Il caso del ricercatore di Fiumicello

Sei anni fa la scomparsa di Giulio Regeni al Cairo

Il corpo dello studente dell'Università di Cambridge fu ritrovato il 3 febbraio 2016. Finora le autorità egiziane, con scarsa collaborazione, hanno fornito prove incomplete e incoerenti. Nel mirino della magistratura italiana 4 agenti egiziani

Sei anni fa la scomparsa di Giulio Regeni al Cairo
Ansa
Giulio Regeni era nato a Trieste il 15 gennaio 1988

Sono passati sei anni da quel 25 gennaio 2016, quando al Cairo si persero le tracce di Giulio Regeni, il ricercatore di Fiumicello (Udine) che si trovava nella capitale egiziana per un periodo di ricerca e studio presso l’Università americana. Regeni, iscritto all’Università di Cambridge, stava conseguendo un dottorato di ricerca presso il Girton College e in quel periodo svolgeva una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani.

La scomparsa e il ritrovamento

L’ultima comunicazione di Giulio, quella sera, risale alle 19:41, quando inviò un SMS alla fidanzata che si trovava in Ucraina, comunicandole che stava uscendo. Noura Wahby, studentessa e amica di Regeni (si erano conosciuti due anni prima all’università), scrisse sul proprio profilo Facebook che del ricercatore non si avevano notizie da diverse ore. Stando a quello che sapeva Wahby, infatti, Giulio aveva appuntamento con alcune persone in piazza Tahrir, uno dei luoghi più famosi del Cairo, per festeggiare il compleanno di un amico. Lanciato l’allarme, le ricerche dello studente friulano proseguirono per più di una settimana. Fino al 3 febbraio seguente, quando il corpo senza vita di Giulio, orrendamente mutilato, fu ritrovato in una scarpata lungo l’autostrada che collega la capitale ad Alessandria, alla periferia del Cairo.

Lo scempio del cadavere

Già dal recupero del cadavere apparvero subito, con estrema evidenza, le tracce di torture fisiche a cui Regeni era stato sottoposto: contusioni e abrasioni, più di due dozzine di fratture ossee, comprese quelle a sette costole. Rotte anche tutte le dita delle mani e dei piedi, così come le gambe, le braccia e le scapole. Giulio aveva anche cinque denti rotti e una serie di coltellate su tutto il corpo, persino sulle piante dei piedi. Sul corpo di Regeni erano presenti anche bruciature da sigaretta. La causa della morte fu attribuita ad una frattura a una vertebra cervicale, dovuta probabilmente ad un colpo violento al collo. L’autopsia rivelò anche un’emorragia cerebrale.

Una delle tante manifestazione in ricordo di Giulio Regeni Ansa
Una delle tante manifestazione in ricordo di Giulio Regeni

Le prime indagini

Inizialmente, la polizia egiziana prospettò una serie di ipotesi, tutte rivelatesi infondate per mancanza di elementi di prova: prima un incidente stradale, poi motivi personali dovuti a una fantomatica relazione omosessuale, infine ambienti legati allo spaccio di stupefacenti. Dopo una prima e formale disponibilità a collaborare da parte delle autorità egiziane, gli investigatori italiani volati al Cairo per svolgere i primi interrogatori si trovarono di fronte a un vero e proprio muro di omertà. Gli inquirenti della procura di Roma, responsabile per reati a danno di italiani all’estero, ebbero la possibilità di interrogare solo alcuni testimoni per qualche minuto. Le riprese video della stazione della metropolitana dove Regeni era stato visto per l'ultima volta erano state cancellate. Furono anche negati i tabulati telefonici del quartiere dove viveva il ricercatore e della zona in cui fu ritrovato il corpo.

