La Pace di Francesco e l’indecisione dell’Europa
di Roberto Montoya
Sono circa 30 i conflitti ad oggi attivi in tutto il mondo, poco visibili, ma comunque letali. Guerre congelate, come quella in Transnistria che “apparentemente” non fa morti e di cui nessuno parla perché di scarsa rilevanza. Venti di Guerra che soffiano soprattutto in Medio Oriente. Guerre che da sempre portano esperienze dolorose, violenze, devastazioni, ferite mai rimarginate. Conflitti ben organizzati ed eseguiti grazie alla regia dei “Conquistadores” del nuovo millennio.
L’ “invasione” degli immigrati sulle nostre coste o degli immigrati latinoamericani verso la frontiera degli Stati Uniti è solo la punta di un iceberg. Poco si parla della guerra di mafia in Messico che va avanti dal 2006 e che produce 12 mila morti e 2mila desaparecidos all’anno; o sul controllo esercitato dalle diverse mafie che si arricchiscono sfruttando migliaia di immigrati e profughi che approdano chiedendo aiuto.
“Un nuovo anno che non sembra essere costellato da segni incoraggianti, quanto piuttosto da un inasprirsi di tensioni e violenze”, così Papa Francesco si rivolge al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede appellandosi all’impegno per la pace, per il disarmo nucleare, chiedendo di non dimenticarsi delle guerre congelate e di fare attenzione alle guerre dimenticate. Ha ricordato anche la difficile situazione in Africa e America Latina, la lotta agli abusi sui minori, la violenza sulle donne e il senso della solidarietà in Europa. “La pace avanza se c’è dialogo – aggiunge - riconciliazione e conversione ecologica”
Sempre alla ricerca di una pace duratura e ribadendo il suo secco No alla violenza, Papa Francesco esorta ad un impegno “costante e senza sosta”, ad essere portatori di pace nel posto in cui ci troviamo, con determinazione, evitando il fanatismo, ad agire con coraggio, ma senza esaltazione, con tenacia, ma in maniera intelligente.
Nell’aula Regia vaticana parla con preoccupazione di quei “segnali che giungono dall’intera regione, in seguito all’innalzarsi della tensione fra l’Iran e gli Stati Uniti e che rischiano anzitutto di mettere a dura prova il lento processo di ricostruzione dell’Iraq, nonché di creare le basi di un conflitto di più vasta scala che tutti vorremmo poter scongiurare”.
Per evitare la guerra, dobbiamo lavorare per costruire una società con i valori fondamentali della vita, partendo dalle piccole comunità, dalle “Chiese domestiche” insegnando ai nostri figli l’amore e il senso della solidarietà. I rischi di guerra – Lo ricorda Francesco – sono dovuti all’enorme disuguaglianza sociale e alla presenza autoritaria, egemonica di un Paese verso l’altro. Rivolgendosi anche all’Europa, ricorda quanto sia necessario “non perdere di vista quel senso di solidarietà che per secoli l’ha contraddistinta, anche nei momenti più difficili della sua storia, che affonda le sue radici, tra l’altro, nella pietas romana e nella Caritas cristiana, che ben descrivono l’animo dei popoli europei”.
Un recente accordo tra Europa e Turchia da 6 miliardi di euro per “contrastare la crisi dei migranti” ha un retroscena irrazionale, che vede da un lato il nostro continente come uno dei più grandi fornitori di armamenti bellici al mondo, e dall’altro la Turchia, membro della Nato, quale uno dei principali clienti dell’industria bellica italiana e spagnola. L’Italia, secondo l’Art. 11 della Costituzione ripudia la guerra, ma nel 2018 ha venduto materiale bellico per più di 360 milioni di Euro, collocandosi così al 9° posto tra i più grandi esportatori di armi al mondo.
“La guerra, lo sappiamo – ammonisce Francesco- comincia spesso con l’insofferenza per la diversità dell’altro, che fomenta il desiderio di possesso e la volontà di dominio. Nasce nel cuore dell’uomo dall’egoismo e dalla superbia, dall’odio che induce a distruggere, a rinchiudere l’altro in un’immagine negativa, ad escluderlo e cancellarlo. La guerra si nutre di perversione delle relazioni, di ambizioni egemoniche, di abusi di potere, di paura dell’altro e della differenza vista come ostacolo; e nello stesso tempo alimenta tutto questo”.
