30 anni di Mani Pulite

Il Compagno G. ha scelto di parlare: intervista esclusiva a Primo Greganti

Quando Tangentopoli colpì il Pci-Pds: "Io avevo chiesto di vedere Di Pietro e lui mi mandò a casa i poliziotti per arrestarmi”, racconta l'ex cassiere

Il Compagno G., Primo Greganti, ex cassiere di Pci e Pds, tra i pochi a rifiutare ogni collaborazione con i magistrati ai tempi di Tangentopoli, ricorda per Rainews.it e Rainews24 gli anni di quell’inchiesta che cambio la faccia all’Italia a trent’anni dall’arresto di Mario Chiesa.

Il primo marzo 1993, su richiesta del pm Antonio Di Pietro, il Giudice per le indagini preliminari Italo Ghitti emise un ordine di custodia cautelare nei confronti di Greganti. Era accusato di corruzione per aver ricevuto in Svizzera 621 milioni dal gruppo Ferruzzi per alcuni appalti dell'Enel, tra il 1990 e il 1992. Ripercorrendo quel giorno, racconta di aver deciso di presentarsi a Milano con il suo avvocato difensore, dopo essersi riconosciuto nelle dichiarazioni dell’amministratore della Calcestruzzi di Ravenna, Lorenzo Panzavolta, rese in un interrogatorio riportato dai giornali: “Chiamai Di Pietro, fissai l’incontro ma quando arrivai in Procura vidi che con il magistrato c’erano anche dei poliziotti con gli stivali sporchi di fango, il fango di casa mia. Io avevo chiesto di vedere Di Pietro e lui mi mandò a casa i poliziotti per arrestarmi”. Quel denaro, secondo la magistratura, rappresentava la prima delle due quote riservate al Pci-Pds delle tangenti concordate con il sistema dei partiti.

Primo Greganti ricostruisce quegli anni, il suo arresto, il rapporto con il magistrato Antonio Di Pietro, gli arresti preventivi a San Vittore, l’incontro in carcere con Gabriele Cagliari. Difende l’inchiesta del pool di Mani Pulite e non perdona ad Achille Occhetto la richiesta di scuse agli italiani per conto del Pds: “Noi non eravamo come gli altri partiti. Non ci sono mai state mazzette per il partito”.  

Negò sempre ogni addebito e continuò a ripetere che quei soldi erano il pagamento di consulenze personali fatte alla Ferruzzi. Alla fine dell’inchiesta Greganti venne condannato a tre anni e sette mesi per finanziamento illecito al suo partito, pena successivamente patteggiata e ridotta a tre anni e infine confermata dalla Corte di Cassazione nel marzo 2002, pur decurtata dei sei mesi che Greganti aveva già scontato in regime di carcerazione cautelare preventiva a San Vittore durante le indagini. 

“Quell’inchiesta fece male alla mia famiglia - dice ancora Greganti - Di Pietro mi disse: 'Quando tornerai a casa i tuoi figli ti sputeranno in faccia'. In carcere io non mi abbattei. Ero convinto di stare nel giusto, forse per questo non fui preso dallo sconforto”.

Secondo il Compagno G., in conclusione, “si cancellò la prima Repubblica per dare in mano il Paese ai poteri finanziari, senza una nuova classe politica. I risultati di quell’inchiesta li viviamo quotidianamente”.