L'intervista

Smart working e fine dello stato di emergenza: cosa cambierà dal 31 marzo

Pasqualino Albi, consigliere giuridico del Ministro del Lavoro: "È improbabile un secco ritorno alla situazione pre-pandemica"

Smart working e fine dello stato di emergenza: cosa cambierà dal 31 marzo
ANSA
Pasqualino Albi

Il 31 marzo potrebbe finire lo stato di emergenza. Tra le misure prese per fare fronte alla pandemia e che potrebbero subire significative modifiche ci sono quelle che riguardano lo smart working, una modalità di lavoro destinata a cambiare almeno rispetto alla forma in cui l’abbiamo conosciuta durante l’emergenza sanitaria. Ad affermarlo è Pasqualino Albi, ordinario di Diritto del lavoro all'Università di Pisa, consigliere giuridico del Ministro del Lavoro Andrea Orlando e presidente del gruppo di studio Lavoro agile.

Come sarà il nuovo smart working?

“Sarà decisamente più dinamico di quello che abbiamo conosciuto durante la pandemia che è stato fondamentalmente il lavoro svolto 'da casa' in una situazione di sostanziale isolamento, a volte anche prolungato nel tempo. Il lavoro agile, secondo quanto previsto dalla legge 81 del 2017, si caratterizza per l’alternanza fra lavoro in presenza e lavoro da remoto ma durante la pandemia abbiamo conosciuto il volto emergenziale di questa modalità di lavorare. Non abbiamo comunque un modello predefinito una volta per tutte. La Commissione di studio istituita dal Ministro Orlando e da me presieduta ha inteso comprendere come le parti sociali hanno regolato questo tema; prima di tutto si è ritenuto molto importante apprendere dall’esperienza maturata nei luoghi di lavoro e cogliere le esigenze emerse sul campo".

"Nel corso dei lavori della Commissione è emerso come la ridefinizione di nuove regole non può avvenire senza tener presente che i processi di trasformazione del lavoro non sono ancora del tutto delineati. Dunque, le ipotesi da mettere in campo possono trovare il loro terreno ideale nel dialogo sociale e quindi nel confronto con le parti sociali. È stato così intrapreso un intenso confronto per arrivare ad un protocollo congiunto al fine di individuare punti di convergenza sulle questioni più spinose e non regolate in modo efficace dalla legge, che è stato poi sottoscritto lo scorso 7 dicembre. Il documento, che riguarda il solo settore privato, è finalizzato a fornire delle linee di indirizzo che possano rappresentare un efficace quadro di riferimento per la contrattazione collettiva ma anche un input alla gestione aziendale del lavoro agile”.

In che modo proseguirà la modalità di lavoro agile? Oppure si tornerà al lavoro in presenza?

“La questione è molto complessa. Alcuni elementi sembrano tuttavia piuttosto chiari: è improbabile un secco ritorno alla situazione pre-pandemica. Nelle economie avanzate una parte significativa della forza lavoro potrebbe lavorare da remoto senza che si determini una riduzione della produttività. Si tratta di un segnale da cogliere con grande attenzione perché fenomeni di questa portata non vanno subiti ma governati. Dobbiamo attrezzarci a gestire la possibile transizione di una parte non trascurabile del mondo del lavoro verso forme stabili di lavoro agile". 

"Credo che in queste nostre valutazioni si debba porre attenzione alla circostanza che una corretta ed intelligente utilizzazione del lavoro agile possa favorire un netto miglioramento della vita personale dei lavoratori e delle condizioni ambientali: ad esempio, la riduzione importante delle emissioni inquinanti come effetto della riduzione del traffico delle auto, la possibilità di individuare sedi raggiungibili a piedi o in bicicletta, tutte ipotesi da valutare sul piano della transizione green. Da un lato assisteremo ad un ritorno all’origine e certo ad un impatto quantitativo non comparabile a quello pandemico mentre all’altro ad un nuovo inizio, attraverso l’esperienza che abbiamo maturato in questo periodo e la nuova consapevolezza delle potenzialità dello strumento. Alla base ci sarà l’accordo del datore con il lavoratore nell’alveo della disciplina di legge e di quella eventualmente posta dalla contrattazione collettiva che potrà svilupparsi lungo le linee di indirizzo tracciate del Protocollo dello scorso 7 dicembre”.

Cosa cambierà per le aziende?

“Si aprono nuovi spazi per modelli organizzativi più elastici, più dinamici, che possono favorire la produttività e, al tempo stesso, realizzare, come forse mai era accaduto in passato, una effettiva conciliazione fra vita e lavoro”.

Quali sono le differenze tra lavoro agile nel settore pubblico e nel settore privato?

