L'intervista all'argentina Telam

Papa: "L'Onu è impotente di fronte alla guerra". Poi: "Su Putin sono stato manipolato"

Francesco all'agenzia argentina risponde sulla guerra in Ucraina e la corsa agli armamenti, sui "peccati dell'informazione" e sul suo pontificato. E dice: "Ho raccolto tutto ciò che mi avevano riferito i cardinali e poi l'ho fatto"

Papa: "L'Onu è impotente di fronte alla guerra". Poi: "Su Putin sono stato manipolato"
AP Photo/Alessandra Tarantino
Papa Francesco durante la recente celebrazione della Santa Messa nella Solennità dei Santi Pietro e Paolo Apostoli

Guerra e corsa agli armamenti, il ruolo dell'informazione nelle guerre e quello dell'Onu, infine un piccolo bilancio del suo pontificato. Papa Francesco risponde a una lunga intervista all'agenzia argentina Telam fornendo concetti chiari sull'attualità difficile che ci circonda.  Prima di tutto la guerra in Ucraina: "Una guerra, purtroppo, è una crudeltà al giorno. In guerra non si balla il minuetto, si uccide. E c'è un'intera struttura di vendita di armi che la favorisce". “Qualcuno esperto di statistiche mi ha detto, non ricordo i numeri, che se non si fabbricassero armi per un anno, non ci sarebbe più fame nel mondo”, sottolinea il pontefice e quindi aggiunge: "Credo sia giunto il momento di ripensare il concetto di 'guerra giusta'. Ci può essere una guerra giusta, c'è il diritto di difendersi, ma il modo in cui il concetto viene usato oggi deve essere ripensato".

“La guerra è una mancanza di dialogo”

Il Santo Padre nell'intervista di Bernarda Llorente ricorda di aver usato fin dal 2014 l'espressione "guerra mondiale a pezzi". "Quello che accade in Ucraina lo viviamo da vicino e per questo ci preoccupiamo, ma pensiamo al Ruanda 25 anni fa, alla Siria 10 anni fa, al Libano con le sue lotte interne o al Myanmar oggi. Quello che stiamo vedendo sta accadendo da molto tempo". "Ho affermato che l'uso e il possesso di armi nucleari è immorale. Risolvere le cose con una guerra significa dire no alla capacità di dialogo, di essere costruttivi, che gli uomini hanno. Questa capacità di dialogo è molto importante. Esco dalla guerra e passo al comportamento comune. Si pensi a quando si sta parlando con delle persone e, prima che finisci, ti interrompono e ti rispondono. Non sappiamo ascoltarci. Non permettiamo all'altro di dire la sua. Bisogna ascoltare. Ascoltare quello che dice, ricevere, dichiariamo guerra prima, cioè interrompiamo il dialogo. Perchè la guerra è essenzialmente una mancanza di dialogo". E racconta Bergoglio: “Quando sono andato a Redipuglia nel 2014, per il centenario della guerra del 1914, ho visto l'età dei morti nel cimitero e ho pianto”, ricorda. "Quel giorno ho pianto. Il 2 novembre, qualche anno dopo, sono andato al cimitero di Anzio e quando ho visto l'età di quei ragazzi morti, ho di nuovo pianto. Non mi vergogno di dirlo. Che crudeltà! E quando è stato commemorato l'anniversario dello sbarco in Normandia, ho pensato ai 30.000 ragazzi rimasti senza vita sulla spiaggia. Aprivano le barche e ordinavano loro: 'scendere, scendere', mentre i nazisti li aspettavano. È giustificabile, questo? visitare i cimiteri militari in Europa aiuta a rendersene conto".

Su Putin i media hanno manipolato le mie parole

Soffermandosi sulle manipolazioni dei media, Bergoglio afferma che "prendono una frase fuori dal contesto e ti fanno dire ciò che non intendevi dire. In altre parole, bisogna fare molta attenzione". "Per esempio, con la guerra, c'è stata un'intera controversia per una mia dichiarazione su una rivista dei gesuiti: ho detto che 'qui non ci sono né buoni né cattivi' e ho spiegato perché. Ma hanno preso questa dichiarazione da sola e hanno detto: 'il papa non condanna Putin!'". "La realtà - spiega il pontefice - è che lo stato di guerra è qualcosa di molto più universale, più serio, e non ci sono buoni e cattivi. Siamo tutti coinvolti e questo è ciò che dobbiamo imparare".

