La rivolta antigovernativa

Iran, la magistratura: 11 manifestanti condannati a morte, tre ayatollah criticano le esecuzioni

Dopo l'esecuzione di due giovani degli ultimi giorni, si intravedono piccole crepe nell'establishment che vede tre leader spirituali criticare le decisioni della magistratura sciita

Iran, la magistratura: 11 manifestanti condannati a morte, tre ayatollah criticano le esecuzioni
Ap Photo
Donne senza velo, Iran

11 manifestanti condannati a morte, questo il numero ufficiale annunciato dalla magistratura iraniana su chi è prossimo alla impiccagione.

Secondo gli attivisti sono circa una dozzina i condannati alla pena capitale. Dal 16 settembre, quando sono scoppiate le proteste, 18.000 persone sono state arrestate e oltre 448 uccise nella repressione, compresi una sessantina di minori. Lo affermano le ong per i diritti umani che operano all'estero.

Finora sono stati giustiziati due giovani: Mohsen Shekari è stato impiccato l'8 dicembre e lunedì Majidreza Rahnavard: entrambi di 23 anni, sono stati giustiziati con l'accusa di "moharebeh", "inimicizia contro Dio" secondo la Sharia islamica iraniana. Due esecuzioni che riguardano le attuali proteste, ma sono molte altre le impiccagioni avvenute negli ultimi mesi.

Il regime non arretra di un passo e continua a mostrare il pugno di ferro contro le proteste del popolo iraniano che invece si allargano a macchia d'olio, coinvolgendo tutto il Paese in quella che è diventata una importante minaccia alla stabilità dell'attuale governo. La protesta in nome di Mahsa Amini cominciata con il coraggio delle donne iraniane, è poi divenuta trasversale: studenti, lavoratori, anziani, stanno appoggiando il popolo sempre più numeroso che chiede a gran voce riforme strutturali sia sociali che economiche. L'età media di chi si riversa in strada è bassissima, 15 anni. Gli iraniani sono 86 milioni, 32 anni è l'età media della popolazione, divisa in etnie, a seconda della regione di appartenenza. Jina Amini, il nome curdo della 22enne morta per aver indossato male l'hijab obbligatorio, era della città di Saqquez nell'Iran nordoccidentale, a maggioranza curda.

Eppure si comincia a intravedere qualche crepa nell'establishment sciita: un gruppo di noti ecclesiastici ha criticato duramente le recenti esecuzioni. "Chiunque sia accusato di muharebeh ovvero di guerra contro Dio o 'corruzione sulla terra' non dovrebbe essere necessariamente giustiziato", ha dichiarato all'Ilna un membro dell'assemblea degli esperti ed ex capo della Corte suprema, l'ayatollah Morteza Moghtadai, aggiungendo che secondo l'Islam tali accuse sono legate alla guerra, non agli scontri tra una o due persone. Critiche dello stesso tenore sono state mosse da altri due ayatollah.

 

 

Altre cirtiche arrivano dalla città santa di Qom: un membro dell'assemblea del seminario, l'ayatollah Mohammadali Ayazi, ha dichiarato che la muharebeh viene usata in tempo di guerra, non per le proteste o gli scontri di piazza, soprattutto quando i manifestanti si difendono dagli attacchi delle forze di sicurezza. E ancora "la partecipazione a qualsiasi cerimonia organizzata da questo regime tirannico è haram (religiosamente proibita) fino a quando non sospenderanno le esecuzioni", ha annunciato un altro ayatollah, Mahmoud Amjad, che è istruttore al seminario di Qom.

Oltre agli oppositori, oramai neutralizzati, i vertici del sistema che hanno osato esprimere dissenso verso la Guida Suprema in questi lunghi 43 anni di Repubblica islamica sono stati condannati al carcere, all'esilio o agli arresti domiciliari. Lo si è visto anche con i parenti stretti di Ali Khamenei arrestati di recente per aver criticato pubblicamente il capo religioso. Ora si teme per la vita di altri giovani, a cui potrebbero spettare processi sommari che avvengono a porte chiuse e senza tutela legale.