Le ipotesi degli analisti

Ucraina, venti di guerra. Cosa succede in caso di attacco russo

Abbiamo chiesto a strateghi militari, esperti di geopolitica, analisti economici quali sono le reali forze in campo nella crisi tra Russia e Ucraina e quali i possibili sviluppi in caso di intervento armato

Ucraina, venti di guerra. Cosa succede in caso di attacco russo
ANSA
Camporini, Dottori, Margelletti, Bellodi

Mentre soffiano i venti di guerra in Ucraina, abbiamo chiesto a quattro analisti come vedono l'evoluzione della crisi nel Donbass, quali forze militari si fronteggiano e quali conseguenze ci possono essere nel caso di invasione armata da parte dei russi.

Quali sono le forze militari di cui dispone l'Ucraina per contrastare un'invasione? Che disparità c'è fra le forze in campo?

"Il numero di truppe fra i due schieramenti è decisamente diverso, secondo le fonti note si parla di circa 67 mila uomini per l'esercito ucraino e di 150 mila per quello russo, schierati nella fascia orientale del Donbass, ovvero un rapporto di 1 a 2", risponde Vincenzo Camporini, ex capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare e della Difesa e oggi consigliere scientifico dell'Istituti Affari Internazionali (IAI). "L'Ucraina non può dislocare tutte le sue forze e lasciare sguarnita Kiev. In tutti i manuali di tattica militare si dice che un attacco ha probabilità di successo se il rapporto di forze è di 3 a 1 e in questo calcolo rientra non solo il numero di militari ma anche la capacità di fuoco e il sostengo logistico. Mosca se volesse avviare una campagna militare attaccando Mariupol avrebbe sicuramente possibilità di successo, come avvenne quando intervenne in Crimea".

Di medesimo avviso Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali (Ce.S.I) e già consigliere strategico del Ministro della Difesa dal 2012 al 2014. "È quasi impossibile opporre una risposta militare duratura da parte dell'Ucraina. Può resistere ma è destinata alla sconfitta. I russi hanno portato al confine tutto quello che hanno, 110 gruppi di battaglia, tutti i paracadutisti, le forze speciali e le truppe da sbarco nel Mar Nero davanti a Odessa. Nessuna nazione può resistere a una superpotenza".

Germano Dottori, consigliere scientifico di Limes e già docente di Studi strategici presso la Luiss-Guido Carli, aggiunge che: "Kiev non è riuscita a riconquistare il Donbass che le è sfuggito nel 2014. Uno scontro campale la vedrebbe sicuramente sconfitta. La coesione delle unità ucraine non è mai stata seriamente testata in combattimento. Proprio per questo è ipotizzabile che gli ucraini abbiano pensato a una prolungata risposta di guerriglia in caso di occupazione russa, per condurre la quale hanno ricevuto addestramento e materiali in abbondanza. Peraltro è tutto da vedere cosa succederebbe se il governo ucraino cadesse: per resistere e combattere occorre che ci siano autorità la cui determinazione ed esempio siano ben visibili. Per Zelensky è un test probante".

Gli ucraini potrebbero pensare alla guerriglia in caso di occupazione"

Germano Dottori, consigliere scientifico di Limes

I militari ucraini vicino alla città di Lugansk, nell'Ucraina orientale Getty
I militari ucraini vicino alla città di Lugansk, nell'Ucraina orientale

In caso di guerra sul campo non sempre le cose vanno come ci si aspetta, come in passato per il conflitto russo-afghano. Cosa rischia la Russia in caso di "boots on the ground"?

Dottori: "In Ucraina non esistono le le montagne afghane, quindi sarebbe un altro scenario. D'altra parte è probabile che i russi preferiranno convincere gli ucraini del fatto che noi occidentali, nell'ora suprema del pericolo, li abbiamo mollati al loro destino, per far loro riconsiderare la scelta di orientarsi in senso euro-atlantico. La Casa Bianca è prudente perché l'opinione pubblica americana avverte un certo senso di stanchezza nei confronti delle sfide militari all'estero. I russi se ne sono accorti. E non è da escludere che abbiano deciso di porre il problema della delimitazione delle sfere d'influenza in Europa dopo aver assistito alla nostra ritirata da Kabul"

Camporini: "'Non c'è pianificazione che resista al primo colpo di cannone'. Nel medio termine è più facile dare seguito alla propria pianificazione militare, dopo arrivano le complicazioni. Si veda il caso dell'Iraq nel 2003, tutto bene nei primi 15 giorni di combattimenti, i problemi sono venuti dopo la fine delle ostilità, quando è cominciato il piano di ricostruzione. Oppure potrebbe accadere che la Russia stimi eccessivo il carico economico di una guerra se le cose non vanno per il verso giusto subito. Nella campagna russa del 2008 contro la Georgia il 50% delle bombe non esplose per la cattiva manutenzione degli inneschi. Dal 2008 a oggi però la situazione è radicalmente cambiata e sembra più solida la possibile risposta militare della superpotenza".