“La base è comune, cioè quanto previsto dalla legge 81/2017 che si applica, in quanto compatibile, anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche".

"Fino al 31 marzo 2022, la differenza sostanziale è che, per il settore pubblico, è necessario l’accordo individuale, come previsto dalla legge 81/2017, mentre nel settore privato è ancora ammessa la forma semplificata di smart working, con attivazione unilaterale da parte del datore di lavoro".

"Una volta terminata la fase emergenziale, le peculiarità saranno soprattutto connesse all’organizzazione ed all’attivazione dello strumento, fermo l’accordo individuale, che nelle pubbliche amministrazioni si ricollega anche alla programmazione che ciascuna amministrazione deve fare ed in cui deve rientrare anche il lavoro agile”.

Quali categorie di lavoratori potranno continuare a beneficiare dello smart working? 

“Tutti i lavoratori che svolgono mansioni compatibili con lo smart working possono essere coinvolti. Nell’ottica di incentivazione e tutela, il Protocollo dello scorso 7 dicembre prevede l’impegno delle parti sociali a facilitare l’accesso al lavoro agile per i lavoratori in condizioni di fragilità e di disabilità, anche nella prospettiva di utilizzare tale modalità di lavoro come misura di accomodamento ragionevole. La stessa legge 81/2017 prevede che i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti a riconoscere priorità alle richieste di esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile formulate dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità e dai lavoratori con figli in condizioni di disabilità”.

 In che misura si farà ricorso al lavoro agile?

“Sono gli accordi individuali che prevedono in che misura si farà ricorso al lavoro agile che, come già detto, non va identificato con il lavoro da casa. L’alternanza tra i periodi di lavoro all’interno e all’esterno dei locali aziendali, tra l’altro, è importante anche per mantenere il contatto con i colleghi e con la realtà aziendale. La legge non pone preclusioni particolari sull’organizzazione ma, giustamente, impone solo dei limiti al rischio di sovrautilizzazione del lavoratore, attraverso l'obbligo di rispettare la durata massima dell’orario di lavoro e di garantire la disconnessione. In tal senso, ad esempio, il Protocollo nazionale prevede che la prestazione di lavoro in modalità agile possa essere articolata in fasce orarie, individuando, in ogni caso, la fascia di disconnessione nella quale il lavoratore non eroga la prestazione lavorativa”. 

 I due anni di pandemia, in cui in molti settori questa modalità lavorativa è stata implementata per la prima volta, cosa ci hanno insegnato? Hanno fatto emergere più criticità o punti di forza?

“Ci ha insegnato che il lavoro agile può essere uno strumento utile nell’organizzazione dell’attività lavorativa sia per il datore di lavoro che per il lavoratore. Ovviamente non eravamo preparati alla situazione che abbiamo vissuto; i lavoratori si sono trovati da un giorno all’altro a lavorare da casa con mezzi e spazi spesso inadatti; simbolicamente possiamo ricordare le video-conferenze con postazioni improvvisate in un angolo della casa, che molti lavoratori erano costretti a utilizzare come ufficio. Questo ha fatto emergere delle criticità, pensiamo al rischio dell’iperconnessione o all’idea che la conciliazione vita-lavoro possa diventare il terreno per coltivare discriminazioni di genere. Ancora il Protocollo nazionale pone l’accento su temi come la regolazione della disconnessione, la salute e la sicurezza del lavoratore agile, il diritto alla parità di trattamento e pari opportunità, la garanzia della protezione dei dati personali, sottolineando anche l’importanza della formazione e dell’informazione dei lavoratori".

"Tuttavia l’esperienza maturata ha dimostrato i punti di forza di uno strumento che può consentire al lavoratore di guadagnare una maggiore autonomia, potendo decidere, con un certo grado di libertà, come gestire l’attività lavorativa e quindi il proprio tempo, il tempo che dedica a sé stesso e ai suoi affetti, e dall’altro lato al datore di lavoro di mettere in atto un’organizzazione più snella (pensiamo all’organizzazione degli uffici e dunque agli spazi che, in futuro, potrebbero essere meno ampi, non essendo necessari) ed ottenere una maggiore produttività. Molti studi dimostrano che il lavoro agile può aumentare la produttività delle persone (es: se non devo impiegare un’ora per raggiungere la sede aziendale la mia giornata lavorativa sarà più proficua)".

"Entrambe le parti, inoltre, possono reciprocamente trarre beneficio dai vantaggi che ciascuno ha, avviando, così, un circolo virtuoso". 

"Certo, l’esperienza vissuta non dovrà essere dimenticata ma dovrà essere la base per sviluppare, anche in una situazione non più emergenziale, il lavoro agile”.