Guerra in Ucraina

L'esperto di esercito russo a Rainews.it: "Putin non si fermerà al Donbass ma non userà l'atomica"

Francesco Randazzo è uno dei principali conoscitori in Italia delle forze armate di Mosca e in questa intervista spiega quali strategie hanno seguito finora: dall'uso degli Spetsnaz ai miliziani ceceni, dalle armi impiegate all'assedio di Mariupol

L'esperto di esercito russo a Rainews.it: "Putin non si fermerà al Donbass ma non userà l'atomica"
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La parata militare del Giorno della Vittoria, che si tiene ogni anno il 9 maggio nella Piazza Rossa, a Mosca

A più di due mesi dall’inizio della guerra in Ucraina, di fronte a uno scenario militare in continua mutazione, e soprattutto davanti al continuo e sempre più massiccio invio di armi da parte dell'Occidente all'esercito di Kiev, ci soffermiamo in quest'intervista su alcuni aspetti dell’esercito russo, per capire il senso delle sorti che il conflitto sta prendendo; per comprendere come è andato avanti sinora; e, in prospettiva, in che modo sono state condotte fino a oggi le operazioni belliche. Per farlo, ci avvaliamo della competenza del professor Francesco Randazzo, che insegna Storia delle relazioni internazionali presso l'Università degli studi di Perugia, Dipartimento di Scienze Politiche.

Professor Randazzo, ci dia qualche dato - corredato di cifre - per avere un’idea complessiva e generica di che cosa sono, oggi, le forze armate di Mosca…

Caduta l’Unione Sovietica, le forze armate russe hanno accolto al loro interno il grosso dell’eredità materiale e giuridica delle unità militari dell'Urss. Oggi la Russia risulta essere la seconda potenza militare mondiale dopo gli Stati Uniti e ha 900 mila effettivi che giungono a 2 milioni se si includono anche i riservisti e oltre 50.000 mezzi corazzati o blindati. Tra i diversi distretti militari in cui è articolato l’esercito, vi sono il quartier generale a San Pietroburgo, con 34 mila soldati e circa 300 carri armati, a Rostov con oltre 100 mila militari e tremila carri armati, a Ekaterinburg con 30 mila soldati e 1200 carri armati, e infine Chabarovsk con oltre 4.500 carri armati. La Marina militare è suddivisa in quattro flotte e una flottiglia e oggi conta circa 200 mila unità e oltre 900 navi. Il suo dispiegamento avviene in diverse aree geografiche per cui abbiamo una Flotta del Nord, una del Pacifico, una del Baltico, una del Mar Nero e una del Caspio. Infine l’Aeronautica può contare su una potenza di circa 200 mila uomini attrezzati con più di 4.000 mezzi, tra bombardieri, caccia ed elicotteri. Oltre seimila sarebbero invece le testate nucleari possedute dai russi.

È un esercito moderno e tecnologico? O gli investimenti hanno riguardato solo le armi più sofisticate e non le strutture, gli apparati e le macchine da guerra?

È un esercito vecchio stampo, seppur dotato di sofisticate apparecchiature moderne anche se dimostra di non saperne sfruttare appieno le potenzialità.

Quando, lo scorso 24 febbraio, è cominciata “l’operazione militare speciale”, come la chiamano a Mosca, i generali russi pensavano davvero di conquistare tutta l’Ucraina in pochi giorni?

È forse la ragione principale per cui il presidente Putin ha deciso di allontanare alcuni suoi stretti consiglieri. Basti pensare a Sergei Beseda, e il suo vice, Anatoly Bolukh, rei a suo avviso di non aver saputo valutare obiettivamente la reale capacità di risposta degli ucraini all’attacco russo.

Quale tattica hanno seguito nelle prime settimane di guerra?

