Il punto sull'epidemia

Perché la Cina non riesce più ad arginare il Covid? Lockdown e vaccini, qualcosa non funziona

Nel Paese in cui tutto ha avuto inizio, sembrano essere calate di nuovo le tenebre. Ma in una fase in cui le nazioni occidentali iniziano a rivedere la luce, cosa sta mettendo in difficoltà la prima potenza economica mondiale?

Perché la Cina non riesce più ad arginare il Covid? Lockdown e vaccini, qualcosa non funziona
(GettyImages)
Poliziotti con dispositivi di protezione individuale (DPI) controllano una strada durante un lockdown per Covid-19, nel distretto di Jing'an, Shanghai

La grande muraglia non è più imperforabile. La Cina, due anni e mezzo dopo lo scoppio della pandemia da Covid-19, sta vivendo giornate che rievocano le prime misure attuate contro Sars-CoV-2. Lockdown serrati, positivi isolati con misure quasi detentive, provviste alimentari a ruba nei negozi. Nel Paese in cui tutto ha avuto inizio, sembrano essere calate di nuovo le tenebre. Ma in una fase in cui le nazioni occidentali iniziano a rivedere la luce, cosa sta mettendo in difficoltà la prima potenza economica mondiale?

Le falle nella grande muraglia cinese

Fin dall’inizio della pandemia, la Cina ha assunto un atteggiamento repressivo nei confronti di Sars-CoV-2. Il primo lockdown fu attuato il 22 gennaio 2020 a Wuhan: capoluogo della Regione dell’Hubei, da cui è partito il lungo viaggio coronavirus in tutto il mondo. Una misura tardiva - introdotta assieme all’obbligo di utilizzo delle mascherine - considerando che il primo contagio era avvenuto quasi due mesi prima. Ma divenuta poi comunque un modello anche in Europa, a partire dall’Italia. La stretta più rigida era l’unica opportunità in quella fase, in cui si conosceva ancora poco delle modalità di contagio del nuovo patogeno e non erano ancora disponibili vaccini e terapie. A differenza di altri Stati colpiti in maniera ugualmente pesante dall’emergenza sanitaria, come il nostro, la Cina non ha però mai cambiato approccio. Nonostante l’avanzamento delle conoscenze e - soprattutto - la progressiva disponibilità di farmaci in grado di fare la differenza. Tanto in chiave preventiva quanto terapeutica. Nel Paese orientale - stando ai dati riportati nella dashboard dell’Organizzazione Mondiale della Sanità - ha numeri complessivamente ancora buoni. Poco più di un milione i casi di infezione confermati, quasi quindicimila i decessi. Non male per una nazione con quasi 1,5 miliardi di abitanti. L’atteggiamento inizialmente premiante, oltre a sembrare sempre più anacronistico, è divenuto però anche inefficace nel momento in cui Omicron ha soppianto le altre varianti. La sua contagiosità è risultata eccessiva anche per un approccio militare come quello cinese. Ma non solo.

La scelta dei vaccini Coronavac e Sinopharm

Tra le nazioni più grandi, la Cina è tra quelle che hanno vaccinato il maggior numero di persone. Qui emerge però il primo limite. Quasi tutti gli abitanti sono stati infatti immunizzati con i farmaci sviluppati dalle aziende Sinvac e Sinopharm, contenenti una versione inattivata del primo ceppo di Sars-CoV-2 isolato a Wuhan. La profilassi con questi vaccini è finora risultata meno efficace rispetto a quella garantita dai vaccini sviluppati da Pfizer e Moderna. Sia in termini di prevenzione del contagio sia - soprattutto - di decorso grave della malattia. E questo limite, mai emerso in maniera così evidente, è stato messo a nudo dall’arrivo di Omicron. La sua circolazione, tra vaccinati e non, sta facendo crescere il numero dei contagi. E progressivamente - seppur con numeri ancora sotto controllo - quelli dei ricoveri e dei decessi. Da qui la stretta imposta dal Governo nelle grandi città, a partire da Shanghai per arrivare a Pechino.

Terze dosi troppo a rilento

Oltre alla ridotta efficacia del vaccino adottato, la Cina sta scontando il basso tasso di adesioni alla campagna di richiamo. Otto anziani su dieci avrebbero ricevuto anche la seconda dose, molti di meno (20 per cento) la terza. Da qui il cortocircuito: con troppe persone a rischio ancora «scoperte» e in precedenza vaccinate con un farmaco meno efficace di quelli utilizzati in Italia, Sars-CoV-2 ha ripreso a circolare rapidamente. La comunità scientifica in questa fase prediligerebbe un approccio combinato: che preveda l’uso delle mascherine nei luoghi chiusi, un’ampia campagna di recupero delle vaccinazioni e un uso massiccio di anticorpi monoclonali e antivirali per curare i pazienti più a rischio fin dalle prime fasi dell’infezione e ridurre di conseguenza la pressione sugli ospedali. Ma il problema maggiore sembra rappresentato proprio dalla campagna vaccinale. In questa fase, considerando anche la crescita dei positivi, è difficile ottenere risultati che non sono giunti per diversi mesi. A ciò occorre aggiungere che i richiami, per essere maggiormente efficaci, dovrebbero essere effettuati con uno dei due farmaci a mRna. A confermarlo uno studio pubblicato sulla rivista «The Lancet», che ha riconosciuto la strategia «eterologa» come la più efficace per chi aveva iniziato la profilassi con Coronavac. 

Questioni sanitarie, ma non solo

E qui sorge anche un problema politico, dal momento che la Cina ha finora snobbato i due vaccini prodotti negli Stati Uniti. Mentre adesso avrebbe bisogno di milioni di dosi in poche settimane per proteggere la sua popolazione. Un’operazione altamente complessa, che sta determinando ricadute epidemiologiche e sanitarie. Le scelte seguite, al momento, sembrano dunque inevitabili per un Paese che fin da subito ha adottato un approccio militare nei confronti della pandemia. L'unica strada che al momento la Cina può percorrere per tenere sotto controllo la variante Omicron.