Un nuovo contesto internazionale

Pechino e la guerra in Ucraina: gli scacchi cinesi di Xi Jinping

Pechino continua a mantenere un equilibrismo geopolitico dopo lo scoppio del conflitto

Pechino e la guerra in Ucraina: gli scacchi cinesi di Xi Jinping
LaPresse
Vladimir Putin e Xi Jinping

Seppure la Cina si offra di fare da mediatore nella guerra di Mosca a Kiev, e al tempo stesso dichiari che l’amicizia con la Russia sia “solida come una roccia”, il suo disegno resta sempre piuttosto ambiguo e molto complesso in questa guerra geopolitica globale. “Il vero obiettivo della strategia degli USA è quello di stabilire una versione indo-pacifica della NATO”, ha detto tra l’altro il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, durante la conferenza stampa a margine dei lavori annuali dell’Assemblea Nazionale del Popolo, riferendosi chiaramente all’attenzione militare che Washington sta puntando sul Pacifico e in quelle acque del Mar Cinese Meridionale dove sorge peraltro Taiwan, una zona in cui si concentrano giacimenti di idrocarburi, gas e petrolio, e ricca di risorse ittiche.

Parole piuttosto chiare verso gli Stati Uniti e che implicano in questo momento così caldo, con la guerra scoppiata nel cuore dell’Europa, che Pechino continui a mantenere un equilibrismo geopolitico, una prudentia confuciana che ha sempre caratterizzato gran parte delle sue scelte. L’invasione russa dell’Ucraina ha certamente messo in grave difficoltà la Repubblica Popolare: da una parte Pechino ha scambi commerciali con la regione che si affaccia sul Mar Nero, dalla quale importa un’enorme quantità di grano soprattutto dal 2021; proprio usando l’Ucraina come fornitore si calcola che entro il 2022 la Cina avrà comprato e stoccato il 60% del grano presente sui mercati mondiali. Non solo: la Cina compra molta tecnologia militare dall’Ucraina: come la prima portaerei cinese, la Liaoning, unità navale costruita per l’Unione Sovietica, poi con la dissoluzione dell’URSS passata all’Ucraina che l’ha venduta alla Repubblica Popolare Cinese.

La Cina deve inoltre tener conto nei confronti dell’Ucraina del diritto all’integrità nazionale, che ha difeso, in linea con uno dei principi cardine della politica cinese: la non interferenza negli affari interni degli altri paesi, assioma da sempre sostenuto dalle autorità di Pechino, ribadito in questi giorni dall’ambasciata cinese a Londra anche a proposito di Taiwan, dopo un paragone emerso in una riunione tenuta dal Gran Comitato della Camera dei Lord in cui alcuni relatori avevano parlato di Taipei come “l’Ucraina dell’Estremo Oriente”. “Paragonare Taiwan e Ucraina, finita sotto l’attacco russo, non solo è insostenibile, ma è anche un tentativo ignorante di minare la sovranità e l’unità della Cina”, ha dichiarato la sede diplomatica cinese di Londra, ribadendo che “la questione di Taiwan riguarda esclusivamente gli affari interni e gli interessi fondamentali della Cina che non tollera interferenze esterne”.

Un principio dunque imprescindibile per l’ex celeste impero con cui restare coerenti anche per ragioni culturali, il non “perdere la faccia” (diu lian in cinese) così radicato nella propria tradizione. Ma d’altra parte non è comunque possibile per la Repubblica Popolare spezzare il rapporto con la Russia, sebbene sofferto e compromesso, sin da quando, a partire dagli anni '60, Mao ruppe con la linea politica dell’URSS, facendo incamminare la Cina lungo una strada propria. Da allora le relazioni tra i due paesi si sono incrinate e le crepe di questa rottura sono ancora visibili: da una parte il presidente cinese Xi Jinping ribadisce il suo legame con la Russia e accoglie come ospite d’onore il “grande amico Putin” alle Olimpiadi di Pechino e può persino chiedergli di posticipare l’invasione dell’Ucraina alla fine dei Giochi olimpici - tanto per fare un’ipotesi - dall’altra Pechino vede nella Russia non molto di più di un partner commerciale che sfrutta principalmente per assicurarsi le forniture di gas.

Ma oggi che gli scenari si complicano, e che la guerra minaccia la stabilità globale, ogni passo deve essere più che ma studiato da Xi Jinping, ogni mossa colpire nel segno e non fallire. Dunque diventa fondamentale per Pechino evitare il caos, non sbilanciarsi troppo da una parte o dall’altra, “camminare sul difficile crinale di non sostenere completamente il nuovo amico russo”, scrive il sinologo Federico Masini, “ma al tempo stesso non cadere in un abbraccio mortale con il nuovo nemico americano”. Un’equidistanza che richiede abilità e destrezza, come il gioco degli scacchi cinesi, il weiqi, grande passione di Xi Jinping, un’immagine che sembra fatta apposta per spiegare le scelte cinesi nella geopolitica globale, uno dei giochi più antichi del mondo che si intreccia con la filosofia taoista o i trattati di strategia militare, il pensiero antico di chi studia i potenziali nemici e li osserva prima di intraprendere qualsiasi iniziativa, come il terzo dei 36 stratagemmi cinesi, tratto appunto da un altro testo antico di strategia militare: uccidere con una spada presa a prestito il cui commento recita se vuoi fare qualcosa, fa in modo che il tuo avversario lo faccia per te.

L’immagine degli scacchi cinesi è ad alto valore simbolico, una chiave di lettura che può avvicinare alla comprensione della prospettiva adottata da Pechino: i due ideogrammi (WEI, il primo, rappresenta un recinto e significa circondare, QI, il secondo, è un setaccio per separare il grano) sono già di per sé evocativi. Ma a differenza della nostra scacchiera, che si presenta all’inizio piena con tutti i pezzi posizionati in fila, molti dei quali vengono mangiati nel corso della partita, la scacchiera cinese si presenta vuota, un ripiano in legno dove sono tracciate 19x19 linee orizzontali e verticali: i luoghi importanti non sono le caselle ma i punti di intersezione delle linee, ossia 361 incroci, un numero uguale a quello dell’agopuntura nel corpo umano.

Le pedine vengono disposte ad arte per circondare e stringere d’assedio alcune aree di influenza. Un procedimento che contempla alcune fasi in cui bisogna attendere, secondo il principio taoista del “wuwei” non agire, che non significa restare immobili, ma attendere il momento propizio, osservando, ascoltando, interpretando le indicazioni contenute negli accadimenti. Quale sarà l’interpretazione cinese dei fatti? Come si rapporterà la visone di Pechino con il resto del mondo in un momento così delicato e come si metteranno a confronto l’Oriente e l’Occidente? Non ci resta dunque che aspettare le prossime mosse sulla scacchiera cinese del weiqi, scelte strategiche che potrebbero rivelarsi molto più decisive di quanto ancora non sembrino: l’ago della bilancia del caos attuale potrebbe essere proprio Pechino, che ora più che mai ha la necessità di riscattare un’immagine internazionale compromessa dall’aver diffuso, secondo la maggior parte dei paesi occidentali, il virus pandemico del covid.