Draghi e Biden: un nuovo patto euroatlantico per la pace e per l’energia

Intervista a Giuseppe Sabella

Draghi e Biden: un nuovo patto euroatlantico per la pace e per l’energia
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Mario Draghi, Joe Biden

Dopo la visita alla Casa Bianca, il Presidente del consiglio Mario Draghi ha incontrato i giornalisti all’Ambasciata d’Italia a Washington. Come del resto annunciato, i temi della pace, naturalmente, dell’energia e della crisi alimentare sono stati al centro dei colloqui con il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e sono ciò di cui, ieri, Draghi ha riferito in conferenza stampa. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Sabella, direttore di Oikonova e autore del libro “La guerra delle materie prime” (Rubbettino).

Sabella, che giudizio dare di questo viaggio di Draghi a Washington?

Credo, anzitutto, che si debba riconoscere la nuova centralità che il nostro Paese sta trovando nello scacchiere internazionale, in Europa e, in particolare, nei rapporti con gli USA. La stagione trumpiana e la sbandata del governo gialloverde – che aveva portato al controverso memorandum sulla Via della Seta – avevano reso l’Italia un interlocutore ambivalente e poco affidabile. Non che il problema fosse solo italiano, lo era in generale anche per l’Europa con alcune specificità. L’Italia pareva aver annientato la sua politica estera. Ora, la crisi ucraina si sta rivelando circostanza di forte coesione a livello europeo. E, anche, di una ritrovata intesa euroatlantica. Credo che la figura di Mario Draghi, unitamente all’uscita di scena di Angela Merkel, siano fattori decisivi in questo processo. La Germania è attore di un cambiamento storico nelle relazioni internazionali. Da qui le difficoltà del governo tedesco che vediamo ma anche i movimenti coraggiosi, per quanto cauti, di Olaf Scholz. Emerge, nitidamente, una forte coesione dell’Occidente. Ma nel breve periodo, gli interessi di UE, GB e USA – come lo stesso Draghi ha fatto intendere – potrebbero divergere. E prevenire è meglio che curare: questo l’implicito significato di questo incontro bilaterale.

Se pensiamo ai fattori che lei ha appena richiamato, nonché alla Brexit oltre che all’isolazionismo degli USA di Trump, questo rinnovato patto euroatlantico non sembra un fatto scontato. Sul piano pratico, tuttavia, cosa significa?

È vero, non si tratta di un fatto scontato. Ma se pensiamo a ciò che sta avvenendo nel mondo ormai da 10 anni, o l’Occidente ripristina una sua coesione o si condanna a subire la forza espansiva delle autocrazie. La globalizzazione ha cambiato verso già durante il secondo mandato di Obama: il processo di back reshoring delle attività produttive inizia con lui, ed è ciò che dà origine alla fine dell’interdipendenza tecnologica, produttiva ed economica della globalizzazione. Oggi parliamo di decoupling, ovvero di sdoppiamento delle catene del valore. Non è soltanto uno sdoppiamento economico-industriale, è uno sdoppiamento del potere politico: le democrazie liberali da una parte, le autocrazie dall’altra. Ora, è evidente che o le democrazie comprendono che non possono dividersi, o le autocrazie avranno la meglio. Siamo all’inizio di una nuova guerra fredda. Auguriamoci che l’Occidente resti compatto come lo è stato a oggi sulla crisi ucraina.

La questione energetica, punto per altro all’ordine del giorno nei colloqui tra Draghi e Biden, non è un punto delicato, in particolare, per la coesione europea?

Si, lo è. E credo che – come lei giustamente nota – il tema energetico sia più importante di quel che si è detto nei colloqui di questi giorni. Questo perché si tratta di un punto dolente che rischia di far saltare il banco. Cosa può succedere se dovessimo ritrovarci con forniture di gas a singhiozzo per imprese e famiglie? Purtroppo, la dipendenza energetica che diversi stati europei hanno dalla Russia e dal suo gas è molto forte. Credo che Draghi si sia mosso in questo senso per trovare soluzioni europee, ben consapevole che l’emancipazione dalla Russia non può avvenire domani. Ma deve marciare regolarmente. Gli USA, col loro gas, possono darci una mano. Ma si tratta di gas liquido e le criticità non mancano. Lo abbiamo detto più volte, non vi è alternativa alla diversificazione degli approvvigionamenti. Per questo, Draghi ha chiesto a Biden un sostegno alla stabilizzazione della Libia, che può essere un enorme fornitore di gas e petrolio.

L’America ha molte riserve di gas liquido naturale. Eppure, gli ingegneri prevalentemente sostengono che vi siano delle criticità nel ricorso al gnl. Di cosa si tratta?

Intanto, ragionando in base alle politiche programmatiche, consideriamo che il gas ci serve da qui al 2050 per gestire la transizione verso l’energia pulita. E che, quindi, progressivamente ne utilizzeremo sempre di meno. Va anche detto che il processo di transizione non può che essere accelerato da questa situazione. A ogni modo, bisogna evitare di passare dalla dipendenza dal gas russo alla dipendenza dal gnl. Al di là dei costi – il gnl è decisamente più caro – il processo è piuttosto complesso. Il gas viene prima liquefatto a temperature molto basse (160 gradi sottozero), poi viene trasportato e in ultimo viene rigassificato. Per il momento, il 13,1% del gas che consumiamo arriva sottoforma di gnl, in prevalenza dal Qatar. Arriverà, com’è noto, anche dagli USA. Questo processo è costoso non solo a livello economico ma anche di impatto ambientale, facendo ricorso alla tecnica estrattiva del fracking (o fratturazione idraulica) che comporta qualche rischio sismico. Mentre, nell’immediato, contiamo di aumentare le forniture di gas dagli altri partner (Algeria e Azerbaijan in particolare), dobbiamo rilanciare in modo deciso tutti i progetti di transizione energetica: è questa l’unica strada per diventare autonomi. Peraltro, i continui rincari delle bollette energetiche per famiglie e imprese stanno compromettendo i rimbalzi positivi dell’economia, in quasi tutti gli stati membri.

Vi è poi il rischio di un’altra crisi umanitaria in Africa per via del grano ucraino bloccato. È evidente che l’Europa non si può permettere un’altra crisi e un’altra migrazione di massa. In questo momento, andremmo in tilt. Cosa si sono detti Draghi e Biden in merito?

Sul tema grano ucraino, Draghi ha chiesto aiuto a Biden per svincolare le forniture bloccate dai russi nei porti ucraini. E, secondo fonti italiane, Biden ha riconosciuto apertamente questa urgenza. Vi è poi anche il bisogno economico dell’Ucraina di far ripartire le esportazioni di grano. Allarghiamo però il discorso: già al tempo del G7 in Cornovaglia (giugno 2021), si diceva che Draghi e Biden avessero condiviso un’idea di investimenti importanti in Africa con l’obiettivo di portarvi sviluppo, di calmierare i processi migratori – onde evitare appunto un’Europa in difficoltà in questo senso – e di non lasciare alla Cina il completo dominio a sud del mediterraneo. Spero, in linea con questa ipotesi, che le intenzioni di USA e UE vadano in questa direzione. Non possiamo più permetterci di trascurare il nostro sud.