Morta difendendo i figli, tentava ricongiungimento. Traversata finita in tragedia, oggi le esequie
La storia di una donna rifugiata che ha trovato la morte nel Mediterraneo cercando di ricongiungersi alla famiglia in Italia
Si chiamava Kone Aminata, 37 anni, la giovane madre morta per asfissia su un gommone diretto in Italia. Con lei viaggiavano i due figli più piccoli, una bimba di 9 e un bambino di 6 anni, che hanno vegliato il corpo della donna; un corpo esanime che ha fatto loro da scudo nella ressa del viaggio. Poi per i figli le cure del personale di Save The Children. Era il 6 novembre 2016. Stamattina si sono svolti i funerali della madre a Ragusa.
"Eravamo in dirittura d'arrivo, le pratiche per l'ultimo ricongiungimento familiare erano già pronte, mancava davvero poco. Bisognava pazientare". Racconta Marcos Lopes del G.U.S. di Jesi, una Onlus, acronimo di Gruppo Umana Solidarietà, che si occupa di richiedenti asilo rifugiati e difesa dei diritti umani.
"Il marito di Aminata lavora con noi da cinque anni - spiega Lopez - è stato un nostro ospite sei anni fa, è uno dei nostri mediatori culturali, non sapeva nulla del viaggio, ci diceva che era da un mese che non riusciva a contattare la moglie: lui fa tre lavori diversi ed il suo obiettivo era di fare arrivare anche il resto della famiglia in Italia, ci stavamo lavorando".
"Era arrivato in Italia in aereo, nel 2010 con un visto da rifugiato perché in Costa d'Avorio c'erano disordini. Tre anni fa era riuscito a fare arrivare i due figli più grandi, una figlia studia a Parigi, un figlio sta con lui nelle Marche, anche loro partiti in aereo.
"I due piccoli con la mamma attendevano il ricongiungimento". La documentazione era pronta, ma la donna è voluta partire lo stesso. È morta proteggendo i figli.
"Stiamo lavorando con il giudice, i servizi sociali per avvicinare i due piccoli al papà - spiega ancora Lopez - magari con un affidamento temporaneo ad una famiglia vicina e andremo a garantire tutto per i bambini affinché abbiano studio, inserimento sociale, tutto ciò di cui hanno bisogno, stiamo lavorando. Grazie a tutti, Ragusa ci ha aiutato moltissimo, tutti: le istituzioni, prefettura, comune, associazioni".
"Eravamo in dirittura d'arrivo, le pratiche per l'ultimo ricongiungimento familiare erano già pronte, mancava davvero poco. Bisognava pazientare". Racconta Marcos Lopes del G.U.S. di Jesi, una Onlus, acronimo di Gruppo Umana Solidarietà, che si occupa di richiedenti asilo rifugiati e difesa dei diritti umani.
"Il marito di Aminata lavora con noi da cinque anni - spiega Lopez - è stato un nostro ospite sei anni fa, è uno dei nostri mediatori culturali, non sapeva nulla del viaggio, ci diceva che era da un mese che non riusciva a contattare la moglie: lui fa tre lavori diversi ed il suo obiettivo era di fare arrivare anche il resto della famiglia in Italia, ci stavamo lavorando".
"Era arrivato in Italia in aereo, nel 2010 con un visto da rifugiato perché in Costa d'Avorio c'erano disordini. Tre anni fa era riuscito a fare arrivare i due figli più grandi, una figlia studia a Parigi, un figlio sta con lui nelle Marche, anche loro partiti in aereo.
"I due piccoli con la mamma attendevano il ricongiungimento". La documentazione era pronta, ma la donna è voluta partire lo stesso. È morta proteggendo i figli.
"Stiamo lavorando con il giudice, i servizi sociali per avvicinare i due piccoli al papà - spiega ancora Lopez - magari con un affidamento temporaneo ad una famiglia vicina e andremo a garantire tutto per i bambini affinché abbiano studio, inserimento sociale, tutto ciò di cui hanno bisogno, stiamo lavorando. Grazie a tutti, Ragusa ci ha aiutato moltissimo, tutti: le istituzioni, prefettura, comune, associazioni".