Abbiamo incontrato Alessandro Politi docente di geopolitica e Director della NATO Defense College Foundation.
Recentemente Papa Francesco ha incontrato il corpo diplomatico presso la Santa Sede insistendo fortemente sulla Pace. Lei che ne pensa?
L’appello di papa Francesco sulla pace è molto importante perché le tensioni mal gestite portano ai disastri umani. Papa Francesco ragiona su scala planetaria e non su un solo paese. L’appello alla Pace che fa il vescovo di Roma è qualcosa di molto concreto, anche in vista del rischio di un eventuale guerra. Il Papa è un leader religioso ma ha una responsabilità morale e quindi anche politica davanti a un miliardo e mezzo di persone e non solo. La Pace di Francesco non è un simpatico appello di sentimenti. Sicuramente è difficile ottenerla, ma lui ci chiede anche di saperla mantenere, poiché la capacità distruttiva che abbiamo sviluppato è enorme…basti solo pensare alle armi nucleari! Il Papa non è alla moda, semplicemente ha la lucidità dello sguardo di chi viene
dalla periferia.
…il pragmatismo di alcune politiche nel mondo a volte rema contro Papa Francesco?
Sì, si potrebbe liquidare dicendo: “Beh, è un papa… se non predica la pace, che vuoi che dica”. Questa è miopia acuta travestita da Realpolitik stupida. La Realpolitik dice che la guerra è uno strumento altamente costoso e sanguinoso. Una guerra che non sempre raggiunge i suoi obbiettivi politici. Le guerre mondiali, compresa quella fredda, hanno portato al collasso le grandi potenze. La Realpolitik ci dice: “Se tu sei il paese leader, finora quanto ti sei indebitato?” Comunque è un mondo che ha dei conflitti seri e spesso irrisolti. Ora, dopo 5000 anni di guerre penso che l’umanità non se ne meriti un’altra, e tanto meno una mondiale.
…mi spieghi meglio.
Soltanto gli americani si possono illudere di essere figli di Marte e noi europei figli di Venere. Loro fanno la guerra solo da 200 anni…che non ci vengano a raccontare cos’è la guerra, anche quella di coalizione…lo sappiamo benissimo da millenni. Papa Francesco mette al centro l’essere umano e quello che conta è il bene comune, mentre la stella polare di tutta la riflessione strategica fino ad oggi era costituita dagli interessi nazionali. Comunque l’Europa si è sempre divisa per questioni nazionali, e di questo dobbiamo avere considerazione. I nazionalismi hanno portato il nostro continente al suicidio. Peccato però che con il cambiamento climatico gli interessi nazionali non sono più supremi, semplicemente perché non abbiamo un pianeta di ricambio…
I muri costruiti durante la nostra storia, dal Limes Romana, alla Grande Muraglia cinese, fino al muro di Berlino, sono serviti ben poco per combattere il nemico di turno… e nel caso dell’immigrazione?
Il rapporto con lo straniero è stato difficile nella storia. La Bibbia ci ricorda “Quando ti abbiamo visto forestiero ti abbiamo ospitato” cosa che purtroppo chi legge la Bibbia a volte dimentica. Questo rapporto con l’altro va governato con strumenti che richiedono investimenti, ma sono semplici come una buona istruzione pubblica. Purtroppo il livello retorico di oggi è quello di controllare le frontiere, invece quello reale, pratico è quello di farli venire, che siano possibilmente invisibili e che si ammazzino di lavoro per noi e basta. Chi è cittadino oggi? La risposta evangelica direbbe “il tuo prossimo” invece qualcuno si ostina a dire: “Quelli là non sono i miei”…ma Gesù rispose: “Quello è il tuo prossimo”. Noi italiani immigrati, questo problema l’abbiamo conosciuto: eravamo lavoratori ospiti, vivevamo in baracche e non eravamo liberi di uscire la sera. Il dire oggi: “Immigrati sì, ma poi te ne devi stare a posto tuo”, durante la nostra storia dell’umanità ha prodotto grandi ghetti. I nazionalismi in Europa di solito hanno cacciato sempre le minoranze. Perché non portiamo i nostri figli a raccogliere i pomodorini in campagna, a fare la badante ai nostri anziani? Chi è che ci porta oggi la pizza a casa? Comunque l’illegalità sia nell'economia che in quella grigia, rinforza il potere parallelo delle mafie. Oggi arriviamo a una mezza paga insufficiente che è una mezza schiavitù. L’economia così come la stiamo concependo non è fondata sul lavoro.
