Green Deal

Addio 'fast fashion', l'Unione europea ci vuole tutti di verde vestiti

La moda usa-e-getta non è più di moda: entro il 2030 dovremo passare ad un'economia circolare anche nel settore tessile, e recuperare le buone usanze di una volta: riuso, riciclo, seconda mano

Addio 'fast fashion', l'Unione europea ci vuole tutti di verde vestiti
pixnio.com/Bicanski
Abiti usati

L'Ue si prepara a dire addio all'economia dello spreco, all'obsolescenza programmata, al 'fast fashion' e alla distruzione delle merci invendute, a partire dal settore del tessile e dell'abbigliamento. 

Il progetto che metterà fine alla moda a poco prezzo e di bassa qualità rientra in un pacchetto di proposte che mirano, nell'ambito del Green Deal, a fare della sostenibilità dei prodotti la norma, non l'eccezione, nell'Unione Europea. 

Le nuove regole varranno "per tutti i prodotti venduti sul mercato europeo, indipendentemente da dove vengano fabbricati", ha detto il commissario all'Ambiente Virginijus Sinkevicius, per rendere la maggior parte dei beni fisici prodotti e venduti sul mercato Ue meno dannosi per l'ambiente, "circolari" ed "efficienti" in tutto il loro ciclo di vita. 

"Agiamo perché durino, per gli utilizzatori di seconda e anche di terza mano", ha sottolineato il vicepresidente con delega al Green Deal Frans Timmermans. Il pacchetto comprende una strategia per rendere i prodotti tessili più durevoli, riparabili, riutilizzabili e riciclabili, per combattere la moda usa e getta e la conseguente produzione di rifiuti tessili nonché la distruzione dei prodotti invenduti. Secondo le statistiche Ue, in media, un europeo butta via ogni anno ben 11 kg di capi d'abbigliamento. E nel mondo, sottolinea Timmermans, "un camion di vestiti al secondo viene bruciato nell'inceneritore oppure finisce in discarica".

Chi produce e chi compra ‘fast fashion’

Il  termine ‘fast fashion’ si riferisce alla velocità con cui i prodotti di abbigliamento vengono fabbricati e immessi sul mercato per i consumatori. Leader indiscusso del settore è il gruppo spagnolo Inditex, che possiede una serie di  noti marchi. Inditex avrebbe venduto 2,9 miliardi di capi nel 2019, secondo Statista. Oltre alla velocità nel turnover di vestiti nei negozi, c'è di pari passo la rapida distruzione dell'invenduto, che va al macero. 

 

Mercato mondiale fast fashion 2020-2025 Statista.com
Mercato mondiale fast fashion 2020-2025

Negli ultimi vent'anni, comunque, il settore ha subito un'enorme trasformazione e accelerazione a causa del crescente impatto dei produttori asiatici, in particolare cinesi, nella produzione di abbigliamento. Oggi la Cina emerge come il principale esportatore globale di abbigliamento, con oltre un terzo delle esportazioni mondiali. Di pari passo, all'interno dell'Unione Europea, il numero di aziende che producono tessuti e abbigliamento è diminuito tra il 2009 e il 2019.

Seconda solo al al petrolio, la moda è l'industria più inquinante al mondo: soltanto la Cina produce quotidianamente 70.000 tonnellate di scarti di abbigliamento, che rappresentano il 53% del totale mondiale. La produzione del poliestere, in particolare, è considerata la più dannosa perché utilizza idrocarburi e non è biodegradabile. 

Quello che Commissione propone invece è una visione del tutto nuova per la sostenibilità e la circolarità del settore tessile, da attuare entro il 2030, con prodotti tessili più durevoli, riparabili, riutilizzabili, riciclabili, e privi di sostanze pericolose. Inoltre, si dovrà garantire che la produzione in questo settore avvenga nel pieno rispetto dei diritti dei lavoratori.

Secondo una nota della Commissione, in questo modo “i consumatori beneficeranno più a lungo di prodotti tessili di alta qualità”, e 'fast ashion' “andrà fuori moda e lascerà spazio a servizi di riutilizzo e riparazione economicamente vantaggiosi”. Le imprese tessili sono invitate “a ridurre il numero di collezioni per anno, ad assumersi le proprie responsabilità e ad agire per ridurre al minimo l'impatto ambientale”, mentre gli Stati membri sono chiamati ad adottare misure fiscali per incentivare servizi come il riuso e le riparazioni.