L’iniziale schieramento di chilometri di colonne di blindati diretti verso la capitale Kiev aveva l’obiettivo di scatenare smarrimento e condizionare psicologicamente non solo il governo ucraino ma anche l’opinione pubblica internazionale. La tattica militare comunque è stata preceduta da settimane di attacchi informatici e cibernetici con lo scopo di dar seguito a quella guerra asimmetrica professata nella dottrina militare russa del 2014.

Lanciarazzi termobarici multipli in dotazione all'esercito russo Evgeny Biyatov - Host Photo Agency via Getty Images
Lanciarazzi termobarici multipli in dotazione all'esercito russo

Le forze mobilitate (di terra, navali e aeree) erano sufficienti per la blitzkrieg (guerra lampo, ndr) che pare avesse in mente Putin?

L’idea occidentale (fallace) è forse che Putin abbia avuto in mente una blitzkrieg. Una guerra lampo non si fa lasciando per giorni e giorni reparti militari lungo strade ad attendere dei comandi, non si fa bombardando saltuariamente qua e là tentando di spaventare il nemico. Molto probabilmente, invece, si è trattato di un altro approccio militare ovvero una guerra tesa al logoramento del nemico e al rovesciamento del regime in corso, ovvero “denazificare” l’Ucraina, tattica in realtà seguita dagli statunitensi nei vari conflitti internazionali. In questo caso, la Russia sta seguendo lo stesso approccio alla guerra utilizzato dagli statunitensi.

Perché l’esercito russo non è riuscito a prendere Kiev? È stato solo merito della tenace resistenza ucraina? Con un dispiegamento di forze maggiore, sarebbe stato possibile?

Impossibile immaginare di conquistare una capitale attraverso un uso a intermittenza di militari, di missili e di distruzione di alcune zone della città. Mosca paga non solo una limitata capacità numerica delle proprie truppe militari ma anche una mancanza di coordinamento efficace ad espugnare una città che è sede del governo ufficiale. Un’azione di conquista della capitale avrebbe necessitato di una forza militare prorompente di mezzi e uomini. Cosa che invece l’ampio dispiegamento su più fronti in cui si è dovuto dividere l’esercito russo non ha permesso di fare. Ricordiamo che la frontiera ucraina con Russia e Bielorussia ha un perimetro di circa 2500 km lineari.

Finora l’esercito di Mosca ha seguito la cosiddetta “dottrina Gerasimov”, dal nome del generale Valerij Vasil'evič Gerasimov, attuale capo di Stato maggiore generale delle forze armate russe (e al centro negli ultimi giorni di una specie di "giallo" su un suo eventuale ferimento durante i combattimenti in corso nel Donbass). In cosa consiste questa dottrina?

Questa dottrina, come spiega molto bene il colonnello Nicola Cristadoro nel suo libro La dottrina Gerasimov e la filosofia della guerra non convenzionale nella strategia russa contemporanea, consiste in un uso combinato in guerra di forza militare, metodi diplomatici, economici e politici con altri sistemi eminentemente non militari. Questi ultimi, in realtà, assumerebbero un ruolo centrale e preponderante accanto all’utilizzo di tecnologia avanzata (droni e armi robotizzate in genere).

Si può dire che in Ucraina l’applicazione di questa dottrina abbia fallito?

Ad oggi, in Ucraina abbiamo assistito a una guerra fatta nel vecchio stile novecentesco. Bombe e carri armati in azione, avanzate e ritirate strategiche, guerra quartiere per quartiere, ecc. È vero, qualcosa di diverso è accaduto (come l’utilizzo di droni, di infowar, di attacchi cyber, dell’utilizzo dei social) ma sembra che molti aspetti della dottrina Gerasimov non siano stati particolarmente utilizzati, vedi ad esempio l’aspetto legato alla tempistica che in Ucraina si è scontrata con la forte resistenza nazionale.