Papa Francesco ci chiede di essere portatori di pace… ma l’Europa è uno dei principali fornitori di armamenti bellici nel mondo…
La vendita di armamenti è una faccenda di denaro che ha un peso nel Pil di tanti paesi. È un traino tecnologico ed estende la propria influenza nazionale creando una rete politica. La sicurezza è un bene, ed è quello che si richiede ad un governante. Una volta si vendevano le armi anche ai propri nemici, ora non è più così. Le armi da sole non fanno la guerra e le guerre scoppiano perché qualcuno decide che è un buon sistema. Papa Francesco è una voce profetica su questo. Ha una missione che come capo religioso include la dimensione della profezia. Ha una capacità di guardare il futuro in modo realistico e non chiuso, anche nelle questioni di analisi strategica. La vendita di armi si regge su un dilemma politico e morale, e anche su un’altra cosa scontata: “Se noi non le vendiamo le venderanno altri”.
…ma questo non può essere una scusa!
Certamente no! …ci deve essere una valutazione politica accurata prima di vendere armamenti. L’Europa si è dotata di codici stringenti su chi dovrebbe essere destinatario di questi armamenti. L’Italia, devo dire è molto attenta, più di altri paesi europei. Vende armi alla Turchia perché è alleata della NATO. Tuttavia l’attenzione italiana non è un’attenzione buonista… vuole evitare scontri con un’opinione pubblica che in genere non capisce queste cose.
Che ruolo ha avuto l’Europa in questi recenti conflitti, per esempio sulla Libia?
Qui bisogna uscire da un comodo errore ottico sul concetto dell’Europa. Quando c’è qualcosa che non va, è l’Europa che non funziona. Non è vero che l’Europa non funziona perché siamo 29 paesi; sicuramente è faticoso discutere nel quotidiano, ma quando ci sono le cose importanti si decide seguendo la linea di paesi importanti. È chiaro che chi è più forte ha la responsabilità della leadership, in genere sono 4 o 5 paesi. Questi paesi devono essere uniti, altrimenti non si arriva a nessun accordo. L’uscita della Gran Bretagna dall’Europa non è una poltrona che si libera, ma un pezzo di responsabilità che va ridistribuito in modo intelligente.
…e quindi?
Il ruolo dell’Europa è stato altalenante. Serve la capacità di investire, di indurre, promettere e avere anche capacità militare. Quando i teatri di conflitto diventano lontani, lo scenario diventa complicato. La logistica in guerra è importante e gli unici ad averla veramente solida sono gli americani…senza di loro operare in giro per il mondo diventa difficile. L’accordo di Berlino sulla Libia è stato estremamente fragile. Il motivo per cui i due contendenti accettano il cessate il fuoco, è solo per rimettere a posto la logistica. Ma la politica o la diplomazia vanno per la loro strada. Mi sono chiesto: perché il generale Haftar deve trattare? Perché Fayez al Serraj dovrebbe smettere di avere aiuti marittimi militari dalla Turchia? Chi ha memoria della guerra in Jugoslavia, quando le milizie avanzavano, che importanza aveva trattare o fare la pace? È una semplice, cruda verità.
Ma lo Stato Islamico avanza, però?
Lo Stato Islamico ha creato un’entità politica a cavallo tra la Siria e l’Iraq, negando gli accordi di Sykes-Picot del 1916. Lo Stato islamico è stato sconfitto nella sua dimensione territoriale, ma come fenomeno terroristico continua ancora. L’obiettivo politico dello Stato islamico è stato purtroppo raggiunto, perché è riuscito a definire come illegittima la divisione della carta regionale. Vuol dire che di fatto esistono una serie di Stati, ma in realtà non è scontato che esistano ancora. Si pensa ancora che la vittoria sia sempre una faccenda militare che però ha senso solo se ha anche un effetto politico.
Esiste la possibilità di altri scenari di guerra?
Ci sono delle guerre che sono interconnesse, ma quello che temo di più è un conflitto tra Cina e Stati Uniti. Uno dei motivi per cui si potrebbe scatenare la guerra, sarebbe la persistente mancanza di saggezza politica da entrambe le parti. Finché ci sono guerre di carattere commerciale, l’accordo si trova; invece quando si toccano gli interessi nazionali, è un problema serio. Stiamo parlando di due potenze: una affermata e un’altra nuova. C’è l’imminente paura all’incrocio tra chi sale e chi scende. E l’incrocio può essere gestito in due modi: uno arrivando a un accordo che ridefinisca un multipolarismo che funziona e che comincia a ricostruire qualcosa che è da inventare, oppure l’alternativa è la guerra mondiale.

