Anna, la crisi in Kazakistan appare più complessa di quello che sembra. È solo una rivolta dettata dall'aumento delle bollette? Oppure c'è qualcosa di più, Un colpo di Stato? Un conflitto tra clan?
È tutte queste cose. Una rivolta per uno scontento socio-economico, diventata una protesta politica, un'esplosione di rabbia a lungo repressa. Che è stata cavalcata dal presidente in carica Kassym-Jomart Tokayev per eliminare il suo senior partner Nursultan Nazarbaev, il primo presidente del Kazakistan per 30 anni, rimasto dal 2019 nella posizione di Yelbasi, il leader della nazione, una sorta di superpresidente che si era avocato una serie di funzioni, tra cui la sicurezza nazionale e la nomina dei governatori. Quindi è anche un conflitto tra clan, in una società che si divide ancora spesso lungo linee di appartenenza a grandi "famiglie" tribali e politiche, e gli arresti dei fedelissimi di Nazarbaev negli ultimi giorni lo dimostrano.
Ci sono differenze politiche tra Tokayev e Nazarbaev? Si dice che Narzabajev fosse più attento alle relazioni con l'occidente rispetto a Tokayev vicino alla Cina?
Sembrerebbe di sì, Tokayev ha una reputazione di "filocinese", è stato a lungo anche ambasciatore a Singapore e conosce quella parte del mondo. Nazarbaev ha impostato la sua politica come "multivettoriale", e ci era riuscito: era in buoni rapporti politici e commerciali con Russia e Washington, Ankara e Pechino, Emirati Arabi e Regno Unito. Non è stato un alleato di Putin, ma ha cercato di non litigarci, anche se si è distanziato da Mosca soprattutto dopo l'annessione della Crimea nel 2014, temendo che il neocolonialismo russo potesse puntare anche al Nord russofono del Kazakistan. La richiesta di soccorso militare lanciata da Tokaev ai russi, e approvata dalla Cina, fa pensare che la nuova leadership possa spostare la freccia di questa bussola più a est.
Pensi che l'intervento militare di Putin sia fatto anche per conto della Cina?
Sarebbe un'ipotesi veramente inquietante, la prima manifestazione di quell'incubo di molti in Europa e in America che vedrebbe la Russia braccio armato (e minerario) della Cina. Credo che la Cina sia stata consenziente come minimo, come si evince non solo dalle parole di forte incoraggiamento di Xi Jinping nei confronti di Tokaev, ma anche dalla prudenza con la quale Pechino ha commentato fin dalle prime ore un'escalation alle porte di casa che non avrebbe potuto non preoccuparla a meno che non ne sapesse l'origine e le dinamiche. D'altra parte, la Cina sta diventando sempre più assertiva sulla scena internazionale, e forse potenze regionali "multivettoriali" come il Kazakhstan di Nazarbaev in questo contesto non potevano più mantenersi equidistanti. Bisogna anche ricordare che il Kazakistan condivide con la Cina una lunga frontiera che passa dallo Xinjiang, il territorio degli uiguri che il governo di Pechino considera una etnia ostile, e la minoranza uigura è presente e influente anche in Kazakistan. Non è escluso che Tokaev avesse fornito garanzie anche su questo aspetto, rispetto a Nazarbaev che aveva affidato il suo Comitato di sicurezza nazionale, l'equivalente del Kgb, a un uiguro etnico, Marim Massimov, che infatti è stato prontamente arrestato dal nuovo regime.
Davvero le truppe inviate da Putin hanno ristabilito l'ordine?
Ufficialmente le truppe russe non partecipano alla repressione della protesta, limitandosi a montare la guardia ai siti strategici e palazzi del potere. Testimonianze di giornalisti indipendenti parlano però di soldati che parlano russo e che hanno sparato sulla folla nella piazza di Almaty. Una informazione da verificare, anche perché se vera potrebbe scatenare nei kazaki una protesta mossa a questo punto anche da un sentimento anticoloniale. Per ora sembra che i parà di Putin siano serviti più che altro a convincere gli apparati di sicurezza locali - subordinati fino a pochi giorni fa all'ex presidente Nazarbaev - a sostenere Tokaev nel suo golpe, sotto la minaccia che altrimenti ci avrebbero pensato i russi. Però abbiamo visto anche Mosca inviare rinforzi sempre più massicci in Kazakistan, vedremo nei prossimi giorni se lo sta facendo per una reale necessità di reprimere una rivolta, o se sta pensando a un presidio permanente nel Paese ex sovietico.
Il regime parla di"terroristi". È vero o è solo una montatura propagandistica?
Si tratta chiaramente di un linguaggio propagandistico, simile a quello utilizzato da Mosca nei confronti prima dei ribelli ceceni e successivamente anche contro l'opposizione "estremista" di Alexey Navalny. Tokaev ha addirittura parlato di 20 mila terroristi che avrebbero attaccato Almaty, salvo poi cancellare il tweet, forse rendendosi conto dell'enormità del numero. Un altro "terrorista" mostrato dalla tv kazaka si è poi rivelato essere un jazzista kyrgyzo in tour nel Kazakhstan: fermato e picchiato, è stato costretto a "confessare" davanti alle telecamere. Peraltro il governo ha parlato di "terroristi addestrati e fiancheggiati dall'estero", giustificazione anche per richiedere l'intervento del Patto di difesa collettiva ex sovietico che scatta solo in caso di minaccia esterna, ma nessuno ha ancora specificato da quale Paese questa minaccia provenisse.
A livello sociale come si presenta il Kazakistan?
