La guerra tra Russia e Ucraina

Le chiese ortodosse di fronte al conflitto

Intervista a Padre Lorenzo Prezzi, esperto di cristianesimo ortodosso

Le chiese ortodosse di fronte al conflitto
Getty Images
Un sacerdote ortodosso ucraino in una chiesa a Kiev

La guerra in Ucraina uno spartiacque drammatico per il cristianesimo orientale. Quali scenari sono possibili? Ne parliamo, in questa intervista, con Padre Lorenzo Prezzi, giornalista e teologo, esperto di cristianesimo ortodosso. Padre Prezzi è direttore del portale di informazione religiosa settimananews.it

Padre Lorenzo, lei è un esperto del mondo Ortodosso. Un mondo ancora poco conosciuto, la guerra in Ucraina l’ha portato in evidenza. In particolare per le dichiarazioni enfatiche del Patriarca Kirill di condivisione totale alla guerra di Putin. Prima di analizzare il contenuto della posizione del religioso moscovita, facciamo un piccolo focus su di lui. Qual è la storia di Kirill?
Vladimir Michajlovič Gundjaev, il futuro patriarca Kirill, è nato a San Pietroburgo nel 1946 ed è un personaggio di rilievo che ha conosciuto molte stagioni nella sua vita. È figlio e nipote di preti che hanno sperimentato il Gulag e la persecuzione. Come ha notato Antonio Sanfrancesco il padre di Kirill ha collezionato 47 incarcerazioni, sette condanne all’esilio, in totale trent’anni di detenzione. Il nonno ha trascorso tre anni nella famigerata prigione di Kolyma in Siberia. Kirill conosce bene quindi la durissima stagione delle persecuzioni comuniste in Unione Sovietica. Non sorprende che nel 1965 entri in seminario. Sorprende invece la sua rapidissima carriera. È prete nel 1969, laureato nel 1970, primo segretario del metropolita Nikodim nello stesso anno. Diventa rettore del seminario e dell’accademia teologica dal 1974 al 1984. Nel 1976 è già vescovo. La vera svolta avviene nel 1971 quando diventa rappresentante ufficiale del Patriarcato di Mosca presso il Consiglio Ecumenico delle Chiese a Ginevra. Conosce le altre Chiese cristiane e l’Occidente. Raccontano della sua passione sportiva sulle piste innevate della Svizzera, l’ammirazione per gli orologi costosi e per le macchine potenti. A proposito di un orologio di valore c’è il racconto di qualche anno fa di una sua fotografia in abiti liturgici in cui è visibile un orologio di marca che poi scompare, dopo una campagna di stampa contro di lui. Diventa un interlocutore apprezzato e si crea la fama di liberale ed ecumenico. Dà forma all’intuizione di Nikodim, quella cioè di utilizzare l’apertura ecumenica per difendere l’ortodossia in patria. Il potere sovietico comincia ad apprezzare le interlocuzioni occidentali della Chiesa russa e l’immagine positiva che esse garantiscono. Nel 1989 diventa presidente del dipartimento per le relazioni estere del patriarcato. Un ruolo centrale che gli garantisce la presenza stabile nel sinodo, le interlocuzioni con l’Occidente e la conoscenza diretta degli altri vescovi. Così, alla morte del patriarca Alessio, viene eletto come suo successore (2009). Qui si apre la terza stagione. Il crollo dell’Unione sovietica e la spinta all’autonomia delle Chiese ortodosse prima succubi di Mosca lo inducono a rafforzare il ruolo centrale delle istituzioni patriarcali, ad elaborare la dottrina dello “spazio russo” (Russkij mir). Il legame liturgico, la lunga consuetudine, la formazione comune dei vescovi e dei teologi suggeriscono di ravvivare i legami pastorali anche dopo il riemergere degli stati e delle nazionalità. Ma è l’arrivo politico di Putin che compie il suo disegno. L’istinto di quest’ultimo a ridare consistenza e impero al potere moscovita si sposa con l’opzione pastorale di Kirill. Quest’ultimo fornisce l’ipotesi spirituale, culturale e i linguaggi compatibili e coassiali rispetto ai sogni del nuovo zar. Assieme impongono un nuovo centralismo, spengono le attese democratiche e soffocano lentamente lo spazio della società civile. In compenso Putin apre alla Chiesa ortodossa uno spazio di manovra del tutto impensabile fino a pochi anni prima: la presenza nella scuola, l’ampio riconoscimento sui media, il riconoscimento di titoli di studio e della teologia nelle facoltà statali, un massiccio sostegno alla costruzione delle chiese (al ritmo di 1000 chiese all’anno), la riapertura di centinaio di monasteri, la copertura “politica” alle operazioni internazionali della Chiesa ortodossa russa e il sostegno per imporre la sua egemonia all’Ortodossia mondiale. Nella nuova Costituzione si fa esplicito riferimento a Dio e si garantisce che la famiglia è costituita da un uomo e una donna. I valori morali tradizionali si ergono a scudo fra la spiritualità della Russia e la decadenza dell’Occidente.