Rispondendo poi sui "peccati della comunicazione", Francesco ricorda: "l'ho detto per la prima volta a in una conferenza a Buenos Aires quando ero arcivescovo. Mi è venuto in mente di parlare dei quattro peccati della comunicazione, del giornalismo". In primo luogo, "la disinformazione: dire ciò che mi fa comodo e tacere sul resto. No, dì tutto, non puoi disinformare". In secondo luogo, "la calunnia. Inventano cose e a volte distruggono una persona con una comunicazione". In terzo luogo, "la diffamazione, che non è calunnia, ma è come attribuire a una persona un pensiero che ha avuto in un altro momento e che ora è cambiato. È come se a un adulto si portassero i pannolini sporchi di quando eri bambino. Ero un bambino e la pensavo così. È cambiato, ora è così". "E per il quarto peccato - aggiunge - ho usato la parola tecnica 'coprofilia', cioè l'amore per la cacca, l'amore per la sporcizia. Vale a dire, cercare di infangare, cercare lo scandalo per il gusto dello scandalo". 

"Ricordo che il cardinale Antonio Quarracino diceva: 'non leggo quel giornale, perché faccio così e sgorga sangue'. È l'amore per lo sporco e il brutto", prosegua Francesco. “Credo che i media debbano stare attenti a non cadere nella disinformazione, nella calunnia, nella diffamazione e nella coprofilia”, ribadisce. "Il loro valore è quello di esprimere la verità. Dico la verità, ma sono io a esprimerla e ci metto del mio. Ma chiarisco bene ciò che è mio e ciò che è oggettivo. E lo trasmetto". "Anche se a volte in quella trasmissione si perde un po' di onestà, poi dal passaparola della trasmissione passi a un primo passo con Cappuccetto Rosso che scappa dal lupo che vuole mangiarla e finisci, dopo la comunicazione, in un banchetto dove la nonna e Cappuccetto Rosso stanno mangiando il lupo - conclude il pontefice -. Bisogna fare attenzione che la comunicazione non cambi l'essenza della realtà".

L'Onu impotente di fronte alla guerra 

“Dopo la seconda guerra mondiale c'era molta speranza nelle Nazioni Unite”, dice Francesco a Telam. "Non voglio offendere, so che ci sono ottime persone che lavorano, ma su questo punto non hanno il potere di imporsi". "Contribuiscono sì a evitare guerre, e penso a Cipro, dove ci sono truppe argentine, ma per fermare una guerra, per risolvere una situazione di conflitto come quella che stiamo vivendo oggi in Europa, o come quelle vissute in altre parti del mondo, non hanno alcun potere. Senza offesa. È solo che la costituzione di cui dispongono non dà loro potere".

Rispondendo alla domanda se sono cambiati i poteri nel mondo e il peso di alcune istituzioni, il papa sottolinea che "ci sono alcune istituzioni benemerite che sono in crisi o, peggio ancora, che sono in conflitto". "Quelle in crisi mi fanno sperare in un possibile progresso. Ma quelle in conflitto sono impegnate a risolvere questioni interne". "In questo momento servono coraggio e creatività - avverte Francesco. Senza questi due elementi, non avremo istituzioni internazionali che possano aiutarci a superare questi conflitti così gravi, queste situazioni di morte".

"In Europa il populismo portò al fascismo e nazismo"

"In Europa hanno un'esperienza molto triste del populismo. È appena uscito un libro, 'Sindrome 1933', che mostra come si è generato il populismo di Hitler. Per questo mi piace dire: non confondiamo il populismo con il popolarismo". "Il popolarismo, spiega il pontefice, è quando il popolo porta avanti le proprie cose, esprime il suo pensiero nel dialogo ed è sovrano. Il populismo è un'ideologia che unisce il popolo, che cerca di raggrupparlo in un'unica direzione. E qui, quando parli loro di fascismo e di nazismo, capiscono cos'è il populismo".