Esercitazioni militari dell'esercito russo a Brest, in Bielorussia Ansa/EPA/RUSSIAN DEFENCE MINISTRY PRESS SERVICE
Esercitazioni militari dell'esercito russo a Brest, in Bielorussia

Quando le sorti della guerra hanno voltato le spalle a Mosca e l’esercito russo è stato costretto ad una inattesa ritirata, con il tragico strascico di morte e distruzione (i massacri di Bucha e Borodyanka, la cancellazione dei centri urbani nella parte nordorientale del Paese e le violenze indicibili alla popolazione civile), è cominciata una nuova fase, nella quale siamo tuttora immersi: la conquista del Donbass. È un obiettivo di più facile portata?

La questione del Donbass è chiaro che rappresenta la chiave di volta di tutta la vicenda che vede i russi ingaggiare uno scontro con l’Ucraina ma appare riduttivo immaginare che l’obiettivo di Mosca fosse solo conquistare questa regione. Più trascorre il tempo e più sembra realistico pensare che i piani russi siano ben altri. Destabilizzare o conquistare non è l’unico obiettivo del Cremlino, che sembra puntare invece a neutralizzare e controllare un ampio territorio che, se non addirittura comprenda tutta l’Ucraina, lasci agli stessi ucraini poche, innocue e strategiche regioni.

Prima citava un approccio teso al “logoramento del nemico”: quanto è concreto, quindi, il rischio che si arrivi a questo tipo di guerra, una guerra lunga e appunto "di logoramento”?

Più che un rischio, sta diventando una tragica realtà. L’aiuto militare offerto da Stati Uniti e Paesi occidentali non solo permetterà all’Ucraina di portare avanti il conflitto senza cadere sotto le pressioni militari russe ma determinerà una situazione di instabilità dell’area geografica tale da compromettere qualsiasi tentativo diplomatico di portare la pace.

Per prendere il Donbass, Putin ha riorganizzato le truppe di Mosca sotto un nuovo comandante, il generale Aleksandr Vladimirovich Dvornikov, il cosiddetto “macellaio di Aleppo”: protagonista della battaglia per la conquista della città siriana, Dvornikov è famoso per la sua particolare crudeltà. Cosa ci dice questa nomina?

Una scelta in linea con il progetto di Putin, che è quello di “impressionare” il nemico con personalità militari che hanno contribuito a rafforzare l’idea di una Russia capace di giocare sullo scacchiere internazionale con più incisività. L’intervento in Siria, da questo punto di vista, ha manifestamente dato un vantaggio notevole al Cremlino nell’accreditarsi come attore di rilievo nel Medio Oriente, a dispetto di un atteggiamento europeo vagamente compromesso dalle differenti soluzioni proposte dagli Stati e dal difficile posizionamento della diplomazia statunitense in ambito arabo-islamico.

Putin è disposto a prendere Mariupol con la classica battaglia “strada per strada”?

La presa di Mariupol oggi avviene attraverso la stretta a morsa della città lasciata isolata, senza rifornimenti e senza vie di uscita per chi l’abita.

Un bombardiere strategico russo Tupolev Tu-160 e caccia a reazione Su-35S volano in formazione Getty
Un bombardiere strategico russo Tupolev Tu-160 e caccia a reazione Su-35S volano in formazione

L’obiettivo è ora l’acciaieria Azovstal, che nasconde nei suoi cunicoli e sotterranei le centinaia di civili di Mariupol che non sono riusciti a fuggire dalla città assediata, nonostante i corridoi delle ultime ore. Quali previsioni si possono fare su questa “battaglia urbana”?

Tutto dipenderà da quanto Putin vorrà fare nelle prossime settimane. Se abbandonerà il progetto di attaccare e indebolire su più fronti l’Ucraina, concentrandosi solo sul Donbass, è possibile che il conflitto avrà una durata relativamente più lunga, dovuta in parte alla resistenza ucraina che, come abbiamo visto nell’attacco a Kherson, sembra possa avvalersi ancora di una intelligence particolarmente attiva a cui i Paesi stranieri (l’Occidente) possono dare una mano importante.