www.natofoundation.org
L’ “invasione” degli immigrati sulle nostre coste o degli immigrati latinoamericani verso la frontiera degli Stati Uniti è solo la punta di un iceberg. Poco si parla della guerra di mafia in Messico che va avanti dal 2006 e che produce 12 mila morti e 2mila desaparecidos all’anno; o sul controllo esercitato dalle diverse mafie che si arricchiscono sfruttando migliaia di immigrati e profughi che approdano chiedendo aiuto.
“Un nuovo anno che non sembra essere costellato da segni incoraggianti, quanto piuttosto da un inasprirsi di tensioni e violenze”, così Papa Francesco si rivolge al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede appellandosi all’impegno per la pace, per il disarmo nucleare, chiedendo di non dimenticarsi delle guerre congelate e di fare attenzione alle guerre dimenticate. Ha ricordato anche la difficile situazione in Africa e America Latina, la lotta agli abusi sui minori, la violenza sulle donne e il senso della solidarietà in Europa. “La pace avanza se c’è dialogo – aggiunge - riconciliazione e conversione ecologica”
Sempre alla ricerca di una pace duratura e ribadendo il suo secco No alla violenza, Papa Francesco esorta ad un impegno “costante e senza sosta”, ad essere portatori di pace nel posto in cui ci troviamo, con determinazione, evitando il fanatismo, ad agire con coraggio, ma senza esaltazione, con tenacia, ma in maniera intelligente.
Nell’aula Regia vaticana parla con preoccupazione di quei “segnali che giungono dall’intera regione, in seguito all’innalzarsi della tensione fra l’Iran e gli Stati Uniti e che rischiano anzitutto di mettere a dura prova il lento processo di ricostruzione dell’Iraq, nonché di creare le basi di un conflitto di più vasta scala che tutti vorremmo poter scongiurare”.
Per evitare la guerra, dobbiamo lavorare per costruire una società con i valori fondamentali della vita, partendo dalle piccole comunità, dalle “Chiese domestiche” insegnando ai nostri figli l’amore e il senso della solidarietà. I rischi di guerra – Lo ricorda Francesco – sono dovuti all’enorme disuguaglianza sociale e alla presenza autoritaria, egemonica di un Paese verso l’altro. Rivolgendosi anche all’Europa, ricorda quanto sia necessario “non perdere di vista quel senso di solidarietà che per secoli l’ha contraddistinta, anche nei momenti più difficili della sua storia, che affonda le sue radici, tra l’altro, nella pietas romana e nella Caritas cristiana, che ben descrivono l’animo dei popoli europei”.
Un recente accordo tra Europa e Turchia da 6 miliardi di euro per “contrastare la crisi dei migranti” ha un retroscena irrazionale, che vede da un lato il nostro continente come uno dei più grandi fornitori di armamenti bellici al mondo, e dall’altro la Turchia, membro della Nato, quale uno dei principali clienti dell’industria bellica italiana e spagnola. L’Italia, secondo l’Art. 11 della Costituzione ripudia la guerra, ma nel 2018 ha venduto materiale bellico per più di 360 milioni di Euro, collocandosi così al 9° posto tra i più grandi esportatori di armi al mondo.
“La guerra, lo sappiamo – ammonisce Francesco- comincia spesso con l’insofferenza per la diversità dell’altro, che fomenta il desiderio di possesso e la volontà di dominio. Nasce nel cuore dell’uomo dall’egoismo e dalla superbia, dall’odio che induce a distruggere, a rinchiudere l’altro in un’immagine negativa, ad escluderlo e cancellarlo. La guerra si nutre di perversione delle relazioni, di ambizioni egemoniche, di abusi di potere, di paura dell’altro e della differenza vista come ostacolo; e nello stesso tempo alimenta tutto questo”.
Abbiamo incontrato Alessandro Politi docente di geopolitica e Director della NATO Defense College Foundation.
Recentemente Papa Francesco ha incontrato il corpo diplomatico presso la Santa Sede insistendo fortemente sulla Pace. Lei che ne pensa?