"L'unità latino-americana è una profezia"

Bergoglio parla del paese dove è cresciuto: l'America Latina è ancora impegnata in un "cammino lento, di lotta" per trasformare in realtà "il sogno" dei libertadores Josè de San Martìn e Simòn Bolìvar per "l'unità della regione" che ha spiegato il pontefice, "è sempre stata una vittima, e sarà una vittima fino a quando non sarà completamente libera dall'imperialismo sfruttatore". Questa, ha poi detto, è la condizione "in cui si trovano tutti i paesi latinoamericani. Non voglio citarli perchè sono così evidenti che tutti li vedono" il sogno di San Martìn e Bolìvar, ha continuato, "è una profezia", e riguarda "l'incontro dell'intero popolo latinoamericano, al di là delle ideologie, con la sovranità". Questo, ha concluso, "è ciò su cui si deve lavorare per raggiungere l'unità latinoamericana". Una realtà in cui "ogni popolo è presente con la sua identità e, allo stesso tempo, ha bisogno dell'identità dell'altro. E questo non è facile".  

Nel pontificato "ho fatto ciò che mi è stato chiesto”

Infine alla domanda sul suo pontificato che a marzo 2023, arriva al suo decennale risponde così: "Le cose che ho fatto non le ho inventate nè sognate dopo una notte di indigestione. Ho raccolto tutto ciò che i cardinali avevano detto nelle riunioni pre-conclave che il prossimo papa avrebbe dovuto fare. Poi abbiamo detto le cose che dovevano essere cambiate, i punti che dovevano essere toccati. Quello che ho messo in moto è stato quello che mi è stato chiesto. Non credo che ci sia nulla di originale da parte mia, ma ho avviato ciò che avevamo deciso tutti insieme". 

E racconta ancora "Bergoglio non avrebbe mai immaginato di finire qui. Mai. Sono arrivato in Vaticano con una valigetta, con i vestiti che avevo addosso e poco più. Inoltre, ho lasciato a Buenos Aires le prediche preparate per la domenica delle Palme. Ho pensato: nessun papa inizia il suo ministero la domenica delle palme, quindi tornerò a casa il sabato. In altre parole, non avrei mai immaginato che sarei stato qui".

Il pontefice riconosce poi che "nella vita si impara a essere universali, a essere caritatevoli, a essere meno cattivi", e afferma di non aver "mai camminato da solo nella mia vita. Ci sono sempre stati uomini e donne, a partire dai miei genitori, i miei fratelli - una è ancora viva - che mi hanno accompagnato. Non riesco a immaginarmi come una persona solitaria, perchè non lo sono". Con la sua consueta ironia, guardando a se stesso il Papa dice ancora: "Poverino, che cosa ti è toccato! ma non è così tragico essere papa. Si può essere un buon pastore". E su come pensa di essere cambiato ammette "che sono diventato più misericordioso. Nella mia vita ho avuto periodi rigidi, in cui ho preteso troppo. Poi ho capito che non si può seguire quella strada, che bisogna saper guidare. È questa la paternità che ha Dio". "Questo saper aspettare gli altri è proprio di un padre. Sa cosa ti sta succedendo, ma fa in modo di farti andare da solo, ti aspetta come se nulla fosse. È un pò quello che oggi criticherei di quel Bergoglio che, in qualche tappa, non sempre, come vescovo è stato un pò più benevolo. Ma nella tappa da gesuita è stato molto severo. E la vita è molto bella con lo stile di Dio, di saper sempre aspettare. Sapere, ma fare finta di non sapere e lasciare che maturi. E' una delle saggezze più belle che la vita ci regala". E alla domanda conclusiva di Llorente "Avremo papa Francesco ancora per un pò?" risponde: "Lasciamo che lo dica lui lassù".