Il precedente del mese scorso, quando chiese scusa per un party natalizio

Johnson nella bufera per un'altra festa durante il lockdown, i Tory in pressing sul premier

Polemiche dentro e fuori il partito conservatore per un evento organizzato a Downing Street nel maggio 2020. I deputati (e qualche ministro): "Si scusi o rischia la sfiducia"

Johnson nella bufera per un'altra festa durante il lockdown, i Tory in pressing sul premier
(ApPhoto)
Il premier conservatore è al governo dal luglio 2019

Sarà uno dei Question Time più tesi degli ultimi mesi per Boris Johnson, quello previsto oggi pomeriggio alla Camera dei Comuni: il premier britannico è alle prese con gli attacchi continui del leader dell’opposizione laburista, Keir Starmer, su quello che ormai ha preso i contorni di un vero e proprio scandalo. È il cosiddetto “Party gate”, il caso della festa organizzata a maggio del 2020 nei giardini della residenza ufficiale del primo ministro dal capo segreteria Martin Reynolds, a cui lo stesso Johnson prese parte con la moglie Carrie e una quarantina di presenti, a fronte di un centinaio di inviti. Proprio mentre l’Europa e il mondo intero erano alle prese con la prima ondata di Covid e milioni di persone vivevano recluse nelle proprie case, in un rigido lockdown. A Downing Street, invece, si festeggiava senza rispettare le regole sul distanziamento imposte a Londra e in tutte le capitali europee, Roma compresa.

Ciò che agita le acque del governo guidato da Johnson sta nel fatto che anche nel suo partito sta crescendo una fronda di voci critiche nei confronti del comportamento del premier, sempre più a disagio e in imbarazzo per il suo coinvolgimento in questa brutta faccenda che mescolerebbe menefreghismo ad arroganza. Alcuni esponenti conservatori si spingono a chiedere a Johnson un bagno di umiltà, con pubbliche scuse; altri sono arrivati ad auspicare addirittura le sue dimissioni.

Il precedente dello scorso dicembre

Non è la prima volta che il premier fronteggia problemi di questo tipo: lo scorso dicembre, in un altro infuocato Question Time, Johnson aveva chiesto scusa per un video diffuso sui media in cui si vedeva il suo staff impegnato in un party natalizio a Downing Street, senza il minimo rispetto per le regole anti-Covid. Dicendosi “furioso” per quelle immagini, e ammettendo di non essere stato a conoscenza della festa sino al momento in cui la clip era diventata di pubblico dominio, il premier aveva dovuto incassare le dimissioni della sua ex portavoce, presente nel video e all’epoca dei fatti una delle sue più strette collaboratrici.

Le mail di Reynolds, diffuse sui media questa settimana, non lasciano spazio a dubbi: agli invitati veniva chiesto di “portarsi da bere” per trascorrere alcune ore in compagnia, incuranti delle regole per arginare la diffusione del virus. Le testimonianze sulla presenza di Johnson hanno scatenato il putiferio. Stando al Telegraph, giornale tenero con il governo, il premier sta “perdendo il consenso” in casa Tory, oltre che fra l'elettorato, per non parlare dello sdegno dell’opposizione e delle organizzazioni dei familiari delle vittime della pandemia. Diversi deputati e qualche ministro gli stanno chiedendo di ammettere l'accaduto di fronte alla Camera e scusarsi, facendo un atto “di contrizione”; pena il rischio di rendere indifendibile la sua poltrona e aprire spiragli a un voto di sfiducia interno al partito sulla sua leadership.

Il pressing di Ross

Ma c'è chi, come il giovane numero uno dei conservatori scozzesi, Douglas Ross, va già oltre evocando le sue dimissioni da premier se la partecipazione a quel party dovesse essere confermata. Tanto più, dice Ross, che Johnson potrebbe aver “mentito in Parlamento” nelle settimane scorse quando, interpellato su altri meeting svoltisi nel 2020 e venuti alla luce di recente, aveva assicurato di non aver mai saputo di violazioni alle regole anti-Covid a Downing Street. Cosa apparentemente incompatibile con la sua presenza diretta all'evento del 20 maggio, allargato a 40 persone. All'epoca nel Regno Unito - in base alle cautele imposte dal suo stesso governo durante la prima drammatica fase dell'emergenza – i cittadini non potevano neppure visitare i familiari morenti; il massimo consentito erano gli incontri all'aperto, in due, distanziati di due metri.