e la strage di Piazza Fontana, 50 anni dopo, dopo tre indagini e sette processi, non ha ancora ideatori, esecutori e mandanti. Fortunato Zinni, ha scritto un libro "Piazza Fontana, nessuno è Stato" che diffonde nelle scuole, perché quel giorno non sia dimenticato.
La vicenda giudiziaria ebbe fine nel 2005, quando la Cassazione la chiuse con un'assoluzione generalizzata degli imputati presi in esame dall'indagine scaturita negli anni '90 dal lavoro sulle "Trame nere", dell'allora giudice istruttore Guido Salvini che, di recente, ha anche pubblicato un libro dal titolo emblematico: "La maledizione di Piazza Fontana".
Una "maledizione" che cominciò subito dopo l'attentato, quando fu fatto brillare un altro ordigno inesploso nella sede dalla Banca commerciale italiana di piazza della Scala, disperdendo elementi utili alle indagini. Non era innescato ed era contenuto in una borsa nera Mosbach & Gruber che, con gli orologi Rhula, diventerà un marchio di fabbrica dello stragismo nostrano.
Le indagini e gli arresti
Da subito le indagini si concentrano sulla pista anarchica con l'arresto di Pietro Valpreda, frettolosamente o dolosamente individuato come autore della strage e che sarà assolto nel 1985 dopo un lungo calvario giudiziario; poi, il 15 dicembre con la morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato dal quarto piano della questura durante un interrogatorio.
Qualche tempo dopo, la pista nera con le indagini su elementi di Ordine Nuovo padovani e l'incriminazione del procuratore legale Giovanni Ventura e l'editore 'nazimaoista' Franco Freda. Poi lo choc, con la decisione di trasferire il processo da Milano a Roma, da Roma nuovamente nel capoluogo lombardo e infine a Catanzaro. Risultato: assolti sia Valpreda, sia i neofascisti.
Processi e assoluzioni
Negli anni '90 si fanno avanti i primi pentiti: l'armiere di Ordine nuovo in Triveneto, Carlo Digilio, e il militante mestrino Martino Siciliano. Raccontano nel dettaglio di riunioni preparatorie agli attentati culminati con quello di piazza Fontana, forniscono ragguagli su esplosivi, congegni, sulle cellule padovane e mestrine di On e sui milanesi del gruppo La Fenice. L'inchiesta sfocia in un processo nel 2000. Imputati Delfo Zorzi esponente di Ordine nuovo, ormai ricco imprenditore della moda in Giappone, il reggente di Ordine nuovo, il medico veneziano Carlo Maria Maggi, Giancarlo Rognoni, capo del gruppo milanese La Fenice, Roberto Tringali, accusato di favoreggiamento e lo stesso Digilio. Alla fine ergastolo per Zorzi, Maggi e Rognoni, mentre per Digilio scatta la prescrizione.
Tre anni dopo, la doccia fredda per i familiari delle vittime. In appello fioccano le assoluzioni. Digilio non è ritenuto credibile e, nelle more, c'è stata anche la brutta vicenda della ritrattazione di Siciliano, 'comprata' da Zorzi.
Il 3 maggio del 2005 di nuovo la parola fine. Gli imputati sono assolti definitivamente anche se i giudici della Suprema Corte, nelle motivazioni, confermano il quadro emerso dalle indagini e come gli attentati fossero opera di Ordine nuovo. Di più: la Corte ritiene che debba darsi una risposta "positiva" al giudizio di responsabilità di Freda e Ventura per "la strage di Piazza Fontana e gli altri attentati commessi quel giorno". Freda e Ventura non sono però giudicabili in quanto già processati e assolti in via definitiva per gli stessi fatti. Un'ulteriore beffa, come quella del pagamento delle spese processuali a carico dei parenti delle vittime. Decisione 'sanata' dalla Presidenza del Consiglio che si era costituita parte civile e aveva provveduto al pagamento.
Il racconto del testimone
Fortunato Zinni quel giorno c'era e si salvò per miracolo. Aveva appena siglato la contrattazione tra due agricoltori nel salone della Banca nazionale dell'Agricoltura di piazza Fontana intorno alle 16 e 30 del 12 dicembre del 1969, quando fu chiamato in un ufficio di sopra. Nell'ufficio si appoggiò alla vetrata e in quel momento scoppiò l'inferno. Era la bomba che uccise 17 persone e ne ferì più di 80 e che viene fatta coincidere con l'inizio della "Strategia della tensione".
A 50 anni di distanza, Zinni ricostruisce meticolosamente quel pomeriggio di morte, intervistato dall'Ansa. "Lo spostamento d'aria mi gettò a terra - racconta -. Quando scesi nell'atrio era buio e sentivo i telefoni suonare all'impazzata. Risposi ed era la Questura che mi chiedeva se era scoppiata la caldaia. Risposi di no, che la caldaia era da un'altra parte e che sentivo l'odore di mandorle amare dell'esplosivo. L'agente mi chiese: cosa vede? Risposi: un pezzo di braccio".
"Qualcuno mi si aggrappò ai pantaloni - prosegue - mi chiese aiuto, aveva una gamba maciullata. Qualche mese dopo si presentò una persona con un pacchetto. Dentro c'era la mia cinghia con la quale avevo cercato di fermare l'emorragia. Io non me lo ricordavo". Ricorda, invece, la tensione alle stelle nell'ufficio del direttore. Fu incaricato di redigere un'elenco delle vittime, lui che conosceva tutti. "Tornai nel salone, dove i corpi erano coperti, come se fossero lenzuola, da fogli di una macchina per scrivere Underwood Olivetti che aveva un carrello lungo 120 centimetri". Riuscì ad identificarne buona parte.
"La mattina dopo ci sentimmo dire dal procuratore De Peppo che potevamo mettere a posto la banca perché stavano arrestando i colpevoli", conclude. Il primo fu il ballerino anarchico Pietro Valpreda, assolto dopo oltre tre anni di carcere, e la strage di Piazza Fontana, 50 anni dopo, dopo tre indagini e sette processi, non ha ancora ideatori, esecutori e mandanti. Fortunato Zinni, ha scritto un libro "Piazza Fontana, nessuno è Stato" che diffonde nelle scuole, perché quel giorno non sia dimenticato.