The Lancet Respiratory Medicine

Long-covid per oltre 1 paziente su 2 tra chi è andato in ospedale

L'esito di uno studio cinese che ha registrato la prevalenza dei postumi dell'infezione fino a due anni dopo. Affaticamento, dolori muscolari e disturbi del sonno i problemi più frequenti

Long-covid per oltre 1 paziente su 2 tra chi è andato in ospedale
(Ansa)
Reparto di terapia intensiva covid

Per tutti loro, sono passati almeno due anni dall’infezione da Sars-CoV-2 e dal ricovero per l’evoluzione di Covid-19. Un tempo sulla carta ragionevole per considerare l’«incontro» con la malattia come qualcosa che fa parte del passato. Ma che nel caso di questa pandemia non sempre è sufficiente. Anzi. Più della metà dei pazienti contagiatisi nel corso della prima ondata, infatti, registrerebbe almeno un sintomo riconducibile alla malattia. Questa l’istantanea che emerge da uno studio pubblicato sulla rivista «The Lancet Respiratory Medicine»: il primo a monitorare le condizioni di oltre mille persone a due anni e più dall’infezione.

Long-Covid: sintomi per oltre 1 paziente su 2

Un simile follow-up - delle indagini finora condotte per valutare la diffusione del Long-Covid, nessuna era arrivata a un periodo di osservazione così lungo - è stato possibile eseguirlo in Cina. Nello specifico a Wuhan, città da cui Sars-CoV-2 ha iniziato un viaggio che lo ha poi portato in tutto il mondo. I ricercatori hanno valutato nel tempo (6, 12 e 24 mesi dopo l’infezione) le condizioni di quasi 1.200 persone che, tra il 7 gennaio e il 29 maggio 2020, sono state costrette al ricovero al Jin Yin-Tan Hospital del capoluogo della regione Hubei. Il monitoraggio ha comportato l’esecuzione di diversi test, fisici e psicologici: dalla camminata per sei minuti agli esami di laboratorio, fino a una serie di questionari mirati a valutare la qualità della vita e lo stato di salute mentale. Escludendo altri fattori potenzialmente in grado di condizionare la comparsa di sintomi, dall’età alla presenza di altre malattie, i ricercatori sono arrivati alla conclusione che il 55 per cento delle persone arruolate aveva almeno un sintomo a due anni dall’infezione: l’affaticamento, la debolezza muscolare e i disturbi del sonno i più frequenti. Condizioni che riguardavano un numero ancora più alto di persone sei e dodici mesi dopo la guarigione. Ma rimaste comunque molto diffuse fino a due anni dopo e in grado di condizionare in maniera significativa la qualità della vita.

I sintomi più frequenti

Rispetto al resto della popolazione, i ricercatori hanno registrato tassi più elevati anche di altre condizioni: dolori articolari, palpitazioni, vertigini e mal di testa. Ma anche ansia e depressione che - assieme alla difficoltà di concentrazione e attenzione, perdita di memoria, disturbo post-traumatico da stress (Ptsd) - sono quelle che svaniscono più lentamente. Un mix di sintomi - fisici e psicologici - che oggi la comunità scientifica fa rientrare tra le manifestazioni del Long-Covid. Una sequela di problematiche che, come emerge da un’ampia metanalisi di prossima pubblicazione, si manifestano soprattutto nelle donne. Ma da cui non sarebbero esenti nemmeno i più piccoli. Con sintomi di entità e durata non sempre correlate alla gravità della malattia.

Quali le possibili cause del Long-Covid?

I polmoni rappresentano gli organi più colpiti dall'infezione. La malattia, nei casi più gravi, può innescare una forte risposta infiammatoria in grado di dar vita a fenomeni di trombosi. Questi, oltre a rappresentare un rischio nella fase acuta dell'infezione, possono nel tempo lasciare il segno sugli organi colpiti. Un simile aspetto, unito a una possibile reazione autoimmune indotta dal virus, rientra tra i principali indiziati alla base della Long-Covid. Come spiega l'Istituto Superiore di Sanità - che ha avviato un progetto per monitorare gli effetti a lungo termine dell’infezione da Sars-CoV-2 e mettere a punto una rete di centri per la gestione di queste problematiche - il virus potrebbe inoltre «presentare alcune similitudini con componenti dell’organismo e far generare anticorpi che possono reagire anche contro i nostri organi o tessuti, provocando le manifestazioni cliniche descritte». Oltre ai polmoni e all'apparato muscolo-scheletrico, il cuore, i reni e il cervello sembrano essere i distretti più esposti al rischio di una lunga sequela della malattia.

Long-Covid: nuove varianti, sintomi diversi?

Ottenuto questo primo riscontro, ora serviranno altri studi per andare oltre i limiti della ricerca cinese: rappresentati principalmente dall’aver coinvolto pazienti ricoverati soltanto in un unico centro e dalla mancanza di un gruppo di controllo costituito da persone reduci da un periodo di degenza ospedaliera per altre cause (fondamentale per ascrivere al Covid-19 le responsabilità dei postumi registrati). Ciò che rimane da capire è anche quanto sia cambiata la frequenza con cui le conseguenze della malattia si manifestano con l’aggiornarsi delle varianti. Lo studio cinese ha coinvolto infatti soltanto persone colpite dalla forma originaria del virus. Se con Alfa e Delta la tipologia delle sequele sembra essere rimasta pressoché identica, lo scenario potrebbe nel tempo essere mutato in seguito alla diffusione della campagna vaccinale (che ha reso meno grave il decorso dell’infezione) e all’arrivo della variante Omicron.