Epatite nei bambini: colpa di un attacco congiunto da parte di un adenovirus e di Sars-CoV-2?

L'ipotesi, avanzata per la prima volta da due immunologi pediatri, parte dal frequente riscontro di entrambe le infezioni nei piccoli pazienti alle prese con l'infiammazione acuta del fegato. E rafforza l'importanza della campagna vaccinale

Epatite nei bambini: colpa di un attacco congiunto da parte di un adenovirus e di Sars-CoV-2?
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Bambino ricoverato in pediatria

Non è ancora una conclusione definitiva. Ma tra le varie ipotesi finora formulate, è considerata la più attendibile. Gli oltre 450 casi di epatite riscontrati nei bambini - in diversi Paesi europei, nel Regno Unito, in Giappone, Israele e negli Stati Uniti - potrebbero avere un comune denominatore. Ovvero la pregressa esposizione a due diversi virus: Sars-CoV-2 e un adenovirus. Una condizione che potrebbe aver provocato una risposta immunitaria esagerata a livello del fegato, al punto da richiedere in alcuni casi anche il trapianto dell’organo .

Epatiti nei bambini ancora senza risposta

L’ipotesi emerge da un articolo pubblicato sulla rivista «The Lancet Gastroenterology & Hepatology» e firmato da due tra i massimi esperti nel campo delle malattie autoimmuni dei più piccoli: Petter Brodin (docente di immunologia pediatrica all’Imperial College di Londra) e Moshe Arditi (direttore del centro di ricerca sulle malattie infettive e immunologiche pediatriche del Cedars Sinai Medical Center di Los Angeles). I ricercatori sono partiti dalle poche certezze disponibili: l’assenza di infezioni provocate da uno dei virus dell’epatite e l’elevata frequenza della positività all’adenovirus (72 per cento) riscontrata soprattutto tra i pazienti del Regno Unito. Un aspetto, quest’ultimo, che da solo non offre una risposta al «mistero» dell’aumento delle epatiti che si sta registrando tra i bambini in diverse aree del Pianeta. Ma che merita quantomeno di essere approfondito.

Attenzione puntata su un «superantigene» rilasciato da Sars-CoV-2

I due esperti hanno provato a fare luce sulle origini di questa problematica sanitaria mettendo assieme i dati di positività all’adenovirus e quelli a Sars-CoV-2. Le poche informazioni finora disponibili - come quelle provenienti da Israele - hanno svelato che un elevato numero dei bambini alle prese con questa epatite era entrato in ospedale con un tampone positivo. O era stato infettato dal coronavirus nei due mesi precedenti. Da qui l’ipotesi. A provocare l’infiammazione acuta del fegato potrebbe essere proprio la persistenza di Sars-CoV-2 nel tratto gastrointestinale dei più piccoli. Un aspetto non raro che, come descritto in questo studio pubblicato su «The Journal of Clinical Investigation», potrebbe determinare un rilascio prolungato di particelle virali nell’intestino. Tra queste, secondo i due esperti, ci sarebbe un «superantigene»: ovvero una proteina o parte di essa contro cui il nostro sistema immunitario reagisce in maniera esagerata e spropositata. Questa ipotesi era già stata avanzata per spiegare i casi di sindrome infiammatori multisistemica (Mis-C) registrati in alcuni bambini contagiati dal coronavirus. Ed è stata ora rispolverata tenendo conto che l’infezione da adenovirus - piuttosto frequente tra i bambini immunodepressi, anche se da sola finora mai dimostratasi in grado di provocare epatiti come quelle osservate nelle ultime settimane - è nota per determinare una ipersensibilità delle nostre difese nei confronti di questi antigeni.

I consigli degli esperti

L’adenovirus, secondo quanto teorizzato da Brodin e Arditi, sarebbe dunque il «detonatore» dell’epatite nei bambini recentemente contagiati da Sars-CoV-2. Un’ipotesi che, se confermata, darebbe ulteriore sostanza all’efficacia della profilassi vaccinale anche tra i più piccoli. E di cui tenere conto a maggior ragione in un Paese come l’Italia, in cui l’adesione alla campagna di immunizzazione rivolta ai bambini (5-11 anni) continua a far registrare numeri troppo bassi. «Nella situazione attuale - concludono i due esperti - suggeriamo che nei bambini alle prese con una epatite acuta si ricerchi la persistenza di Sars-CoV-2 nelle feci e l’eventuale eccessiva presenza dell’interferone gamma»: citochina prodotta dalle cellule del sistema immunitario in risposta a una infezione. La contemporanea presenza di questi due fattori potrebbe essere la spia della presenza di questo superantigene, in bambini già esposti anche all’adenovirus. «Di fronte a questa evidenza - è la raccomandazione finale - dovrebbe essere presa in considerazione l’ipotesi di trattare questi pazienti con farmaci immunosoppressori».

 

Twitter @fabioditodaro