Nei giorni scorsi la testata Huffingston post ha riĺanciato la notizia, presa dall'archivio Mitrokhin, che Kirill fin dai primi anni fosse un agente del Kgb. Questo spiega, forse, il forte legame con Putin?
Il coinvolgimento di Kirill con i servizi segreti russi col nome di Mikhailov è oggi acclarato come dato di fatto, ma è da sempre percepito come “dato di diritto”. Difficilmente nel regime sovietico si poteva arrivare a ruoli pubblici e a interlocuzioni internazionali senza un adeguato “servizio” al Kgb. Ma sarebbe un errore giudicare il fatto a partire dalla nostra sensibilità. Piegarsi alla polizia segreta era anche lo strumento per salvaguardare un minimo di liberà e di spazio per la vita ecclesiale. Lo ha affermato in forma diretta l’ex-metropolita di Kiev, Filarete, a suo tempo concorrente diretto con Kirill per la successione ad Alessio. Interrogato sui suoi trascorsi da informatore ha risposto che quella era la condizione di tutti i vescovi e di quanti rivestivano autorità nella Chiesa. La presa sulla società nella dittatura comunista era pervasiva e l’identità ortodossa non permetteva l’esistenza di una Chiesa “sotterranea” o uno “stato di confessione” contro i poteri costituiti. Persino nella Chiesa cattolica polacca, ben più rocciosa e difendibile, i casi di collaborazionisti erano diffusi. Sono stati “pizzicati” mons. Wielgus, arcivescovo nominato di Varsavia (e subito dimessosi) e il card. Henryk Roman Gulbinowicz. I servizi di quest’ultimo sono durati oltre vent’anni. Tornando a Kirill, può darsi che abbia avuto una conoscenza diretta di Putin. Di certo la cura pastorale per l’esercito e per i servizi di sicurezza è nelle sue corde. Qualche settimana fa fece scandalo la citazione evangelica fatta da Putin sull’amore più grande per un militare: dare la vita per i propri amici. Le parole evangeliche hanno risuonato ben prima sulla bocca di Kirill a proposito del servizio militare.

Veniamo al contenuto della posizione di Ķirill. Quella del Patriarca è una vera teorizzazione di una autocrazia teocratica, in questo quadro quanto la religione diventa strumento del potere politico? Oppure i "due regni" sono così intrecciati che formano un unico corpo molto simile all'Iran?
Più che di teocrazia parlerei con il linguaggio ortodosso della tradizione di sinfonia, di accordo fra governo civile e autorità ecclesiale. Dopo molti secoli Kirill sembrava in grado di riprendere il modello Bisanzio, l’accordo fra imperatore e sinodo. Nella teocrazia iraniana, la sharia è il “tutto” del potere e il versante religioso determina l’indirizzo politico. In Russia vi è maggiore spazio fra Chiesa e stato, il potere è saldamente in mano al presidente della federazione e la laicità delle istituzioni, seppur oscurata, è comunque affermata. Il segnale di un certa distanza è dato dall’evento “catastrofico” del ‘900 russo. Per Kirill è la fine dei Romanov e la rivoluzione d’ottobre. Per Putin è l’implosione dell’Unione Sovietica degli anni ‘90. Il progetto politico ed ecclesiale si integrano nel Russkij mir, nell’attesa di ricompattare il vecchio spazio sovietico con la tradizione russa-ortodossa e il suo messianismo anti- occidentale. La crisi dell’ipotesi politica potrà innestare il rifiuto del progetto religioso. Quello che sembra oggi certo è la perdita dell’Ucraina ortodossa per il patriarcato di Mosca. Non è solo il venir meno di un terzo delle parrocchie complessive del patriarcato e di un prezioso bacino di vocazioni monastiche e sacerdotali, ma soprattutto è il distacco simbolico dalla culla storica della Chiesa, la Russia di Kiev. Se Putin sta perdendo la guerra, Kirill ha già perso l’Ucraina ortodossa.

