Per anni è stato costretto a nascondersi, da non molto viveva a New York

Salman Rushdie: l'autore dei "Versetti satanici" che non voleva essere solo un simbolo di libertà

Autore non solo dei "Versetti satanici", ma anche di capolavori come "I figli della mezzanotte". Nel 1989 la fatwa lanciatagli dall'Ayatollah Khomeini per "i Versetti" con conseguente richiesta di assassinio

Salman Rushdie: l'autore dei "Versetti satanici" che non voleva essere solo un simbolo di libertà
@ansa
Salman Rushdie

Salman Rushdie è nato nel 1947 a Bombay, in India, due mesi prima che questa diventi indipendente dall'impero britannico. Scrittore divenuto famoso per il libro "maledetto" "Versetti satanici", ma in realtà autore di un numero considerevole di romanzi, fra cui si incontrano veri e propri capolavori come "I figli della mezzanotte", Rushdie negli anni  ha cercato di non lasciarsi ridurre allo scandalo causato dalla pubblicazione dei "Versetti satanici", che aveva infiammato il mondo musulmano a tal punto che nel 1989 venne chiesto il suo assassinio con una "fatwa". 

L'evento che cambierà per sempre la vita dello scrittore arrivò il giorno di San Valentino del 1989, a meno di sei mesi dalla pubblicazione dei Versetti satanici, quando l'Ayatollah Khomeini, la guida suprema dell'Iran e autorità per tutti i musulmani sciiti, emise la fatwa chiedendo la morte non solo di Rushdie, ma anche dei suoi editori. "Invito tutti i valorosi musulmani, ovunque si trovino nel mondo, ad ucciderli senza indugio, in modo che nessuno oserà d'ora in poi insultare le sacre credenze dei musulmani", dichiarò Khomeini.

I famosi “Versetti satanici” sono una rivisitazione dell'islamismo nella quale viene ritratto un personaggio ispirato al profeta Maometto. Il titolo si riferisce alla leggenda del profeta islamico secondo cui alcuni versetti sarebbero stati pronunciati da lui come parte del Corano e poi ritirati perché il diavolo glieli aveva suggeriti per ingannarlo, facendogli credere che provenissero da Dio. A nove giorni dalla pubblicazione, il libro viene bandito in India. Seguono le prime minacce di morte e il rogo del libro nella città inglese di Bolton, dove 7mila musulmani, dopo la preghiera del venerdì, organizzarono una manifestazione contro il romanzo di Rushdie.

"Il mio problema è che le persone continuano a percepirmi attraverso il prisma unico della fatwa", ha detto qualche anno fa questo libero pensatore che voleva essere visto come uno scrittore, ma non come un simbolo. Ma l'attualità - l'ascesa al potere dell'Islam radicale - lo ha costantemente riportato a ciò che non voleva è che almeno per gran parte del mondo occidentale è sempre stato: un simbolo della lotta all'oscurantismo religioso e per la libertà di espressione. 

Rushdie, riflettendo, già nel 2005,  ritenne che "la sua fatwa" avesse costituito un preludio agli attentati dell'11 settembre 2001. Costretto da allora a vivere in clandestinità e sotto la protezione della polizia, passando di nascondiglio in nascondiglio, scelse di farsi chiamare Joseph Anton, in omaggio ai suoi autori preferiti, Joseph Conrad e Anton Cechov. 

Dovette affrontare un'immensa solitudine, ulteriormente aggravata dalla rottura con la moglie, la scrittrice americana Marianne Wiggins, a cui è dedicato "Les versis...". Stabilitosi a New York da alcuni anni, Salman Rushdie - sopracciglia arcuate, palpebre pesanti, testa calva, occhiali e barba - aveva ripreso una vita quasi normale pur continuando a difendere, nei suoi libri, satira e irriverenza.