Lo studio

Long-Covid: sintomi diversi per varianti (di Sars-CoV-2) diverse

I postumi dell'infezione potrebbero manifestarsi in modo diverso in base alla tipologia di coronavirus con cui si è entrati in contatto. È la nuova ipotesi avanzata da un gruppo di infettivologi del policlinico Careggi di Firenze

Long-Covid: sintomi diversi per varianti (di Sars-CoV-2) diverse
Ansa
Reparto covid

Il Long-Covid - quella sequela di sintomi che accompagna per mesi tra il 20 e il 40 per cento delle persone entrate a contatto con Sars-CoV-2 - potrebbe non avere sempre la stessa faccia. Le manifestazioni di questa condizione sembrerebbero infatti mutevoli. E legati alla variante di coronavirus con cui ci si è infettati. Una ipotesi nuova, presentata per la prima volta da un gruppo di infettivologi dell’Azienda ospedaliero-universitaria Careggi di Firenze nel corso del Congresso europeo dedicato alla microbiologia clinica e alle malattie infettive in corso a Lisbona.

Long-Covid: di cosa si tratta?

Alcune persone che hanno avuto la Covid-19 possono soffrire di sintomi variabili e debilitanti per molti mesi dopo l'infezione iniziale. Questa condizione è comunemente chiamata Long-Covid. Manca una definizione esatta, ma in genere si considera affetto da questa condizione chi continua ad accusare i sintomi anche due mesi o più dopo essere risultato negativo al tampone. Ad accusarla sono soprattutto le persone colpite in precedenza da una forma moderata o severa della malattia. Ma in realtà la Long-Covid è oggi presente nelle vite anche di chi, dopo l'infezione, ha sviluppato sintomi paragonabili a quelli di una comune influenza. I campanelli d’allarme sono i seguenti: stanchezza persistente, mal di testa, mancanza di respiro, anosmia (perdita dell’olfatto), debolezza muscolare, febbre, disfunzione cognitiva («nebbia» da Covid), tachicardia, disturbi intestinali e manifestazioni cutanee. Si tratta di un aspetto comune ad altre infezioni. Anche dopo l’epidemia di Sars e i focolai di chikungunya ed Ebola, infatti, alcuni pazienti hanno continuato a registrare alcuni sintomi per diversi mesi. Al di là della riabilitazione, efficace per i problemi respiratori e cognitivi, non è ancora chiaro come si possano aiutare queste persone a recuperare la migliore forma.

Long-Covid: il ruolo dei sintomi

Nello studio in questione, i camici bianchi hanno analizzato in maniera retrospettiva il decorso dell’infezione in 428 pazienti (254 uomini e 174 donne) trattati nel policlinico fiorentino tra i mesi di giugno del 2020 e del 2021. Ovvero in una fase in cui a circolare era la variante Alpha. Tutti ospedalizzati, i pazienti sono stati intervistati una volta trascorsi da uno a tre mesi dalla fine del ricovero. Tre quarti di loro hanno riportato almeno un sintomo persistente: respiro corto, fatica cronica, disturbi del sonno e della vista e «annebbiamento» cerebrale. Dall’analisi è emerso che i pazienti che avevano avuto le forme più gravi di Covid-19 - al punto da richiedere il supporto dell’ossigeno o l’uso di immunosoppressori quali il Tocilizumab - avevano una probabilità più alta fino a sei volte di riportare i sintomi del Long-Covid. A soffrirne maggiormente, le donne.

Impatto diverso a seconda delle varianti

La riflessione sulle varianti è emersa andando a confrontare i sintomi descritti dai pazienti infettatisi nella prima e nella seconda ondata (marzo-dicembre 2020, quando a prevalere era la versione originale di Sars-CoV-2) con quelli riferiti da un altro campione di uomini e donne contagiatisi tra gennaio e aprile del 2021 (con la variante Alpha). Da qui è emersa una sostanziale variazione nel pannello di sintomi neurologici e cognitivi descritti. Nel caso della variante Alpha, le sequele più rappresentate erano la mialgia (dolori muscolari e ossei), l’insonnia, l’ansia, la depressione e il cosiddetto «brain fog» (lentezza e pensiero sfocato). Meno comuni invece alcune conseguenze della prima tornata di contagi: l’anosmia (perdita dell’olfatto), la disgeusia (perdita del gusto) e l’alterazione dell’udito. «Questi sintomi, da sempre fatti rientrare tra quelli del Long-Covid, oggi vengono per la prima volta suddivisi tenendo anche conto della variante da cui si è stati contagiati - afferma Michele Spinicci, infettivologo dell’Università di Firenze e coordinatore dello studio: non ancora pubblicato su una rivista scientifica -. La ricerca dovrà focalizzarsi anche su questo aspetto, oltre che sull’impatto della vaccinazione sul perdurare dei sintomi».

Omicron, vaccinazione e Long-Covid

Le prime evidenze - riassunte in una revisione da parte dell’Agenzia per la Sicurezza Sanitario del Regno Unito  - sembrano suggerire un ruolo protettivo della vaccinazione anche nei confronti del Long-Covid. Evidenze comunque ancora preliminari, che dovranno trovare il supporto di ulteriori dati. Così come rimane da chiarire l’impatto della variante Omicron. Alla luce della sua elevata contagiosità, avrà un impatto diverso sul Long-Covid? Se la quota di persone che continua a portarsi dietro le conseguenze dell’infezione dovesse rimanere immutata, con i contagi determinati dall’ultima variante ci sarebbe da aspettarsi un’esplosione di malati cronici. Vista la recente diffusione di Omicron, però, al momento si possono soltanto fare supposizioni. Si è visto che l’infezione, nelle persone vaccinate, ha un decorso più veloce e meno grave. Basterà questo a contenere i numeri del Long-Covid? Oppure a prevalere sarà l’aspetto quantitativo, considerando che anche i casi lievi della malattia possono portare a sviluppare i sintomi sopra indicati per diversi mesi?

Twitter @fabioditodaro