Indagini iniziate nel 2018

Colpo a clan “dei barcellonesi” nel Messinese. 86 le misure cautelari

Operazione dei carabinieri di Messina tra la Sicilia e la Calabria

Colpo a clan “dei barcellonesi” nel Messinese. 86 le misure cautelari
Screen Rainews
Carabinieri Messina

La procura Distrettuale Antimafia di Messina ha emesso ordinanze di custodia cautelare per 86 persone, che sarebbero legate alla  famiglia mafiosa “dei barcellonesi”, storicamente radicata nel comune di Barcellona Pozzo di Gotto.

Le indagini, iniziate nel 2018, hanno ricostruito come il clan avesse la capacità di infiltrarsi, o comunque di fare pressione, in vari settori dell’economia sul territorio. Aveva il controllo del commercio ortofrutticolo acquistando imprese intestate ad altre persone e imponendo, con metodo mafioso, la fornitura dei prodotti. Gestiva il business dei locali notturni e delle strutture del litorale tirrenico nell’area di Milazzo, imponendo “servizi di sicurezza” e condizionando i titolari nella gestione delle imprese. Un controllo "garantito" grazie anche all' infiltrazione nel mondo politico. Nel giro d’affari del clan mafioso c’erano il traffico di droga e lo sfruttamento della prostituzione.

Le accuse, a vario titolo sono associazione di tipo mafioso, estorsione, scambio elettorale politico mafioso, trasferimento fraudolento di valori, detenzione e porto illegale di armi, incendio, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, con l'aggravante del metodo mafioso. 

I membri del clan agli arresti domiciliari e i capi condannati continuavano come se nulla fosse, i loro affari, mantenendo saldo il controllo del territorio. Alcune delle persone arrestate sarebbero stati i responsabili dell’incendio a una sala ricevimenti di un'impresa non ancora sotto il loro controllo.

Dagli arresti domiciliari organizzavano summit, definivano piani e strategie, riorganizzavano la famiglia e ricostruivano l'alleanza tra i vertici del clan per imporre una regia unica. Le entrate delle attività illecite erano destinate ripristinare la cassa comune, chiamata "paniere" o "bacinella" dove far arrivare i soldi sporchi, in parte destinati al mantenimento degli uomini d'onore detenuti.

La cosca, secondo gli inquirenti, negli ultimi tempi sarebbe stata completamente riorganizzata. Gli antichi dissapori tra i vertici si sono "dissolti" in nome di business comuni come il pizzo chiesto alle imprese e agli esercizi commerciali da riscuotere, come da tradizione, durante le festività di Pasqua, Natale e Ferragosto. Le vittime del racket, minacciate e sotto pensanti intimidazioni, vivevano in un clima di terrore. Nessuno si rivolgeva agli investigatori.

 Il clan aveva armi, anche da guerra, e controllava il giro della prostituzione. L'attività era gestita da una organizzazione criminale che faceva capo a un uomo vicino alla famiglia mafiosa, che in cambio di "protezione" assicurava ai boss una percentuale sui guadagni. Ai "barcellonesi", inoltre, facevano capo un grosso traffico di droga destinato alle piazze di spaccio di Barcellona Pozzo di Gotto, Milazzo e altri comuni della provincia e le bische clandestine.