11 ottobre 1962

60 anni di Concilio Vaticano II, sfide e frutti alla luce del Vangelo

Colloquio con l’arcivescovo Giuseppe Betori, presidente della Conferenza Episcopale Toscana

60 anni di Concilio Vaticano II, sfide e frutti alla luce del Vangelo
wikicommons/Walter Ascencio
Concilio Vaticano II

Sessant’anni fa, con un grande impulso al dialogo ecumenico e cammino di aggiornamento della Chiesa cattolica nel mondo di oggi, si aprivano i lavori del Concilio Vaticano II, il 21esimo in tutta la storia della Chiesa, chiamato ad affrontare problemi dottrinali e pastorali e destinato ad incidere sull’attuale storia recente della Chiesa cattolica. Papa Francesco, in memoria di San Giovanni XXIII e in occasione del 60° anniversario dell’apertura del Concilio, celebrerà una messa questo 11 ottobre nella Basilica di San Pietro.

Percorso tra passato e presente, tra memoria e profezia, il Concilio ha prodotto un corpus dottrinale, un balzo in avanti, che non è stato caratterizzato da nuove verità o dalla condanna degli errori, ma da un necessario rinnovamento della Chiesa per renderla capace di saper trasmettere il Vangelo e cercare vie di unità con le altre confessioni, il bene comune e instaurare un dialogo con il mondo moderno, puntando «su ciò che ci unisce e non su ciò che ci separa», illuminati e guidati dall’azione dello Spirito Santo. 

Inaugurato l'11 ottobre 1962 da Papa San Giovanni XXIII, che non venne a conoscenza delle conclusioni perché scomparve il 3 giugno 1963, il Concilio vide la partecipazione in Vaticano non solo di oltre 2.000 padri conciliari provenienti da tutto il mondo, ma anche la presenza, in qualità di osservatori, di membri di altre fedi, dai musulmani agli indiani d'America, nonché membri di tutte le Chiese cristiane, ortodossi, anglicani e protestanti in genere, inclusi evangelici, metodisti e calvinisti, questi ultimi non presenti a Roma dai tempi degli scismi. Paolo VI, eletto successore di San Pietro nel 1963, chiuse i lavori facendosi garante dell’unità della Chiesa, dilaniata in quegli anni dalle tensioni sociali postconciliari e dai contrasti interni tra innovatori e conservatori. 

Conclusosi l'8 dicembre del 1965, da esso sono derivati ​​importanti cardini: quattro Costituzioni, nove Decreti e tre Dichiarazioni: Dei Verbum sulla Parola di Dio, Lumen Gentium sulla Chiesa, Sacrosanctum Concilium sulla Liturgia e Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo di oggi.

Papa Francesco, avviando il processo sinodale come primo atto di preparazione all’imminente Giubileo del 2025, e in continuità con lo spirito del Concilio, colloca “il Cristo al centro della storia e della vita” in un dialogo costante con tutti gli uomini, in un momento cruciale della nostra umanità, segnata da guerre, sofferenza e povertà.

“La catechesi ispirata dal Concilio, in ascolto continuo del cuore umano, è sempre attenta a rinnovarsi – afferma Papa Francesco esortando a fare una scelta netta - Il Concilio è il magistero della Chiesa. O stai con la Chiesa, e pertanto segui il Concilio, oppure non segui il Concilio rimanendo con la pretesa di interpretarlo al tuo modo, come vuoi…dunque non stai con la Chiesa-. E aggiunge - Dobbiamo in questo punto essere esigenti, severi. Il Concilio non va negoziato…il Concilio è così”. Benedetto XVI nel 50° anniversario del Concilio Vaticano, domandandosi che ruolo avrebbe avuto la Chiesa di oggi, auspicava di ‘rimettersi in viaggio e parlare con la gente’. Un solco già tracciato da Papa Francesco nel suo pontificato. 

