“Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti” è scritto nel cosiddetto Placito di Capua, il primo documento in lingua volgare italiana. In riferimento ai testi prodotti nel X secolo, quando prese forma la codificazione della futura lingua italiana, non si conosceva - almeno, sino a questo momento - quello che potesse assurgere a dignità letteraria.
Ma ora, dalla Germania, arriva la notizia che storici e umanisti attendevano da tempo: il ritrovamento del più antico testo poetico appartenente alla nostra tradizione letteraria. È il verso “Fui eo, madre, in civitate, vidi onesti iovene” e fu annotato da un monaco tra la fine del IX e l’inizio del X secolo a margine di un manoscritto del secolo VIII (è quindi precedente al Placito capuano), ed ora conservato a Wurzburg.
L’annotazione fu fatta probabilmente a memoria, secondo l’opinione dello storico della lingua italiana Vittorio Formentin, del Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale dell'Università di Udine, e dal paleografo Antonio Ciaralli, dell'Università di Perugia, autori della “scoperta”. Questa "traccia poetica" consiste nel verso iniziale di una chanson de femme, una forma lirica nella quale il canto è intonato da una giovane voce femminile: un genere che ha occupato sicuramente un posto molto importante nell'antica lirica romanza, sopravvissuto fino ad oggi nella poesia popolare moderna di tradizione orale.
Si tratta dunque di un prezioso contributo alla ricostruzione di quello che dev'essere stato il prototipo altomedievale (secoli VI-IX) della lirica romanza, la cui genesi è controversa a causa della mancanza, finora almeno, di testi superstiti.