La morte di Lorenzo Perrelli e Giuseppe Lenoci

Cosa sono i corsi professionali frequentati dai due studenti morti in stage

Gli IeFP sono gli eredi diretti dei “vecchi” istituti professionali e oggi contano circa 15mila iscritti

Cosa sono i corsi professionali frequentati dai due studenti morti in stage
(Pixabay)

Si dice che la sfortuna sia cieca, ma la sfiga ci veda benissimo. Così a poco più di due settimane dalla morte del 18enne Lorenzo Perrelli, ci troviamo a raccontare nuovamente di una vita spezzata durante un tirocinio collegato ad un percorso di formazione. Anche Giuseppe Lenoci, 16enne dell’anconetano, frequentava un corso di formazione professionale facente parte dell’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP).

Ma cosa sono i percorsi di Istruzione e Formazione Professionale? Si tratta di proposte formative che rientrano nell’istruzione professionale ma se ne differenziano in maniera sostanziale. Infatti gli istituti professionali, dopo la riforma Gelmini, prevedono un percorso di studi di 5 anni al termine del quale viene rilasciato il diploma di Maturità. I corsi dell’IeFP rappresentano invece gli eredi dei “vecchi” istituti professionali, hanno una durata compresa tra i 3 ed i 4 anni, al termine dei quali si ottengono qualifiche professionali che si pongono un gradino sopra la licenza di Terza Media e uno sotto il diploma di Maturità.

Ecco il motivo per cui è sbagliato, in termini tecnici, parlare di studenti morti durante i PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento), ovvero l’ex alternanza scuola lavoro. Infatti i PCTO attengono alle scuole secondarie di secondo grado, ovvero a licei o istituti tecnici e professionali. Ma è comprensibile che questi eventi mettano in discussione anche i PCTO, visto che riguardano studenti deceduti mentre erano ancora inseriti in un iter di formazione formale. Per questo, fermo restando il dolore per un fatto inaccettabile, il portale Skuola.net è voluto tornare sull’argomento, spiegando le differenze tra i due mondi.

Sia negli istituti professionali che nei corsi IeFP è previsto un periodo di avvicinamento al lavoro. Ma nel caso della formazione professionale questo è assai più corposo. Innanzitutto per il monte ore che lo studente deve dedicare alle attività extra didattiche: negli istituti tecnici e professionali tradizionali dovrebbe essere, rispettivamente, di almeno 150 ore e 210 ore nell’ultimo triennio delle superiori. Mentre nei percorsi IeFP, pur rientrando questi nell’ambito degli indirizzi professionali, a seconda del settore scelto, si può arrivare a passare in stage anche il 50% delle ore totali previste per il singolo anno di corso. C’è poi da considerare una grande variabilità da regione a regione: infatti se la quota di studenti negli IeFP viene conteggiata nelle more dell’Istruzione professionale, nel pratico i corsi vengono gestiti dalle Regioni e non dal Ministero dell’Istruzione. 

E poi per il “senso” di quell’attività. Nel caso di tecnici e professionali, il PCTO dovrebbe rappresentare solo un primo approccio al mondo del lavoro, peraltro spesso solo teorico: specie durante la pandemia molte aziende, laddove possibile, hanno fatto svolgere i Percorsi “a distanza” e parecchie scuole hanno ripiegato direttamente su simulazioni in aula (o in Dad). Nel caso dei diplomi IeFP, invece, il tirocinio è visto proprio nell’ottica di mettere in mano allo studente una qualifica professionale, per affinare le competenze “sul campo” e magari inserirsi nella stessa azienda ospitante una volta ottenuto il titolo. Anzi in alcuni casi si è assunti direttamente dall’azienda ospitante, con un contratto di apprendistato che permette di essere retribuiti mentre si continua a studiare e a formarsi nel luogo di lavoro. 

 Questo potrebbe spiegare perché i rischi aumentano. Portando a tenere sotto osservazione il dato sul tasso di pericolosità che questi tirocini maggiormente “coinvolgenti” nel vivo del lavoro stanno registrando ultimamente. Sono già due in un mese le morti bianche che hanno colpito studenti IeFP, a cui vanno aggiunti i numerosi incidenti minori che non salgono alle cronache. A fronte di un numero piuttosto più basso di iscritti rispetto ai percorsi tradizionali. In base ai dati diffusi dal Ministero dell’Istruzione in occasione dell’avvio dell’anno scolastico 2021/2022, attualmente sono poco più di 13mila le ragazze e i ragazzi che, sommati assieme, frequentano un percorso triennale IeFP e altri 2mila abbondanti sono al quarto anno (opzionale). Ovvero meno del 4% sul totale degli iscritti nei professionali, che nel triennio finale sono complessivamente poco meno di 300 mila.

 Ciò non significa che, nei veri PCTO, specie per i percorsi più pratici - come appunto tecnici e professionali - le cose filino sempre lisce. Basta fare una rapida ricerca e osservare come, da quando l’alternanza scuola lavoro (terminologia oggi rimasta in piedi solo per il sistema IeFP) è diventata strutturale - dal 2015 in poi - sono stati almeno una decina gli studenti, che per varie ragioni, hanno perso la vita mentre erano in stage. E, anche laddove non si arriva a conseguenze estreme, il senso di precarietà investe tantissimi “alternanti”. Secondo un recente sondaggio di Skuola.net - basato sulle testimonianze di 2.500 studenti dell’ultimo triennio delle superiori - tra quanti hanno svolto attività manuali in azienda, ben 1 su 5 ha raccontato di essersi sentito in pericolo almeno qualche volta (15%), se non spesso (5%). Per questo, nel pieno dell’ondata di proteste contro l’alternanza scolastica, il 17% ne chiede l’abolizione mentre il 49% vorrebbe quantomeno una riforma del sistema.

In un paese che vanta un tasso di disoccupazione giovanile tra i più alti d’Europa e nel contempo vive il paradosso del mismatch, ovvero della non corrispondenza tra competenze dei giovani e quelle richieste del mondo del lavoro, risulta fondamentale difendere e preservare la possibilità di inserire i giovani in contesti lavorativi mentre sono ancora in formazione. Come avviene in Germania, dove guarda caso entrambi i fenomeni sono ridotti l’osso. Però senza fare sconti sulla sicurezza. E questo vuol dire maggiori investimenti sulla filiera di interazione tra scuola e lavoro, puntando sulla qualità delle attività e sui controlli.