Scandali e bugie a Downing Street

I ministri se ne vanno, ma Bojo non si arrende

Il premier britannico, Boris Johnson, si aggrappa al potere contro ogni pronostico

I ministri se ne vanno, ma Bojo non si arrende
AP
Da sinistra, il Segretario alla Salute britannico Sajid Javid, il Cancelliere Rishi Sunak e il Primo Ministro Boris Johnson arrivano al n. 9 di Downing Street

Nonostante oltre 40 membri del suo gabinetto si siano dimessi a causa di una serie di scandali, il primo ministro britannico Boris Johnson ha respinto mercoledì le richieste di dimissioni anche da parte dei suoi fedelissimi e ha licenziato uno dei suoi ministri. Sono lontanissimi i giorni del trionfo, al suo debutto a Downing Street nel 2019 con la promessa di realizzare la Brexit, per il leader conservatore ieri è stato il suo giorno più difficile da quando è in carica, circondato da vicende imbarazzanti e da una raffica di accuse di menzogne.

Diversi ministri di alto livello, tra cui alcuni suoi stretti alleati, gli hanno chiesto di dimettersi perché la situazione è diventata insostenibile. Tra i nomi citati dalla stampa britannica ci sono il ministro dell'Interno Priti Patel e Nadhim Zahawi, nominato meno di 24 ore fa ministro delle Finanze dopo che martedì si era dimesso l'allora Cancelliere dello scacchiere Rishi Sunak  e il Ministro della Salute Sajid Javid. Ieri Boris Johnson è arrivato a licenziare il suo ministro Michael Gove, responsabile del riequilibrio territoriale, una delle principali promesse del governo, perché gli avrebbe chiesto di andarsene. Anche altri membri di rango inferiore del governo hanno gettato la spugna, uno dopo l'altro.

Ieri sera, il numero di partenti era salito ancora con il ministro della Sanità Edward Argar e il ministro del Galles Simon Hart. Quest'ultimo nella sua lettera di dimissioni ha scritto: "I colleghi hanno fatto del loro meglio, in privato e in pubblico, per aiutarvi a invertire la rotta, ma è con tristezza che sento che abbiamo superato il punto in cui questo è possibile".

Il leader laburista dell'opposizione Keir Starmer ha denunciato uno "spettacolo patetico" alla fine del suo regno, mentre il leader del partito nazionalista scozzese alla Camera dei Comuni Ian Blackford ha chiesto elezioni anticipate.

Johnson ha ammesso di aver commesso un "errore" nel nominare Chris Pincher nel suo governo a febbraio come vice capogruppo responsabile della disciplina parlamentare per i deputati Tory. Si è dimesso la settimana scorsa dopo essere stato accusato di aver toccato due uomini. Dopo aver sostenuto il contrario, martedì Downing Street ha ammesso che il Primo Ministro era stato informato di precedenti accuse contro Pincher già nel 2019, ma che le aveva "dimenticate".

Boris Johnson è rimasto fermo sulla sua linea. Ha detto che non sarebbe "responsabile" lasciare l'incarico nell'attuale contesto di crisi del potere d'acquisto e di guerra in Ucraina. In precedenza, durante il question time settimanale davanti ai deputati, costellato da risate e prese in giro, il capo del governo aveva affermato che il "mandato colossale" conferitogli dagli elettori nel 2019 gli conferisce il dovere di "continuare".

Secondo un sondaggio Savanta ComRes pubblicato ieri, il 72% dei britannici ritiene che il Primo Ministro dovrebbe dimettersi. Già notevolmente indebolito dallo scandalo delle feste illegali organizzate a Downing Street durante la pandemia di Covid-19, Johnson è sopravvissuto a un voto di sfiducia da parte del suo stesso partito qualche settimana fa. Ma secondo la stampa britannica, dietro le quinte il fronte anti-Johnson starebbe manovrando per organizzare un nuovo voto in tempi brevi, modificando l'attuale regola che protegge il capo del governo per altri 11 mesi. L'elezione del consiglio direttivo del potente "Comitato 1922", che ha il compito di decidere sulla questione, si terrà lunedì. A Johnson resta meno di una settimana.