Il rapporto annuale

Più povera e impaurita: l'Italia del 2022 fotografata dal Censis

Un milione di persone, dal 2019 a oggi, è scivolata al di sotto della soglia di sussistenza. Quasi un giovane su quattro non studia né lavora. Tre italiani su cinque temono una guerra mondiale

Più povera e impaurita: l'Italia del 2022 fotografata dal Censis
Rafa Elias/Getty Images
Oggi il 66,5% degli italiani si sente insicuro: prima del Covid, nel 2019, la percentuale era 10 punti più bassa

Il Centro Studi Investimenti Sociali (Censis) ha presentato oggi il suo 56esimo rapporto sulla situazione sociale italiana e ne emerge un quadro abbastanza cupo: è "la malinconia a definire oggi il carattere degli italiani", sintetizza la Fondazione. 

Otto italiani su 10 non sono più disposti a fare sacrifici per cambiare, né per seguire la moda né per fare carriera, l'83,2% non ha più voglia di sacrificarsi per mettere in pratica le indicazioni degli influencer, l'81,5% per vestirsi alla moda, il 70,5% per acquistare prodotti di prestigio, il 63,5% per sembrare più giovani, il 58,7% per sentirsi più belli. Il 36,4%, inoltre, non è disposto a sacrificarsi nemmeno per avanzare nel lavoro e guadagnare di più. 

Pensando a due anni dalla pandemia, agli effetti del cambiamento climatico ormai evidenti e ai nove mesi, finora, di conflitto in Ucraina,  l'89,7% degli italiani dichiara che prova tristezza, e il 54,1% ha la forte tentazione di restare passivo. L'84,5% è convinto che eventi geograficamente lontani possano cambiare improvvisamente la quotidianità e stravolgere i destini. Il 61,1% teme che possa scoppiare una guerra mondiale, il 58,8% che si ricorra all'arma atomica, il 57,7% che l'Italia entri in guerra. Oggi il 66,5% degli italiani si sente insicuro: prima del Covid, nel 2019, la percentuale era 10 punti più bassa. 

Meno reati, ma più violenze sessuali

 Il 51,7% degli italiani teme di rimanere vittima di reati, ma nell'ultimo decennio il numero delle denunce è diminuito del 25,4%. Nel 2012 in Italia erano stati denunciati 2.818.834 reati, nel 2021 sono stati 2.104.114, con una differenza di 714.720 delitti. Nell'ultimo decennio, secondo i dati, sono diminuiti drasticamente i crimini più efferati: gli omicidi volontari sono passati dai 528 del 2012 ai 304 del 2021 (-42,4%), e nell'ultimo anno in 32 province italiane - quasi 11 milioni di residenti - non è stato commesso neppure un omicidio.

In calo anche la criminalità predatoria: tra il 2012 e il 2021 le rapine sono diminuite da 42.631 a 22.093 (-48,2%), i furti in casa da 237.355 a 124.715 (-47,5%), i furti d'auto da 195.353 a 109.907 (-43,7%). Milano guida la graduatoria delle province in base ai reati denunciati in rapporto ai residenti, con 59,9 reati ogni 1.000 abitanti, a fronte di una media nazionale di 35,7.  Seguono Rimini (55), Torino (50,6), Bologna (49,8) e Roma (48,6). Firenze è settima (47,3), Napoli al decimo (42,2).

Nell'ultimo decennio sono aumentate solo alcune fattispecie di reato contro la persona, come le violenze sessuali: erano 4.689 nel 2012, sono 5.274 nel 2021: +12,5%. Crescono anche le estorsioni (+55,2% tra il 2012 e il 2021), che rappresentano, secondo il Censis, "una spia della pressione della criminalità organizzata" che aumenta nei periodi di crisi economica. 

L'inflazione fa paura

Le famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta sono più di 1,9 milioni (7,5% del totale), 5,6 milioni di persone (9,4% della popolazione: un milione di persone in più rispetto al 2019). Di queste, il 44,1% risiede nel Mezzogiorno. I giovani 18-24enni usciti precocemente dal sistema di istruzione e formazione sono il 12,7% a livello nazionale e il 16,6% nelle regioni del Sud, contro una media europea di dispersione scolastica del 9,7%. Mediamente nei paesi dell'Ue la quota di 25-34enni con il diploma è dell'85,2%, in Italia al 76,8% e scende al 71,2% al Sud; inferiore alla media europea anche la percentuale di 30-34enni laureati o in possesso di un titolo di studio terziario: il 26,8% in Italia e il 20,7% al Sud, contro una media Ue del 41,6%. Il nostro paese detiene anche il primato europeo per il numero di Neet, giovani che non studiano e non lavorano: il 23,1% dei 15-29enni a fronte di una media Ue del 13,1%. Ma nelle regioni del Mezzogiorno l'incidenza sale al 32,2%. 