Parlando di assedi, vengono in mente altri celebri e tragici episodi, i cui nomi sono legati a momenti-clou di guerre del passato: Leningrado, Stalingrado, Sarajevo. Sarà così anche a Mariupol? Ci sarà un assedio lungo e sfiancante?

In questo caso ci troviamo nell’ambito di un contesto in cui sono gli ucraini a doversi difendere e non i russi o i bosniaci. Inoltre, altro fatto particolarmente importante, è l’impossibilità di organizzazioni internazionali a intervenire in difesa di un alleato. L’Ucraina da questo punto di vista non può contare su aiuti diretti seppure il paragone sia calzante in vista di un concetto, la guerra patriottica, molto caro ai russi e ai bosniaci, così come agli ucraini. La durata dell’assedio dipenderà dai tempi russi e dalla capacità, ormai minimale, degli ucraini di resistere. Così come sono messi i fatti, l’assedio è destinato a durare poco.

A questa guerra hanno partecipato anche gli Spetsnaz, i corpi speciali delle armate russe: qual è stato il loro ruolo e come è cambiato negli ultimi conflitti a cui la Russia ha preso parte?

Spetsnaz, dal russo voyska spetsialnogo naznacheniya è un termine il cui significato letterale è “forze speciali di scopo”. Storicamente si fa riferimento a unità militari speciali controllate dal servizio di intelligence militare e viene usato per indicare, in modo generico, corpi speciali ex sovietici, ora russi. Sarebbero presenti migliaia di Spetsnaz in Ucraina che operano nell’ombra, al fianco dell’esercito russo, informandolo sui bersagli sensibili. Si nascondono tra la popolazione, una sorta di infiltrati, sabotatori, che è difficile stanare e che, molto probabilmente, avrebbero fornito indicazioni utili ai vertici militari russi sin dalle prime ore del conflitto. Negli ultimi anni il loro ruolo sarebbe cresciuto in maniera considerevole e il governo russo avrebbe trovato queste forze molto utili, interfacciandole con le unità dei servizi segreti con cui opererebbero in modo stretto.

Esercitazioni militari dell'esercito russo Ansa/EPA/RUSSIAN DEFENCE MINISTRY PRESS SERVICE
Esercitazioni militari dell'esercito russo

Si è parlato molto anche dei miliziani ceceni capeggiati da Ramzan Kadyrov, “l’uomo di Putin” a Groznyj. Sulla base delle conoscenze che abbiamo, di cosa si sono occupati finora nel conflitto cominciato lo scorso 24 febbraio?

Le armate schierate da Kadyrov sono state stanziate lungo la periferia di Kiev, dove i russi hanno avuto bisogno di un supporto efficace e immediato. Nei video che sono stati postati i militari ceceni appaiono con mezzi poco più che rudimentali, come i pickup con le mitragliatrici, come si vede nei conflitti mediorientali, o ancor peggio, nelle immagini dei guerriglieri dello Stato islamico dell’ISIS. Putin li ha arruolati per l’abilità che questi soggetti hanno nel combattimento corpo a corpo e nelle battaglie urbane. Una volta lasciata Kiev assieme ai russi, i ceceni si sono maggiormente concentrati sul fronte di Mariupol ed è lì che attualmente starebbero combattendo. Nelle città sul Mar d’Azov i ceceni stanno confermando la loro fama ma con perdite sul campo importanti, quale quella di Ruslan Geremeyev, gravemente ferito a fine marzo e costretto a ritirarsi dal teatro di guerra.

Putin ha più volte minacciato (l’ultima occasione, una settimana fa) di ricorrere ad “armi mai viste” se vi saranno interferenze esterne (leggi Nato) nello scontro diretto con Kiev. Cosa intende in particolare il presidente russo? Dobbiamo temere davvero l’utilizzo di ordigni nucleari?

