Cina

Xi Jingping e il Congresso del Pcc: l'obiettivo è riportare la Cina al centro del mondo

Il XX Congresso del PCC avrà inizio il 16 ottobre

 Xi Jingping e il Congresso del Pcc: l'obiettivo è riportare la Cina al centro del mondo
GettyImages
Xi Jingping

In cinese Zhonguo, “Cina”, significa letteralmente “Paese di Mezzo”, un nome che ben rispecchia sin dai tempi dell’impero la vocazione di questo paese, quella di essere “il centro del mondo”. Al di là dell’ideologia comunista che ora  con il nuovo leader Xi Jinping si è rimodulata e ridefinita  come  “socialismo con caratteristiche cinesi della nuova era”, l’idea del grande abbraccio della  civiltà cinese che domina  sulle  altre,  ha radici antiche. Una concezione del tutto sconosciuta all’Occidente, una visione della Cina e del resto del mondo che all’epoca delle dinastie imperiali si esprimeva con il “Tian Xia”, (Tutto ciò che sta sotto il Cielo) secondo cui  il sovrano cinese era un punto di riferimento non solo per i suoi sudditi ma anche per i paesi limitrofi, o più lontani,  purchè riconoscessero la superiorità della cultura cinese.

Per ottenere il suo terzo mandato al prossimo XX Congresso del PCC, che avrà inizio il 16 ottobre prossimo l’imperatore rosso Xi Jinping, si sta muovendo sul tavolo dei suoi scacchi cinesi con una strategia  che viene da lontano, una visione che si nutre del patrimonio di una cultura millenaria e che ora il presidente cinese ha deciso di rilanciare, più o meno apertamente, più o meno comprensibilmente, soprattutto per l’Occidente, per potersi ripresentare al mondo ancora forte e sicuro dopo le prove che ha dovuto e dovrà  affrontare dentro e fuori dal suo paese.  In nome dell’orgoglio nazionale, ora più che mai,  nel momento in cui la tensione con gli USA cresce, e più in generale ora che si ritrova compatte contro la Cina  le più grandi  potenze mondiali,   unite  nell’Atlantismo per difendere la democrazia, il leader cinese  ripropone e rilancia una visione politica, storica e filosofica   di segno opposto  per conservare saldamente il suo personale potere e   per proseguire sulla strada del  “Sogno Cinese”,  ossia riportare il suo paese, la Cina, al centro del mondo, obiettivo che potrebbe essere raggiunto nel 2049, nel centenario dalla fondazione della Repubblica Popolare, quando,  secondo i suoi piani,  la Cina  dovrebbe diventare la prima potenza mondiale.  Un obiettivo forse troppo ambizioso, forse ai limiti della megalomania viste le aree di crisi che attualmente dilaniano la Cina: dalla crisi immobiliare,  a quella demografica, a quella economica con un PIL che si attesta nel 2022  al 2,8%, mai così basso negli ultimi 30 anni,  una mancata crescita provocata tra l’altro anche da scelte estreme, come la politica tolleranza zero per il Covid, che nella primavera scorsa ha messo in ginocchio una metropoli da oltre 25 milioni di abitanti  come Shanghai, una serie di misure draconiane che il governo non accenna ad allentare: l’ultima regione colpita il Xinjiang, la provincia nordoccidentale a minoranza musulmana, nella quale per una manciata di casi, sono stati bloccati tutti i treni in uscita e in entrata dalla regione.  Un vortice di eccessi dal quale sembra che Xi ormai non possa uscire: fallire nella battaglia contro il Covid i cui metodi di contenimento sono ormai stati decisi e impostati sin dall’inizio,  significherebbe “perdere la faccia”, (diu lian) e questa sarebbe  la peggiore delle sconfitte.

  A tutto questo si aggiunge la complessità dello  scenario geopolitico internazionale , con la guerra scatenata in Ucraina dal presidente russo Vladimir Putin, un evento che   potrebbe  riflettersi con effetto  domino anche in senso economico sull’Asia Centrale, in quell’area dove Pechino sta costruendo la sua rete di alleanze commerciali, parte integrante per realizzare la Belt and Road Initiave, la Nuova Via della Seta, il gigantesco progetto di infrastrutture per unire la Cina all’Europa. Il  vertice dello SCO ( Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai.) che si è tenuto il mese scorso a Samarcanda  si sintonizza da parte cinese su questa strategia : a margine dei colloqui  è avvenuto   tra l’altro l’incontro del presidente cinese con quello russo nel quale sembra essersi delineato in modo  più chiaro che  “l’amicizia senza limiti” di Pechino nei confronti di Mosca è solo di carattere commerciale,  visto che la Cina non sembra  avere nessuna  intenzione di sostenere la Russia con le armi.  Nella città simbolo delle antiche Vie della Seta, Samarcanda,  si è comunque prefigurato  un potenziale scenario di nuovi equilibri, un assetto commerciale alternativo a quello USA/UE di cui potrebbero far parte,  sotto l’egida della Cina,  un’ampia gamma di paesi emergenti: dall’Iran, all’India al Brasile, al Sudafrica includendo più in generale tutta l’Africa,  con la quale la Cina sta rafforzando i rapporti,  vista la sua presenza   da decenni nel continente . Una strategia per rilanciare l’economia cinese avvalendosi di altri mercati e potenziali alleanze politiche,   cercando di vincere la guerra commerciale ma soprattutto tecnologica  con gli USA, la reale competizione che ha creato  il conflitto tra le due potenze. La questione Taiwan è sullo sfondo di questo processo. L’isola che Pechino considera una provincia ribelle  è il primo produttore mondiale di microchip, i semiconduttori indispensabili per produrre smartphone, televisori, auto elettriche, e persino aerei.  Parallelamente il presidente  americano Biden alza il tiro con nuove restrizioni che impediranno alle aziende USA di esportare in Cina strumenti chiave per la produzione di microchip,  confermando che Washington  ha nel mirino non solo i movimenti militari  cinesi intorno a Taiwan,  ma soprattutto lo sviluppo tecnologico  cinese tout court

E dunque anche se   il nucleo,  come già alcuni quadri del Partito chiamano il presidente cinese, se il core leader ottenesse il terzo mandato, come appare altamente probabile,  lo scenario che si troverà davanti non sarà facile.

Intanto colui  che potrebbe essere nominato dal  Congresso addirittura  “timoniere” cerca di rimanere a galla nel mare in tempesta

Se il Congresso lo vorrà ancora alla guida della Repubblica Popolare  resta da vedere chi saranno i mandarini rossi prescelti dai 2.296 delegati,  di cui oltre 600 donne, che andranno a far parte del nuovo Comitato Permanente del Politburo,  l’élite della nomenklatura comunista.  

Intanto Xi Jinping cavalca il collettivismo confuciano, rilancia la matrice marxista dell’ideologia, coltiva l’idea del suo impero che possa dettare le regole del nuovo ordine mondiale del terzo millennio.

Quale sarà a prevalere tra le due visioni che si configurano sempre più lontane? Il solco che separa i due mondi  sembra sempre più profondo.  Come ha scritto il Global Times, il tabloid quotidiano del PCC, “l’Occidente è incapace di percepire il mondo al di là del suo prisma paranoico e competitivo. Tutto è visto come rivalità, competizione e guerra”. Gli USA e UE da parte loro accusano la Cina di non avere rispetto dei diritti umani e opprimere ogni forma di democrazia