Enrico Berlinguer

Enrico Berlinguer, pacifista convinto: l'etica il suo faro guida

Cento anni fa nasceva a Sassari il più amato segretario del più grande partito comunista occidentale

Enrico Berlinguer, pacifista convinto: l'etica il suo faro guida
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Enrico Berlinguer

Fu, certamente se non il più grande, il più amato segretario del più grande partito comunista occidentale. A 100 anni dalla nascita non occorre forse ricordare chi era, che cosa ha fatto ma bensì che cosa resta dell'azione politica, delle idee, della spinta progressista di quello che Venditti definiva dolce Enrico o che, leggero, veniva preso in braccio da Roberto Benigni. 

 

C'è chi, in questi giorni, definisce Berlinguer un "giacimento etico". In una fase politica in cui l'etica stenta ad andare d'accordo con la politica, quella questione morale che pose in modo forte durante la sua segreteria, e qualcosa che resta. Erano gli anni '80. In piena epoca craxiana. Da una parte la sinistra comunista che difendeva lavoratori, salariati e pensionati, insomma, le fasce più deboli della società. Dall'altra il Psi che puntava, proprio con Craxi, sulle professioni emergenti, i piccoli imprenditori, i giovani rampanti. Due mondi che non riuscivano più a comunicare. E a far da spartiacque, anche con una parte della dc, c'era proprio la questione morale. Leader comunista di una prima repubblica archiviata in ogni caso troppo in fretta senza separare il grano dal loglio. Le ultime battaglie politiche lo portarono ancora una volta in giro per il paese. Invitava i militanti a fare altrettanto, casa per casa, quartiere per quartiere, per difendere i lavoratori da quella scala mobile tagliata da Craxi a loro scapito. Ma spronava i militanti contro la volontà atlantica di portare i missili Pershwing e Cruise a Comiso, in risposta agli ss20 sovietici piazzati a due passi dai confini europei. Il proliferare di armi nucleari anche in Italia, sebbene sulla spinta di quelle piazzate dai sovietici, non era una scelta utile e previdente. E Berlinguer poteva affermarlo senza essere più accusato di essere filosovietico perché nel 1976 al congresso del Pcus compì quello strappo che gli fece guadagnare, contemporaneamente, la copertina di time e l'odio dell'ortodossia sovietica per avere pronunciato parole come democrazia e pluralismo in un luogo in cui erano state messe fuori dal vocabolario politico.

Per la verità i dirigenti sovietici provarono a farlo desistere dal pronunciare quelle parole e, di fronte al suo rifiuto, non poterono fare altro che dimezzargli il tempo dell' intervento. Ma quella parola, democrazia, come obiettivo da perseguire per realizzare pienamente anche il socialismo, venne pronunciata. Fu strappo con mosca, questo, pero, non significava scegliere di stare semplicemente ad occidente e nella nato. Cambia la linea del partito. Si resta nella nato, e chiaro che in occidente la liberta e meglio garantita ma ci deve essere la consapevolezza che le stesse democrazie occidentali per autodifendersi hanno ispirato e a volte guidato derive antidemocratiche come in Grecia e in Cile. Non solo. Non si ferma la battaglia comunista per una società più equa e giusta contro il modello capitalista. E' la terza via, insomma.

Il pensiero di Berlinguer era un pensiero lungo. Lavorare per la pace, lui, comunista, con i francescani di Assisi. Lavorare per la pace chiedendo il riequilibrio degli arsenali nucleari a partire proprio da quegli ss20 sovietici che quell'equilibrio avevano modificato. Non riuscì a vedere come quel pensiero lungo porto Reagan e Gorbaciov a siglare, dopo la restaurazione brezneviana, accordi bilaterali per il disarmo nucleare.. Poi, Berlinguer, aveva il coraggio di sostenere le proprie idee, spingendosi per il bene del paese, superiore a quello del partito a cercare l'accordo con moro nel compromesso storico che fu fermato solo dall'assassinio del leader dc. Ma non solo. Anche ad incontrare più volte il segretario del movimento sociale, erede del fascismo, per capire insieme come salvare la repubblica dai terroristi rossi e neri.

Morì, si potrebbe dire, nel compimento del proprio dovere di politico, di civil servant, volendo arrivare alla fine del comizio di Padova, con i militanti che gli chiedevano di fermarsi.

Quattro giorni di agonia e poi da Padova a Roma sull'aereo del presidente partigiano Pertini, che lo riporto a casa come un figlio. Un milione di comunisti a salutarlo in una Roma arroventata dal sole.