La “finta” retata e il ritrovamento dei documenti

A due mesi dalla scomparsa di Giulio, il 24 marzo 2016, la polizia egiziana uccide in una sparatoria quattro uomini, inizialmente indicati come probabili responsabili del sequestro di persona del ricercatore friulano. Il ministero dell'Interno egiziano, pubblicando un post sul profilo ufficiale Facebook, afferma che la banda sgominata era specializzata nei rapimenti di cittadini stranieri al fine di estorcere loro denaro. Durante l'operazione, la polizia comunica di aver ritrovato una borsa rossa, con il logo della FIGC, in cui, tra vari oggetti, si trovavano diversi effetti personali di Regeni: il passaporto, i tesserini dell'Università di Cambridge e dell'Università americana del Cairo, la carta di credito. Nella foto postata su Facebook è presente anche un cubetto di hashish, che sembra avvalorare la tesi dell'uccisione per motivi di droga. Ma, come già inizialmente chiarito dai familiari e dai periti dell'autopsia, Giulio Regeni non faceva uso di stupefacenti.

In seguito, l'ufficio del procuratore di Nuovo Cairo esclude che la banda fosse coinvolta nell'omicidio del ricercatore. Dopo la consegna dei tabulati telefonici, si scopre infatti che il capo della banda criminale si trovava a più di 100 chilometri dal Cairo nei giorni della sparizione di Regeni. I familiari delle vittime del blitz hanno smentito la ricostruzione della sparatoria, dal momento che i presunti malviventi furono uccisi dalla polizia a bruciapelo o a breve distanza.

Fiaccolata in ricordo di Giulio Regeni Ansa
Fiaccolata in ricordo di Giulio Regeni

La documentazione insufficiente

La documentazione ufficiale di parte egiziana del medico legale (composto da un fascicolo di 91 pagine, consegnato all'ambasciata italiana al Cairo) stabilì che Giulio Regeni era stato interrogato e torturato almeno fino a sette giorni, a intervalli di 10-14 ore, prima di morire. Secondo questo esame, l'uccisione sarebbe avvenuta circa 10 ore prima del ritrovamento del corpo. I risultati dell’autopsia svolta da medici egiziani non sono mai stati resi pubblici. Anche medici italiani effettuarono un esame autoptico sul corpo di Giulio. Intanto, a settembre 2016, il governo egiziano accetta di consegnare i tabulati telefonici agli inquirenti. I pubblici ministeri egiziani in missione a Roma ammettono per la prima volta che Regeni era stato indagato e sorvegliato da parte della polizia prima della sua scomparsa, ma non erano state evidenziate criticità relative alla sicurezza nazionale.

Il rinvio a giudizio

Il 10 dicembre 2020 la procura della Repubblica di Roma, tra molte difficoltà e ostacoli opposti dalle autorità egiziane, ha chiuso le indagini preliminari. Il 25 maggio 2021 sono stati rinviati a giudizio quattro ufficiali del servizio segreto interno egiziano: il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi e il maggiore Magdi Sharif. Tra i reati contestati, sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali gravissime e omicidio. Non viene contemplato il reato di tortura, introdotto nel codice penale italiano nel 2017. Tuttavia, nonostante il rinvio a giudizio, i quattro ufficiali risultano irreperibili dal momento che la magistratura egiziana non ha fornito i loro indirizzi di residenza, né ha concesso ai magistrati italiani di essere presenti agli interrogatori a cui sono stati sottoposti, nonostante l’iscrizione nel registro degli indagati, le richieste della procura di Roma e le rogatorie internazionali.

Il processo torna al giudice per l'udienza preliminare

Il processo però viene cancellato: dopo 7 ore di camera di consiglio, i giudici della III corte d'Assise di Roma hanno deciso che il dibattimento non può avere inizio perché non esiste la prova che i quattro agenti egiziani conoscano l'esistenza del processo a loro carico. Gli atti dell'inchiesta tornano dunque al giudice per l'udienza preliminare che dovrà nuovamente tentare di notificare agli imputati il procedimento a loro carico per poi essere in grado di rinviarli nuovamente a giudizio.

Da quel 25 gennaio 2016, un movimento internazionale chiede verità e giustizia per Giulio Regeni.