Dal lontano 1962 il Concilio incoraggia la chiamata, oggi più che mai attuale, a recuperare la vitalità di quanti vogliono rispondere con onestà e fermezza al Vangelo in questo mondo concreto, e nuovo, in cui siamo immersi. Di lasciare alle spalle quell'apatia che cerca sempre di impadronirsi della Chiesa e che oggi è sicuramente il risultato del fallimento delle opzioni concrete, del disinteresse globale della società verso la proposta evangelica, e dell’elevata età media dei battezzati che partecipano, anche se minimamente, alla vita ecclesiale, o di una cultura racchiusa in beni passeggeri. È necessario affidare la vitalità ecclesiale – affermano i padri conciliari – all’ottimismo non limitatamente ai tempi propizi (come quello degli anni Sessanta), ma al di là di essi senza disprezzarli, al soffio stesso dello Spirito Santo, speranza che suscita forza di fede e d'amore. Nell’attuale società in crisi è necessario tornare ad infondere speranza scalzando l’idea di un futuro avvolto da una fitta nebbia interiore e di una società falsamente sorridente. Questo è uno dei bisogni fondamentali. Al suo interno è necessario nutrirsi del mistero pasquale di Cristo per sostenere la vita ecclesiale e accompagnare la vita sociale al di là delle sue specifiche realizzazioni o insuccessi.

Altro tema importante sembrerebbe, alla luce dei testi conciliari, il mantenimento pratico dell'identità plurale e condivisa della Chiesa. Occorre operare in una pastorale ministeriale non paternalistica, sia essa direttiva o diffidente. Per questo diventa sempre più urgente la formazione, non solo teorica, dei laici, perché siano cristiani adulti che sviluppino con gioia la loro identità battesimale e possano essere responsabilmente Chiesa nell’ambiente in cui si trovano: famiglia, lavoro, amicizia e Chiesa nel loro essere Chiesa.

Abbiamo incontrato l’Arcivescovo Giuseppe Betori, Presidente della Conferenza Episcopale Toscana.

Sua Eccellenza Giuseppe Betori, Presidente della Conferenza Episcopale Toscana cortesia Diocesi di Firenze
Sua Eccellenza Giuseppe Betori, Presidente della Conferenza Episcopale Toscana

A 60 anni dell’apertura del Concilio Vaticano II quanto ha segnato nella storia recente della Chiesa cattolica?

Direi che il volto della Chiesa oggi è impregnato da alcune scelte che il Concilio ha fatto in modo particolare per quanto riguarda la centralità della parola di Dio. Anche la vita liturgica, più aperta alla partecipazione delle persone, la stessa visione comunitaria della vita ecclesiale, ecco sono tutte realtà che nascono dal fatto che il Concilio ha recepito tutte le istanze dei movimenti di rinnovamento biblico, liturgico, patristico e teologico, degli anni precedenti. Anche l’apertura del dialogo tra la Chiesa e il mondo è un fatto oggi scontato, ma che nasce appunto dalle decisioni del Concilio Vaticano II.

Negli anni 50/60 abbiamo assistito a grandi avvenimenti nel mondo. Come era la Chiesa prima del Concilio e quale strada indicava il Concilio Vaticano II?

Per rispondere alla sua domanda credo che non ci sia di meglio che andare al discorso che il Santo Papa Giovanni XXIII fece all’apertura del Concilio. In tre scelte che lui sottolineò fa appunto l’antitesi tra il prima e il dopo. La prima è questa: ai tempi della dottrina proclamata, condannando gli errori, egli disse che occorre far succedere un tempo in cui esercitiamo la medicina della Misericordia. La seconda grande scelta fu che la verità venisse proclamata in quella indole pastorale che è propria, peraltro, della verità cristiana, cioè pensata ed espressa in riferimento ai destinatari. E infine la terza grande scelta che “innovava rispetto al passato” era la ricerca dell’unità della Chiesa, tra le Chiese e l’unità del mondo. Su queste tre ancore fondamentali del discorso di Papa Giovanni XXIII noi possiamo scorgere la strada nuova che il Concilio indicava alla Chiesa.

Che senso ha parlare nel 2022 di Concilio?

Anzitutto perché c’è tutta una generazione che non ha vissuto il Concilio. Io che sono un anziano ho vissuto il Concilio negli anni della mia formazione. Ma tutto il clero e i laici che vengono dopo gli anni ‘60 sicuramente non hanno vissuto l’evento conciliare. Bisogna consegnarlo loro nuovamente. 

Poi occorre prendere atto che il Concilio ha creato anche interpretazioni divergenti nella Chiesa e queste tensioni vanno risanate, riconciliate secondo l’”ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto- Chiesa, come ci ha insegnato Benedetto XVI. 

C’è anche un terzo fatto: tutti i concili, compreso quello del Vaticano II, non si misurano sulle decisioni che il Concilio stesso prende o sulle formule che approva, ma sulle gli esiti che si mostrano a distanza di decenni o addirittura di secoli. Se pensiamo allo stesso Concilio di Trento la sua attuazione è dopo oltre un secolo dalla sua celebrazione. Quindi abbiamo bisogno di rilanciare il Concilio proprio perché il Concilio possa dare frutti che si attendevano. 

