Le stragi di mafia di trent'anni fa

"Mio padre fu tradito e lasciato solo". Fiammetta Borsellino su via D'Amelio

Il j’accuse di Fiammetta Borsellino sull'attentato del 19 luglio 1992 a Palermo. Intervista a Vincenzo Musacchio

"Mio padre fu tradito e lasciato solo". Fiammetta Borsellino su via D'Amelio
Ansa
Fiammetta Borsellino

Alla vigilia del trentesimo anniversario della strage di via D’Amelio Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso, rilascia una importante intervista al settimanale “L’Espresso”.  In questa intervista dice la sua su magistrati e depistaggi. «Quando ho denunciato la solitudine di mio padre e il tradimento da parte dei suoi colleghi ho sentito il gelo intorno a me» . Sono dichiarazioni forti e dure. Ne discutiamo, in questa intervista, con il criminologo Vincenzo Musacchio.

Alla vigilia dei trent’anni dalla strage di via D’Amelio, qual è il lascito più prezioso di Paolo Borsellino?
A me piace ricordarlo non solo per le grandi doti di magistrato ma soprattutto per il contributo di educazione alla legalità dei più giovani. Resterà traccia della sua onestà, della sua dedizione al lavoro e del suo alto senso dello Stato. Restano poche persone che cercano di portare il suo esempio e quello di tantissime altre vittime di mafia nelle scuole e nella società civile evitando che si parli di loro solo nelle ricorrenze e poi ritorni l’oblio. Io lo ricordo spesso ai ragazzi per una frase che lui rivolge proprio a loro: “Se la gioventù le negherà il consenso, anche l'onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo.”

Fiammetta Borsellino ha dichiarato all’Espresso (in edicola da ieri) che diserterà le cerimonie che ricorderanno il padre, lei che ne pensa? Condivide la sua scelta?
Condivido la sua scelta e aggiungo che ha tutto il diritto di farlo. Dice bene quando afferma che in tanti si sono appropriati indebitamente della memoria del padre. In tanti l’hanno anche usata per tornaconti personali. Fiammetta conosce la solitudine del padre perché l’ha vissuta in prima persona e conosce anche i tradimenti dei tanti pseudo amici di Borsellino. Da parte mia massima stima e condivisione poiché so cosa significa perdere il padre nell’adempimento del suo lavoro.

A prescindere al pensiero di Fiammetta, lei cosa pensa delle cerimonie che ogni anno ricordano le tante vittime di mafia?
A quelle ufficiali non ho mai partecipato. Io vado nelle scuole con i ragazzi e negli ultimi anni vado in quelle elementari, dove trovo tanta spontaneità e innocenza. Queste cerimonie spesso sono passerelle dove si recita un copione e dove la verità e la sua ricerca sovente latitano. Per questo ammiro la spontaneità e la denuncia di Fiammetta. Mi lascia sgomento quando ho sentito dirle che dopo aver denunciato per la prima volta pubblicamente, la solitudine di suo padre e il tradimento da parte dei suoi colleghi, ha sentito il gelo intorno a lei. In fondo ha affermato la verità. Non solo per via D’Amelio ma anche per la strage di Capaci e per quella di via Pipitone dove fu ucciso Chinnici e per tante altre ancora. Francamente il solo fatto che per accertare la verità su via D’Amelio siamo al Borsellino quater indica un totale fallimento dello Stato e di tutte le sue componenti coinvolte nell’accertamento della verità. Borsellino e lo stesso Falcone sono stati mandati al macello perché isolati e abbandonati da tutti, in primis, da quello Stato che avrebbe dovuto proteggerli ad ogni costo.

