Mondo

Migranti, la linea politica dei Paesi dell'Est Europa tra muri, chiusure e cambi di rotta

Innalzano barriere, contestano il sistema della distribuzione delle quote, voluto da Bruxelles, rafforzano i confini. E' la chiusura ad accomunare le politiche verso i migranti dei Paesi dell'Est Europa, le nazioni del gruppo di Visegrad, costituito nel 1991, all'indomani dell'indipendenza piena dall'Unione Sovietica. Alla base di questa politica comune, ragioni storico-culturali e anche politiche, sebbene non manchino differenze tra i quattro Paesi e tra i leader a capo dei cosiddetti V4. Viktor Orban, l'uomo che sta sigillando l'Ungheria con il filo spinato, puntando sulle paure e sulla disinformazione degli ungheresi, vola nei sondaggi e secondo dati di Der Spiegel ha dalla sua il 70 per cento della popolazione. Robert Fico, non a caso definito l'Orban slovacco da un giornale fiammingo, guarda alle elezioni del 2017 e alla ricerca di un facile consenso. Al vertice Ue del 22 settembre ha votato no alla distribuzione delle quote voluta da Bruxelles e, insieme alla Repubblica Ceca, si riserva di presentare un ricorso alla Corte europea di Giustizia contro il collocamento dei 120mila profughi. Un'ipotesi partita da Bohuslav Sobotka, primo ministro ceco, che non stigmatizza tanto il sistema delle quote, ma l'imposizione da parte della Ue. Sobotka sostiene che l'Unione dovrebbe preoccuparsi piuttosto di intervenire nei Paesi di origine dei rifugiati, come la Siria, con il sostegno di "grandi" come Usa e Russia. Ancora diversa la posizione della Polonia, la nazione più grande tra i Paesi dell'est, che dopo aver criticato Bruxelles ha votato a favore del piano di distribuzione volontaria, rendendosi disponibile ad accogliere anche un numero maggiore di rifugiati rispetto a quanto previsto. Un cambiamento di rotta dovuto forse alle pressioni della Chiesa e della Germania, e anche alla consapevolezza di poter aver bisogno dell'Europa se la crisi in Ucraina dovesse acuirsi