L’appello di papa Francesco sulla pace è molto importante perché le tensioni mal gestite portano ai disastri umani. Papa Francesco ragiona su scala planetaria e non su un solo paese. L’appello alla Pace che fa il vescovo di Roma è qualcosa di molto concreto, anche in vista del rischio di un eventuale guerra. Il Papa è un leader religioso ma ha una responsabilità morale e quindi anche politica davanti a un miliardo e mezzo di persone e non solo. La Pace di Francesco non è un simpatico appello di sentimenti. Sicuramente è difficile ottenerla, ma lui ci chiede anche di saperla mantenere, poiché la capacità distruttiva che abbiamo sviluppato è enorme…basti solo pensare alle armi nucleari! Il Papa non è alla moda, semplicemente ha la lucidità dello sguardo di chi viene
dalla periferia.
…il pragmatismo di alcune politiche nel mondo a volte rema contro Papa Francesco?
Sì, si potrebbe liquidare dicendo: “Beh, è un papa… se non predica la pace, che vuoi che dica”. Questa è miopia acuta travestita da Realpolitik stupida. La Realpolitik dice che la guerra è uno strumento altamente costoso e sanguinoso. Una guerra che non sempre raggiunge i suoi obbiettivi politici. Le guerre mondiali, compresa quella fredda, hanno portato al collasso le grandi potenze. La Realpolitik ci dice: “Se tu sei il paese leader, finora quanto ti sei indebitato?” Comunque è un mondo che ha dei conflitti seri e spesso irrisolti. Ora, dopo 5000 anni di guerre penso che l’umanità non se ne meriti un’altra, e tanto meno una mondiale.
…mi spieghi meglio.
Soltanto gli americani si possono illudere di essere figli di Marte e noi europei figli di Venere. Loro fanno la guerra solo da 200 anni…che non ci vengano a raccontare cos’è la guerra, anche quella di coalizione…lo sappiamo benissimo da millenni. Papa Francesco mette al centro l’essere umano e quello che conta è il bene comune, mentre la stella polare di tutta la riflessione strategica fino ad oggi era costituita dagli interessi nazionali. Comunque l’Europa si è sempre divisa per questioni nazionali, e di questo dobbiamo avere considerazione. I nazionalismi hanno portato il nostro continente al suicidio. Peccato però che con il cambiamento climatico gli interessi nazionali non sono più supremi, semplicemente perché non abbiamo un pianeta di ricambio…
I muri costruiti durante la nostra storia, dal Limes Romana, alla Grande Muraglia cinese, fino al muro di Berlino, sono serviti ben poco per combattere il nemico di turno… e nel caso dell’immigrazione?
Il rapporto con lo straniero è stato difficile nella storia. La Bibbia ci ricorda “Quando ti abbiamo visto forestiero ti abbiamo ospitato” cosa che purtroppo chi legge la Bibbia a volte dimentica. Questo rapporto con l’altro va governato con strumenti che richiedono investimenti, ma sono semplici come una buona istruzione pubblica. Purtroppo il livello retorico di oggi è quello di controllare le frontiere, invece quello reale, pratico è quello di farli venire, che siano possibilmente invisibili e che si ammazzino di lavoro per noi e basta. Chi è cittadino oggi? La risposta evangelica direbbe “il tuo prossimo” invece qualcuno si ostina a dire: “Quelli là non sono i miei”…ma Gesù rispose: “Quello è il tuo prossimo”. Noi italiani immigrati, questo problema l’abbiamo conosciuto: eravamo lavoratori ospiti, vivevamo in baracche e non eravamo liberi di uscire la sera. Il dire oggi: “Immigrati sì, ma poi te ne devi stare a posto tuo”, durante la nostra storia dell’umanità ha prodotto grandi ghetti. I nazionalismi in Europa di solito hanno cacciato sempre le minoranze. Perché non portiamo i nostri figli a raccogliere i pomodorini in campagna, a fare la badante ai nostri anziani? Chi è che ci porta oggi la pizza a casa? Comunque l’illegalità sia nell'economia che in quella grigia, rinforza il potere parallelo delle mafie. Oggi arriviamo a una mezza paga insufficiente che è una mezza schiavitù. L’economia così come la stiamo concependo non è fondata sul lavoro.