Continuiamo sulle dichiarazioni di Fiammetta Borsellino. Insiste spesso sul tradimento nei confronti di suo padre e di Giovanni Falcone, cosa pensa in merito?
Mi sembra che lei lo abbia chiarito molto bene. Il suo parere, che io reputo legittimo, è che le inchieste che hanno riguardato suo padre hanno rivelato quanto il lavoro investigativo sia stato mal condotto dagli organi inquirenti. Secondo lei il percorso verso la verità è stato precluso anche da alcuni colleghi di suo padre e di Giovanni Falcone. Per questo parla non a caso di solitudine e di tradimento. La mia opinione, che ovviamente resta tale, è che entrambi stavano per scoprire verità sconvolgenti che andavano ben oltre la mafia. Pronto allora il colpevole dopo pochi mesi dall’attentato: Vincenzo Scarantino. Un analfabeta che sembra non sapesse leggere e che vivesse di furti d’auto. Da quel momento le indagini entrano nel più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana. Sedici anni, contrassegnati dalla complicità di molti, dall’incompetenza e dalla superficialità della macchina giudiziaria per ben nove gradi di giudizio e dall’incostanza di tanti giudici.

Giovanni Falcone prima e Paolo Borsellino dopo stavano lavorando sul cd. dossier mafia-appalti, che fu archiviato dopo la strage di Capaci e in coincidenza di quella di via D’Amelio, lei cosa pensa di quel dossier?
Non era un’indagine di poco conto poiché emerse per la prima volta l’esistenza di un “comitato d’affari”, gestito da mafia, alcuni esponenti della politica e una parte dell’imprenditoria, di rilievo nazionale, finalizzato alla spartizione degli appalti pubblici in Sicilia. Fu proprio Falcone a confermare che quell’indagine fosse molto importante e che non avesse soltanto valenza “regionale” ma anche un rilievo “nazionale” (Fonte: Alto Commissariato per il Coordinamento della Lotta contro la Delinquenza Mafiosa . “Le infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti pubblici: Atti del convegno-seminario, Palermo, 14-15 marzo 1991. Castello Utveggio, sede del Centro di Ricerche e Studi Direzionali della Regione, Edizioni Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1992, p. 208.). Paolo Borsellino era convinto che la causa della morte di Falcone, ma altresì dell’ex democristiano Salvo Lima, fosse riconducibile anche alla questione degli appalti in odore di mafia in Sicilia e al giro miliardario che ruotava intorno. Confermò le sue convinzioni al giornalista Luca Rossi durante un’intervista pubblicata il 2 luglio del 1992 sul Corriere della Sera. Il nome di Salvo Lima lo aveva già evocato anche Antonio Di Pietro durante la sua testimonianza resa al processo d’appello sulla trattativa Stato-mafia. L’ex magistrato molisano illustrò come ebbe la conferma del collegamento “mafia-affari”.

I fratelli Graviano, condannati quali esecutori della strage di via D’Amelio potrebbero uscire dal 41-bis, cosa pensa di questa eventualità?
Sul 41-bis mi sono espresso più volte e so che il mio pensiero è minoritario ma sono fermamente convinto che questo strumento, voluto fortemente da Falcone, non sull’onda di un’emergenza emotiva ma dopo attento studio sulle strategie di lotta alla mafia, sia uno degli strumenti antimafia più indispensabili. Senza il 41-bis e le confische dei beni, le mafie avrebbero vita facile. Non vi è alcuna forma di violazione dello Stato di diritto poiché da un lato offre la possibilità al condannato di uscire da quel regime iniziando a collaborare con la giustizia e dall’altro ogni singola applicazione del 41-bis è sottoposta all’esame di un giudice in ossequio al principio di legalità e di giurisdizione.

Con chi ha passato l’anniversario di Capaci e con chi passerà quello di via D’Amelio?
Per me non esistono anniversari poiché ogni anno da trent’anni giro le scuole d’Italia e d’Europa. Ho cominciato nel 1992 con Antonino Caponnetto e da allora non ho più smesso.  Per l’anniversario di Capaci ero in una scuola elementare di Termoli e poi in videoconferenza con alcune associazioni antimafia dell’Olanda. Ricorderò Paolo Borsellino e la sua scorta in spiaggia con i ragazzi del Liceo umanistico di Guglionesi al termine di un progetto che si intitola “Legalità Bene Comune”.

Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ’80.  È tra i più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali. Studioso di strategie di lotta al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative a livello europeo.