Le tesi giustificazioniste sulla guerra di Kirill hanno creato scandalo nel mondo Ortodosso e non solo (ci sono affermazioni che sono aberrazioni teologiche). Sappiamo che c'è stata la reazione di 400 sacerdoti Ortodossi che sostengono che la Dottrina del "mondo russo", propugnata dal Patriarca, sia una eresia. In che senso?
Kirill giustifica teologicamente l’aggressione all’Ucraina in nome della comune appartenenza alla fede ortodossa, aggredita dal Maligno rappresentato dall’immoralità e dalla decadenza occidentale. Si tratta di uno scontro apocalittico, del conflitto metafisico fra luce e tenebre, della necessità di evitare alla Chiesa ortodossa russa la deriva anti-evangelica delle Chiese d’Occidente. Ma l’identificazione del Regno di Dio con una etnia (russa) e le sue attuali istituzioni politiche si configura – è quanto affermano oltre 500 teologi ortodossi – come una radicale infedeltà al Vangelo. La scelta di Kirill soffoca l’originaria dimensione universalistica delle fede cristiana e costringe il popolo credente dell’Ucraina a una posizione quietista e dimissoria rispetto ai doveri di giustizia e di dignità delle persone. Per una presa di distanza dalla guerra si sono espressi 300 preti ortodossi russi (su 40.000). Oltre 400 i preti ucraini, di obbedienza russa, hanno chiesto che Kirill venga dimesso dal suo ruolo.

Gli stessi sacerdoti, firmatari dell'appello, hanno chiesto al Consiglio dei Primati delle Chiese antiche orientali di destituire Kirill dal "trono" Patriarcale. È possibile questo? Kirill è isolato nel mondo Ortodosso?
Difficile immaginare la dimissione forzata di Kirill. Nel testo dei preti ucraini il richiamo storico per dimettere Kirill è un concilio dei patriarchi orientali del 1666 che condannò il patriarca Nikon di Mosca. Non si vede oggi la possibilità che questo avvenga. E, negli statuti della Chiesa russa, il diritto di esaminare l’operato del patriarca è riservato al Concilio dei vescovi (l’assemblea che unisce tutti i vescovi). Nessun vescovo russo si è finora pronunciato contro Kirill. Anzi, sono ormai una decina quelli che ne hanno preso le difese in pubblico. L’unico che potrebbe prendere una decisione in merito, non in senso legale ma sostanziale, è Putin. È probabile che il prossimo concilio dei vescovi (previsto per l’autunno prossima) discuta della questione ucraina, ma niente suggerisce l’attesa di una delegittimazione di Kirill.

La guerra segna, comunque, uno spartiacque drammatico per il mondo del cristianesimo orientale (non solo ortodosso). Sul piano ecumenico che conseguenze avrà?
Si, la guerra determinerà un prima e un dopo. Tenendo presente la straordinaria ricchezza storica, spirituale e teologica della Chiesa ortodossa e della Chiesa russa in specie è possibile attendersi un periodo di profonda riflessione e sperimentazione pastorale. Probabilmente lo scisma in atto fra Ortodossia slava e Ortodossia ellenica verrà affrontato in maniera diversa e la stessa Ucraina potrebbe diventare terreno di sperimentazione positiva dentro le Chiese ortodosse e con la Chiesa cattolica di rito orientale. Per ora si può registrare una grave ferita alla testimonianza del cristianesimo nel suo insieme.

Ultima domanda: papa Francesco non è troppo ottimista nei confronti di Kirill (i due sono agli antipodi)?
Francesco naviga a una profondità che relativizza le pur gravi turbolenze di superficie. In ordine all’Ucraina ha messo in atto la preghiera universale della Chiesa, la dimensione della pietà popolare (consacrazione dell’Ucraina e la Russia al cuore immacolato di Maria), l’attività diplomatica della Santa Sede, le competenze teologiche, una dura condanna della guerra ma senza accuse dirette alle persone, seppur intuibili. Sa di essere attualmente l’unico riferimento credibile per l’insieme delle Chiese ortodosse e di dover assumere nel servizio petrino il peso della rappresentanza dell’intero cristiano. È una situazione inedita che non si misura sulle relazioni personali o sulle urgenze immediate della geopolitica, ma sulle correnti profonde della storia.