Il presidente Putin deve tenere sotto controllo l’opinione pubblica russa che sta piangendo le migliaia di giovani soldati russi inviati a morire in Ucraina. La sua retorica bellica ha tre capisaldi: rispolverare continuamente la “sindrome del 22 giugno” (in riferimento al 22 giugno 1941, data d'inizio dell'Operazione Barbarossa con cui i nazisti e le altre potenze dell'Asse invasero l'Unione sovietica, ndr); condannare la Nato come organizzazione ostile ai russi; ventilare la guerra patriottica come unica soluzione per allontanare i nemici dal Paese. In base a questa riflessione appare evidente che i suoi sono solo proclami tesi a rassicurare il suo popolo più che minacce reali per l’Occidente e gli Stati Uniti.

Carri armati russi al confine con l'Ucraina Gettyimages
Carri armati russi al confine con l'Ucraina

E, sempre la scorsa settimana, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha detto che il rischio di una terza guerra mondiale è concreto. Dobbiamo preoccuparci?

Il ministro Lavrov sventola lo spauracchio di una guerra atomica, la terza guerra mondiale, sapendo di compiacere in questo il suo leader Putin. Il presidente russo non ha la benché minima voglia di scatenare un conflitto mondiale, che vedrebbe inevitabilmente soccombere anche la Russia. Il fatto veramente grave è che la patria di Pietro il Grande ha perso ogni freno diplomatico-interlocutorio lanciandosi in una guerra a suon di “paroloni” contro l’Occidente e soprattutto gli Stati Uniti. Questi ultimi, tra l’altro, non sono esenti da responsabilità evidenti in merito allo scadimento di un linguaggio politico-diplomatico che ha avuto il suo punto di non ritorno quando, rispondendo alle domande di un giornalista, il presidente Biden ha affermato che "sì, Putin è un assassino”: era il non lontano marzo 2021.

C’è una data segnata sul calendario russo, e più volte rievocata dallo stesso Putin, che potrebbe portare a un ulteriore cambio di passo nella guerra russo-ucraina: il prossimo 9 maggio, anniversario della vittoria nella “Grande guerra patriottica”, come in Russia viene indicata la Seconda guerra mondiale, in cui l’Unione sovietica respinse l’aggressione nazista della Wehrmacht, contribuendo alla capitolazione di Hitler. In quel giorno, una mastodontica parata militare mette in mostra l’orgoglio militare russo davanti agli occhi del mondo. Dal momento che si tratta di un appuntamento ormai vicino, cosa possiamo immaginare che accada in quella data? Cosa racconterà Putin al suo popolo? E, soprattutto, è ipotizzabile che per il 9 maggio il Donbass sia nelle mani dei russi?

L’ipotesi che il Donbass possa cadere presto nelle mani dei russi è verosimile e fondata. Il problema è quanta parte dell’Ucraina cadrà in mano ai russi e quanto risentimento tutto ciò determinerà in un popolo che ha dato a questo conflitto un senso prettamente “patriottico”. Non credo che la Russia possa trionfalmente festeggiare un 9 maggio in sicurezza e con la garanzia di una vittoria totale. Già in questi giorni il fatidico proclama di Putin, che quella data avrebbe segnato la fine dell’“operazione speciale” di denazificazione dell’Ucraina, appare una ennesima frase ascrivibile alla retorica di guerra russa. Ma appare ormai chiaro che Putin, se vorrà mantenere il potere, dovrà far leva su alcuni suoi cavalli di battaglia: lo scontro di civiltà con l’Occidente e gli Stati Uniti e la liberazione della Russia dai pericoli portati fino alle sue frontiere dalla Nato (ergo Stati Uniti). Su questa base, e solo su questa base, potrà continuare a mantenere aperto un filo diretto con il suo popolo. Il leader russo sa che ogni altra opzione sarà foriera di tristi presagi per il suo ruolo nel futuro del paese.

Parata militare del Giorno della Vittoria nella Piazza Rossa a Mosca Getty
Parata militare del Giorno della Vittoria nella Piazza Rossa a Mosca