Margelletti: "La strategia russa non sembra essere quella di occupare territorialmente l'Ucraina, ma cambiarne la politica. Conta il risultato politico e non la guerra geografica con il confine spostato di 100 metri in più o in meno. Se emerge un governo clandestino, opposto a quello in carica a Kiev, che chiede di slavare il destino dell'Ucraina a quel punto da occupanti ostili i russi si trasformerebbero in pacificatori, sostenendo il nuovo governo. Del resto l'Ucraina è fuori dalla Nato e non può evocare l'articolo 5 del trattato, se la deve vedere da sola. I russi potrebbero semplicemente determinare un cambio di politica e sostenere un nuovo governo che non guardi più a Occidente ma rientri nella sfera d'influenza russa"

I russi vogliono un nuovo governo a Kiev, che non guardi più a Occidente ma rientri nella sfera d'influenza di Mosca"

Andrea Margelletti, presidente Ce.S.I


La leva delle sanzioni quanto influisce sul possibile esito della crisi?

Leonardo Bellodi, docente di Intelligence economica alla Luiss Business School, ritiene che: "Solo le sanzioni finanziarie hanno efficacia in questo contesto. Solo bloccando le transazioni finanziarie che avvengono sulla piattaforma Swift può avere un reale peso per la Russia. Non le sanzioni sulle forniture energetiche, per le quali l'Europa non ha ancora una sua autosufficienza. La presidente von der Leyen dichiara che l'Europa non ha difficoltà per i prossimi mesi, ma altri analisti parlano invece di solo 40 giorni di autonomia in caso di chiusura delle forniture. L'Italia è messa meglio di altri paesi, come ad esempio la Germania, perché ha contratti in essere con l'Algeria e la Libia. Per il momento la Russia ha sempre rispettato la fornitura delle quantità minime di gas come da contratto, ma la questione è che se dovessimo fare a meno della Russia i prezzi salirebbero alle stelle. Dunque c'è prima un problema di quantità e poi di prezzo. Qatar, Algeria e Stati Uniti potranno garantire gli stessi livelli di fornitura? E se questo sarà possibile, a quali costi?".


Solo una sanzione sulle transazioni economiche tramite Swift può danneggiare la Russia"

Leonardo Bellodi, Luiss Business School

Dottori: "La valenza delle sanzioni economiche appena decise è solo di segnalazione. Servono a dimostrare solidarietà agli ucraini e biasimo per la scelta russa di riconoscere le repubbliche separatiste del Donbass. Sanzionare l'export russo di metano non è semplice. Significa colpire gli approvvigionamenti diretti all'Europa. E le quantità di gas da sostituire con metano liquefatto provenienti da Qatar o Stati Uniti non sarebbe facile. Servirebbero più rigassificatori che non si costruiscono in una settimana. In sintesi: l'Europa pagherebbe un prezzo alto per questo tipo di sanzioni a differenza dell'America. E alla lunga la coesione occidentale potrebbe risentirne."

Cedere parte di territorio ucraino è il "male minore" di una strada ormai senza via d'uscita o altre contropartite sono invece percorribili?

Camporini: "Si prenda l'esempio della Georgia, calza a pennello. Il riconoscimento delle auto-proclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk nel Donbass da parte di Vladimir Putin somiglia a quanto già visto in Georgia nei territori di Abkhazia, Ossezia del sud e Transnistria. Le regioni avevano chiesto l'autonomia e l'indipendenza, i russi hanno colto l'occasione e stavano per arrivare a Tiblisi, poi la situazione si è congelata e le regioni sono stata riconosciute da Mosca e pochissimi altri stati e non sono più parte della Georgia. Putin però vorrà un "regime change" a Kiev e assicurarsi che quello che resta dell'Ucraina non aderirà mai alla Nato".

Bellodi: "L'esperienza della Crimea insegna che spesso il diritto internazionale è il diritto dei più forti. Se non ci sarà il riconoscimento subito si trasformerà in un controllo di fatto del territorio. La Crimea non voleva riconoscerla nessuno stato, ma di fatto è passata sotto il totale controllo russo. L'aspetto giuridico è diverso da quello della realtà dei fatti".

Margelletti: "Per i russi conta costituire un'area di sicurezza, questo è il risultato strategico, non arretreranno finché non lo otterranno".