Il Kazakistan è un Paese molto complesso, contraddistinto come molti altri Paesi postsovietici da una cleptocrazia che monopolizza la rendita delle risorse naturali, con una popolazione che vive invece una situazione di disagio e povertà. Basterebbe guardare l'aumento delle bollette che ha fatto scatenare le prime proteste, irrisorio secondo i parametri occidentali, ma cospicuo in una zona dove i salari si aggirano sui 130-150 euro. Bisogna anche ricordare che si tratta di un Paese enorme - nove volte l'Italia - e molto eterogeneo, etnicamente, geograficamente, economicamente e culturalmente, un Paese che ha investito molto nella modernizzazione, ma molto meno nel welfare.
L’opposizione al regime da chi è composta?
E' abbastanza difficile parlare di una opposizione strutturata, a causa del carattere repressivo del regime. Esistono diversi esponenti di dissenso, molti dei quali all'estero, e attivisti locali, ma è difficile parlare di un movimento unico. Del resto, in tutti questi giorni la piazza non ha prodotto un volto, un nome, uno slogan, l'impressione è che si sia trattato di tante piazze diverse con esigenze e rivendicazioni diverse, dalla protesta contro l'aumento del prezzo del gas ad Aktau, nell'ovest, a quella sociale dei metallurgici nel Nord russofono di Pavlodar, ai disordini provocati ad Almaty da gruppi di giovani dei villaggi, venuti - o forse mandati - a sfogare la loro rabbia di emarginati nei centri commerciali lussuosi dell'ex capitale nel Sud. Quello che è evidente è il comune denominatore di questa rabbia: la povertà, la diseguaglianza, e l'odio per lo strapotere di un clan inamovibile come quello dei Nazarbaev.
Torniamo al fattore energetico. Il Kazakistan è ricchissimo di energia. Perché questo aumento delle bollette? Sembra che sia dovuto alla presenza delle aziende che gestiscono i "bitcoin". È realistico questo?
La teoria dei bitcoin è apparsa all'improvviso essenzialmente nei media italiani, ma non credo sia molto realistica: l'aumento, anzi, a essere precisi la liberalizzazione del mercato del gas che ha portato all'aumento, era stato deciso diverso tempo prima che il mining del bitcoin diventasse un business. Il prezzo dell'energia per la popolazione in Kazakistan è pesantemente sovvenzionato, come da tradizione sovietica, e tutti i Paesi post sovietici hanno prima o poi dovuto passare a prezzi più di mercato, affrontando sempre un forte scontento della popolazione. Nel caso del Kazakhstan sicuramente c'erano più possibilità di andarci piano, considerate le abbondanti risorse locali, ma alcuni osservatori parlano di contentini che Tokaev avrebbe dovuto dare a certi suoi oligarchi, anche per ricompensarli nella lotta tra i fedelissimi suoi e di Nazarbaev. In un sistema politico così poco trasparente e complesso è difficile dire se sia vero, ma sembra una spiegazione più plausibile delle trame del bitcoin, il cui mining è popolare in Kazakistan proprio perché l'energia costa poco essendo sovvenzionata dallo stato.
Ultima domanda: Ucraina e Kazakistan. Qual è l'obiettivo finale di Putin? Europa e USA possono fare qualcosa?
Vedremo nei prossimi giorni se l'intervento militare in Kazakhstan darà a Putin una carta insperata da giocarsi nel negoziato con l'Occidente come neo garante militare di un regime post sovietico, o se al contrario un impegno sul fronte Est lo costringerà a rallentare l'escalation sul fianco Ovest. L'obiettivo finale di Putin è quello dichiarato dal segretario di Stato Usa Anthony Blinken, ricostruire se non l'Urss, un impero dove la Russia domini, in una opposizione all'Occidente che riprende toni da guerra fredda anche se l'ideologia non è più comunista. L'altro obiettivo è quello di conservare il suo regime, e garantire la sicurezza e l'incolumità delle ricchezze alla sua famiglia, intesa in senso politico ma anche in senso stretto. La vicenda del Kazakhstan è da questo punto di vista un segnale inquietante, e probabilmente il parricidio politico commesso da Tokaev nei confronti di Nazarbaev non potrà che convincere Putin a evitare di trasmettere il potere a un "delfino", e rimanere sul trono possibilmente in eterno. E per poterlo fare ha bisogno di controllare la Russia in maniera ancora più rigida di quanto fatto finora, in una situazione di crisi economica, sanitaria e anche politica, con i consensi che precipitano. L'Ucraina in questa visione è un po' un casus belli per spaventare con una guerra e negoziare quindi un patto che tenga lontano l'Occidente con le sue sanzioni e la sua attenzione per i diritti e le libertà, e molto un precedente che Putin non può permettere ai russi di vedere: un Paese postsovietico, che esce dallo stesso sistema, parla la stessa lingua e condivide in buona parte la stessa struttura della Russia, m che vuole e riesce a diventare una democrazia che si avvicina all'Europa. Senza l'Ucraina qualunque impero che Putin vorrà provare a ricostruire sulle ceneri dell'ex Urss sarà sempre incompleto. E quello che gli Usa e l'Europa possono fare è far capire chiaramente al Cremlino che i discorsi sulle pretese territoriali, e sui popoli che "storicamentente non esistono" hanno già prodotto tragedie dovunque siano stati fatti. Gli strumenti economici e giuridici non mancano: gli oligarchi moscoviti esportano in Occidente e soprattutto investono in Occidente, dove portano i loro soldi e le loro famiglie, dove comprano case, yacht e squadre di calcio.