Quali sono le principali chiavi di lettura del Concilio che oggi Papa Francesco sta portando avanti? Le sfide, i frutti…per esempio il dialogo interreligioso, e non solo…

Anzitutto Papa Francesco riprende dal Concilio, attraverso il magistero del Santo Papa Paolo VI, il primato dell’Evangelizzazione. Lui inizia il suo pontificato con l’”Evangelii Gaudium” proprio per indicare che tutto nasce dalla forza del Vangelo e dalla capacità che abbiamo di annunciarlo attraverso la testimonianza. Questo riferimento è tipico proprio del Concilio. Credo sia importante tutta l’apertura al dialogo con il mondo che questo Papa ci mostra, è anche questo un frutto del Concilio che viene riproposto con forza. Infine direi lo stile della Misericordia. Papa Francesco ci porta la medicina della Misericordia di cui parlava Giovanni XXIII, riportando a questa forma tutto il suo approccio alla verità, alla vita ecclesiale e al rapporto con il mondo di oggi.

Ai nostri tempi quali aspetti tornano utili alla luce del Giubileo del 2025? 

Papa Francesco ha voluto mettere a tema del Giubileo prossimo la virtù della Speranza. Dire Speranza significa non essere ottimisti, ma avere la fiducia che lo Spirito di Dio agisca nella storia. Quindi le forze del male non hanno mai il sopravvento perché lo Spirito di Dio è più forte di ogni opposizione che possa essere fatta a Lui. C’è poi anche la dimensione di Chiesa come popolo di Dio che il Giubileo esalterà e che è una delle grandi acquisizioni del Concilio Vaticano II.

Qual è il ruolo dei laici nell’essere testimoni del messaggio del Concilio nella vita quotidiana?

La volontà, lo scopo che il Concilio si è dato di superare la frattura che si era creata tra la Chiesa e il mondo, tra la chiesa e la cultura, interessa fondamentalmente l’esperienza quotidiana della vita. Su questo i laici sono i primi protagonisti. Sta ai laici mostrare la bellezza, la forza attrattiva di una vita buona; che nasce proprio da un Vangelo vissuto. Il Clero, i vescovi i ministri sono al servizio di questa vita quotidiana della gente, che è anzitutto la vita dei laici. 

La Chiesa è nella condizione di formare laici responsabili della testimonianza senza che cadano in quello che Papa Francesco chiama il clericalismo? 

La formazione direi che deve guardare soprattutto a quello che è la radice fondamentale, l’asse portante dell’identità di un cristiano, che è la sua unità con la vita di Cristo. Da questo punto di vista io penso che sia meno importante abilitare a delle funzioni i laici quanto piuttosto aiutarli a costruire, nell’incontro con Cristo, una vita nuova. La prospettiva importante della crescita dei ministeri nella Chiesa non deve tradursi in occupare posti nella comunità ritirandosi invece dalla testimonianza nel mondo. 

A cosa ci chiama ancora il Concilio? E quali sono le nuove situazioni che dobbiamo pensare e affrontare nel loro dinamismo?

Questa parola “nuova” che lei ha detto è fondamentale, perché il contesto culturale, rispetto a sessant’anni fa, oggi è totalmente cambiato, Basta leggere l’inizio della “Gaudium et Spes” e si capisce subito che siamo in un mondo molto in crisi, in cui prevale il nichilismo. Il confronto con le ideologie ha lasciato il posto a una caduta della domanda di senso, ad una prevalenza dell’individualismo che conduce non all’incontro, ma alla massificazione. Per non parlare poi degli scenari inediti che ci portano alle nuove tecnologie verso un transumanesimo che va tutto interpretato e che non può non preoccupare in certi suoi esiti. Affrontare e richiamarsi al Concilio da un certo punto di vista significa avere la stessa fiducia che il Concilio ebbe nella forza del Vangelo, nell’affrontare la lettura dei suoi tempi e fare quel discernimento dei segni dei tempi che lo stesso Concilio ci chiede in rapporto al mondo che stiamo vivendo, senza avere paura, perché la forza del Vangelo è tale che non c’è deviazione umana che non possa trovare una luce, un conforto e una spinta dal Vangelo stesso.