In questi giorni i dati sulla diffusione della pandemia ci dicono che i contagi corrono veloci soprattutto tra i sanitari che lavorano nei presidi ospedalieri. Sono le figure in prima linea nella battaglia contro la quarta ondata del Covid a rischiare di più.
Eppure oggi medici e infermieri, da eroi, sembrano essere diventati invisibili, addirittura nemici, bersagli di cittadini esasperati da una sanità sempre più in difficoltà.
A testimoniarlo è l’escalation di episodi di violenza registrati tra Natale e Capodanno a danno soprattutto del personale infermieristico, il primo contatto per chi arriva in una struttura ospedaliera. Aggressioni non solo verbali, ma anche fisiche, sempre più frequenti.
Il 30 dicembre 2021, al pronto soccorso dell’Ospedale San Giovanni di Roma, un uomo in preda alla rabbia si è scagliato contro il personale sanitario. A farne le spese è stata un’infermiera che, nel cercare di placarlo, ha ricevuto un morso fortissimo alla mano che le ha staccato addirittura una falange. Al Policlinico Umberto I, nel giorno di Santo Stefano, un uomo, positivo al coronavirus, ha dato in escandescenze arrivando a ferire con un cacciavite alcuni infermieri intervenuti per calmarlo.
La testimonianza dell'infermiere aggredito
Sempre nella capitale, nella serata del 29 dicembre scorso, un’ennesima aggressione ai danni di un infermiere, Emiliano Fanicchia, in servizio da 16 anni presso il Policlino di Tor Vergata. L’uomo è stato ripetutamente colpito con pugni al torace fino a cadere a terra e infortunarsi a un arto, riportando due settimane di prognosi. Ha ripercorso per noi gli accadimenti di quella sera.
Cosa è successo esattamente?
“Il paziente attendeva di essere visitato. Esasperato dall’attesa voleva essere dimesso, ma la dottoressa di guardia non poteva farlo uscire senza i dovuti esami. A quel punto lui ha iniziato a urlarle contro e io sono intervenuto, insieme ad alcune guardie giurate, per cercare di tranquillizzarlo. A quel punto, con tutta la sua furia, prima mi ha colpito con diversi pugni al torace, poi mi ha spinto violentemente, facendomi cadere a terra. Cadendo mi sono infortunato a un braccio. Non pensavo potesse arrivare a tanto”.
Era la prima volta che veniva aggredito? Sono aumentati episodi come questo negli ultimi mesi?
“È la seconda volta che vengo aggredito fisicamente da un paziente, ma posso affermare che negli ultimi tempi le aggressioni ai danni di sanitari sono aumentate. La gente è esasperata. La carenza del personale nelle aree di Triage e gli spazi ridotti per la necessità di creare aree Covid nei pronto soccorso, allungano le attese e alzano la tensione”.
A confermare l’escalation di comportamenti violenti a danno di infermieri è anche Cristina Scialò, alle spalle 22 anni di lavoro in area critica in ospedale a Genova. “Subito dopo il lockdown”, ci racconta, “c’è stato un grande aumento di aggressioni verso gli operatori sanitari, ma la violenza, soprattutto verbale, c’è sempre stata. Si tratta di un problema sottovalutato. Anche i dati sono inferiori alle aggressioni reali, perché le denunce sono poche.”
Quando le chiediamo perché la rabbia delle persone si rivolge principalmente verso gli infermieri, ci risponde: “C’è una crescente irritazione verso i sanitari. Ci sentiamo dire di tutto: che rubiamo gli oggetti, che non ci frega nulla dei pazienti. Nel Pronto Soccorso, poi, la violenza verbale è quotidiana. Bisogna formare bene i colleghi che intraprendono la professione, insegnare loro come calmare le persone nei momenti difficili”.

Le aggressioni a danno di personale infermieristico, secondo l’Inail, sono più di 5 mila l’anno, ovvero 13/14 al giorno. Ma i numeri reali sono molti di più.
A confermarcelo è Carmelo Gagliano, consigliere del Comitato Centrale della FNOPI (Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche): “Il problema è cronico. Un recente studio fatto con l’Università di Tor Vergata a Roma, insieme a sette atenei pubblici su tutto il territorio italiano”, afferma Gagliano, “ha rilevato che, in realtà, sono 120-130 mila ogni anno gli infermieri oggetto di aggressioni da parte di pazienti all’interno di presidi ospedalieri, il 75% di loro sono donne. La maggior parte non denuncia la violenza subita, perché pensa che faccia parte del lavoro. Molti di loro”, sottolinea ancora il consigliere FNOPI, “riportano traumi psico-fisici permanenti come la sindrome di burnout o la depressione e finiscono per abbandonare la professione. Fortunatamente la nuova legge del 2020 ha inasprito le norme sulla violenza a sanitari, stabilendo che le aggressioni a sanitari sono reati, perseguibili penalmente con la reclusione”.
"La legge, da sola, non basta a disinnescare l’escalation di violenze a danno del personale medico e infermieristico". Ne è convinto Antonio De Palma, presidente nazionale del Sindacato Infermieri italiani Nursing Up che, pochi giorni fa, ha rilanciato, sui media, il bollettino degli attacchi subiti tra le corsie dagli infermieri.
“Aumentare la pena per chi attacca il personale sanitario è un passo importante, ma serve anche prevenire il fenomeno”, ci ha detto. “Noi, come sindacato, abbiamo deciso che ci costituiremo parte civile nelle cause dei colleghi aggrediti. Inoltre, chiediamo che vengano ripristinati i presidi della Polizia e della pubblica sicurezza negli ospedali”.
Secondo De Palma il nodo resta la strutturale carenza di personale infermieristico che, in pieno boom di contagi, è arrivata a una mancanza dagli organici di 100 mila unità. A questa si aggiunge il fatto che "i nostri operatori sono molto ricercati da paesi europei che offrono stipendi e condizioni di lavoro migliori. Una emorragia non più sostenibile."