Papa Francesco ci chiede di essere portatori di pace… ma l’Europa è uno dei principali fornitori di armamenti bellici nel mondo…
La vendita di armamenti è una faccenda di denaro che ha un peso nel Pil di tanti paesi. È un traino tecnologico ed estende la propria influenza nazionale creando una rete politica. La sicurezza è un bene, ed è quello che si richiede ad un governante. Una volta si vendevano le armi anche ai propri nemici, ora non è più così. Le armi da sole non fanno la guerra e le guerre scoppiano perché qualcuno decide che è un buon sistema. Papa Francesco è una voce profetica su questo. Ha una missione che come capo religioso include la dimensione della profezia. Ha una capacità di guardare il futuro in modo realistico e non chiuso, anche nelle questioni di analisi strategica. La vendita di armi si regge su un dilemma politico e morale, e anche su un’altra cosa scontata: “Se noi non le vendiamo le venderanno altri”.
…ma questo non può essere una scusa!
Certamente no! …ci deve essere una valutazione politica accurata prima di vendere armamenti. L’Europa si è dotata di codici stringenti su chi dovrebbe essere destinatario di questi armamenti. L’Italia, devo dire è molto attenta, più di altri paesi europei. Vende armi alla Turchia perché è alleata della NATO. Tuttavia l’attenzione italiana non è un’attenzione buonista… vuole evitare scontri con un’opinione pubblica che in genere non capisce queste cose.
Che ruolo ha avuto l’Europa in questi recenti conflitti, per esempio sulla Libia?
Qui bisogna uscire da un comodo errore ottico sul concetto dell’Europa. Quando c’è qualcosa che non va, è l’Europa che non funziona. Non è vero che l’Europa non funziona perché siamo 29 paesi; sicuramente è faticoso discutere nel quotidiano, ma quando ci sono le cose importanti si decide seguendo la linea di paesi importanti. È chiaro che chi è più forte ha la responsabilità della leadership, in genere sono 4 o 5 paesi. Questi paesi devono essere uniti, altrimenti non si arriva a nessun accordo. L’uscita della Gran Bretagna dall’Europa non è una poltrona che si libera, ma un pezzo di responsabilità che va ridistribuito in modo intelligente.
…e quindi?
Il ruolo dell’Europa è stato altalenante. Serve la capacità di investire, di indurre, promettere e avere anche capacità militare. Quando i teatri di conflitto diventano lontani, lo scenario diventa complicato. La logistica in guerra è importante e gli unici ad averla veramente solida sono gli americani…senza di loro operare in giro per il mondo diventa difficile. L’accordo di Berlino sulla Libia è stato estremamente fragile. Il motivo per cui i due contendenti accettano il cessate il fuoco, è solo per rimettere a posto la logistica. Ma la politica o la diplomazia vanno per la loro strada. Mi sono chiesto: perché il generale Haftar deve trattare? Perché Fayez al Serraj dovrebbe smettere di avere aiuti marittimi militari dalla Turchia? Chi ha memoria della guerra in Jugoslavia, quando le milizie avanzavano, che importanza aveva trattare o fare la pace? È una semplice, cruda verità.
Ma lo Stato Islamico avanza, però?
Lo Stato Islamico ha creato un’entità politica a cavallo tra la Siria e l’Iraq, negando gli accordi di Sykes-Picot del 1916. Lo Stato islamico è stato sconfitto nella sua dimensione territoriale, ma come fenomeno terroristico continua ancora. L’obiettivo politico dello Stato islamico è stato purtroppo raggiunto, perché è riuscito a definire come illegittima la divisione della carta regionale. Vuol dire che di fatto esistono una serie di Stati, ma in realtà non è scontato che esistano ancora. Si pensa ancora che la vittoria sia sempre una faccenda militare che però ha senso solo se ha anche un effetto politico.
Esiste la possibilità di altri scenari di guerra?
Ci sono delle guerre che sono interconnesse, ma quello che temo di più è un conflitto tra Cina e Stati Uniti. Uno dei motivi per cui si potrebbe scatenare la guerra, sarebbe la persistente mancanza di saggezza politica da entrambe le parti. Finché ci sono guerre di carattere commerciale, l’accordo si trova; invece quando si toccano gli interessi nazionali, è un problema serio. Stiamo parlando di due potenze: una affermata e un’altra nuova. C’è l’imminente paura all’incrocio tra chi sale e chi scende. E l’incrocio può essere gestito in due modi: uno arrivando a un accordo che ridefinisca un multipolarismo che funziona e che comincia a ricostruire qualcosa che è da inventare, oppure l’alternativa è la guerra mondiale.

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