Cinque anni fa la strage di Charlie Hebdo
Il mondo sfilò gridando "Je suis Charlie"
Diciassette morti e l'inizio di un anno nero per la Francia. 5 anni dopo l'assalto jihadista che decimò la redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo a Parigi, la Francia ricorda l'attentato che diede il via a una lunga scia di sangue, culminata pochi mesi dopo - a novembre del 2015 - nella strage dei bistrot parigini e del Bataclan.
Ad aprire il fuoco durante la riunione di redazione del giornale furono i fratelli jihadisti Cherif e Said Kouachi, che uccisero le 12 persone presenti, giornalisti, operatori, invitati, poliziotti. Fuggirono gridando "abbiamo vendicato il profeta Maometto! Abbiamo ucciso Charlie Hebdo!". I morti di Charlie Hebdo erano delle celebrità, dei nomi iconici della Francia: dal direttore Stephane Charbonnier, detto Charb, a collaboratori storici come il celeberrimo George Wolinski, e poi Cabu, Tignous ed Honore'. La colpa di quello che è tuttora, il più celebre giornale satirico di Francia era quella di aver pubblicato alcune caricature di Maometto già apparse in Danimarca. Pochi istanti prima dell'assalto il giornale aveva postato sul proprio account Twitter una vignetta sul "califfo" Abu Bakr al-Baghdadi, il capo dell'Isis.
Quarantotto ore dopo, la caccia all'uomo si concluse in una tipografia della banlieue dove i Kouachi furono uccisi dalle forze speciali.
Nelle stesse ore, un complice, Amedy Coulibaly, colpì la comunità ebraica prendendo degli ostaggi nel supermercato Hyper Cacher alle porte della capitale. Uccise 4 persone prima di essere a sua volta ucciso dalle teste di cuoio.Il giorno prima, aveva freddato una poliziotta a Montrouge, a sud di Parigi.
L'impatto della strage di Charlie Hebdo è stato immenso e ha segnato in profondità la società francese. Il fine settimana successivo almeno 4 milioni di persone scesero in strada scandendo le parole "Je suis Charlie", diventate lo slogan dell'Occidente contro il terrore, ma anche lo slogan per la libertà d'espressione e della stampa, per i valori di una società avanzata e segnata dai principi democratici. C'erano 44 capi di Stato e di governo di tutto il mondo tra i partecipanti al corteo - tra questi anche l'israeliano Benjamin Netanyahu ed il palestinese Abu Mazen - e le manifestazioni di solidarietà continuarono per giorni e giorni in un numero infinito di città di tutti i continenti.
Il primo numero pubblicato dal giornale dopo l'attentato vendette oltre 7 milioni di copie. Ma oggi il clima è un altro. Proprio in questi giorni, nell'occasione dell'anniversario, Laurent Sourrisseau, detto Riss, direttore di Charlie Hebdo, ha pubblicato un libro-pamphlet, significativamente intitolato "Un minuto, 49 secondi", ossia l'esatta durata dell'assalto in cui lui stesso rimase gravemente ferito . E il suo bilancio, cinque anni dopo, è tutt'altro che pacificato. È tragico: "Se oggi pubblicassimo di nuovo quelle caricature saremmo di nuovo soli. L'attacco non ha reso le persone più coraggiose. Al contrario". Prendersela con l'esercito la Chiesa, lo Stato non serve, spiega nel suo editoriale commemorativo, bisogna piuttosto dire basta "alle associazioni tiranniche, alle minoranze narcisistiche, ai bloggers che ci bacchettano come maestrine. Oggi, il politicamente corretto ci impone ortografia di genere, ci sconsiglia di usare parole che potrebbero disturbare".
Ad aprire il fuoco durante la riunione di redazione del giornale furono i fratelli jihadisti Cherif e Said Kouachi, che uccisero le 12 persone presenti, giornalisti, operatori, invitati, poliziotti. Fuggirono gridando "abbiamo vendicato il profeta Maometto! Abbiamo ucciso Charlie Hebdo!". I morti di Charlie Hebdo erano delle celebrità, dei nomi iconici della Francia: dal direttore Stephane Charbonnier, detto Charb, a collaboratori storici come il celeberrimo George Wolinski, e poi Cabu, Tignous ed Honore'. La colpa di quello che è tuttora, il più celebre giornale satirico di Francia era quella di aver pubblicato alcune caricature di Maometto già apparse in Danimarca. Pochi istanti prima dell'assalto il giornale aveva postato sul proprio account Twitter una vignetta sul "califfo" Abu Bakr al-Baghdadi, il capo dell'Isis.
Quarantotto ore dopo, la caccia all'uomo si concluse in una tipografia della banlieue dove i Kouachi furono uccisi dalle forze speciali.
Nelle stesse ore, un complice, Amedy Coulibaly, colpì la comunità ebraica prendendo degli ostaggi nel supermercato Hyper Cacher alle porte della capitale. Uccise 4 persone prima di essere a sua volta ucciso dalle teste di cuoio.Il giorno prima, aveva freddato una poliziotta a Montrouge, a sud di Parigi.
L'impatto della strage di Charlie Hebdo è stato immenso e ha segnato in profondità la società francese. Il fine settimana successivo almeno 4 milioni di persone scesero in strada scandendo le parole "Je suis Charlie", diventate lo slogan dell'Occidente contro il terrore, ma anche lo slogan per la libertà d'espressione e della stampa, per i valori di una società avanzata e segnata dai principi democratici. C'erano 44 capi di Stato e di governo di tutto il mondo tra i partecipanti al corteo - tra questi anche l'israeliano Benjamin Netanyahu ed il palestinese Abu Mazen - e le manifestazioni di solidarietà continuarono per giorni e giorni in un numero infinito di città di tutti i continenti.
Il primo numero pubblicato dal giornale dopo l'attentato vendette oltre 7 milioni di copie. Ma oggi il clima è un altro. Proprio in questi giorni, nell'occasione dell'anniversario, Laurent Sourrisseau, detto Riss, direttore di Charlie Hebdo, ha pubblicato un libro-pamphlet, significativamente intitolato "Un minuto, 49 secondi", ossia l'esatta durata dell'assalto in cui lui stesso rimase gravemente ferito . E il suo bilancio, cinque anni dopo, è tutt'altro che pacificato. È tragico: "Se oggi pubblicassimo di nuovo quelle caricature saremmo di nuovo soli. L'attacco non ha reso le persone più coraggiose. Al contrario". Prendersela con l'esercito la Chiesa, lo Stato non serve, spiega nel suo editoriale commemorativo, bisogna piuttosto dire basta "alle associazioni tiranniche, alle minoranze narcisistiche, ai bloggers che ci bacchettano come maestrine. Oggi, il politicamente corretto ci impone ortografia di genere, ci sconsiglia di usare parole che potrebbero disturbare".