ll 92,7% degli italiani è convinto che l'accelerata dell'inflazione durerà a lungo, il 76,4% che non potrà contare su aumenti significativi delle entrate familiari nel prossimo anno, il 69,3% teme che nei prossimi mesi il proprio tenore di vita si abbasserà (il 79,3% tra le persone già a basso reddito), il 64,4% sta ricorrendo ai risparmi per fronteggiare l'inflazione, che colpisce anche i percettori di redditi fissi. Di conseguenza gli italiani ritengono "particolarmente insopportabili": l'87,8% il gap tra le retribuzioni dei dipendenti e dei manager, l'86,6% i bonus milionari di buonuscita per i 'top' ("pagati per andarsene piuttosto che per lavorare"); l'84,1% le tasse troppo ridotte dei giganti del web; l'81,5% i "facili guadagni" di personaggi come gli influencer, ritenuti "senza un comprovato talento e competenze certe", ma anche, con simili percentuali, le feste sfarzose dei vip e i loro jet privati, lo sfoggio di auto e suv potenti, di ville con giardini e piscine, e poi l'esibizione (anche sui social) di vacanze, cene, hotel e locali di gran lusso.

Aule vuote

Scuola e università si vanno svuotando di studenti a causa della contrazione demografica: secondo le previsioni tra dieci anni potrebbero esserci quasi 900 mila alunni in meno alle elementari e alle medie; tra vent'anni i giovani in età scolastica potrebbero ridursi di 1,7 milioni.

Negli ultimi cinque anni, si legge, gli alunni delle scuole sono diminuiti da 8,6 milioni a 8,2 milioni, un -4,7% (-403.356). L'onda negativa si sente in particolare nella scuola dell'infanzia (-11,5%) e nella primaria (-8,3%). Anche nelle università nell'anno accademico 2021-22 si assiste a una contrazione delle immatricolazioni: -2,8% rispetto all'anno precedente (9.400 in meno). Le previsioni descrivono "aule scolastiche desertificate e un bacino universitario depauperato: già tra dieci anni la popolazione di 3-18 anni scenderà dagli attuali 8,5 milioni a 7,1 milioni, e nel 2042 potrebbe ridursi a 6,8 milioni (1,7 milioni in meno rispetto al 2022)". Lo "tsunami demografico", così lo definisce il Censis, investirà prima la primaria e la secondaria di primo grado, con un decremento, rispetto a oggi, di quasi 900 mila persone di 6-13 anni nel 2032, per arrivare nel decennio successivo a colpire la scuola secondaria di secondo grado: 726.000 ragazzi di 14-18 anni in meno rispetto al 2022. Tra vent'anni, nel 2042, la popolazione 19-24enne avrà subito un calo di quasi 760 mila persone rispetto a oggi: a parità di propensione agli studi universitari, si conterebbero 390.000 iscritti e 78.000 immatricolati in meno rispetto a oggi.

Il Paese invecchia: la popolazione di almeno 65 anni di età è pari al 23,8% del totale e rispetto a trent'anni fa registra  un aumento del 60%. Stando alle previsioni tra vent'anni il 33,7% della popolazione italiana sarà over 65

Sanità senza personale

"L'ambito destinato ad aggravarsi nell'immediato futuro è quello del personale sanitario", perché non solo gli obiettivi del Pnrr ma anche “la stessa gestione attuale della sanità risultano fortemente problematiche alla luce della carenza di medici, di infermieri e di altro personale sanitario”, scrive ancora il Censis. Mentre nel decennio 2010-2019, è spiegato, il Fondo sanitario nazionale ha registrato un incremento medio annuo dello 0,8%, passando da 105,6 a 113,8 miliardi, nel 2020 è aumentato a 120,6 miliardi, con un incremento medio annuo dell'1,6% nel periodo 2020-2022 dovuto alle misure anti-Covid. Ma l'incidenza del finanziamento del Ssn scenderà al 6,2% del Pil nel 2024 (era il 7,3% nel 2020). Dal 2008 al 2020 intanto il rapporto medici-abitanti in Italia è diminuito da 19,1 a 17,3 ogni 10.000 residenti, e quello relativo agli infermieri da 46,9 a 44,4

Le imprese soffrono il caro energia

A causa del caro-bollette, si stima che 355.000 aziende (8,1% delle imprese attive) potrebbero subire un grave squilibrio tra costi e ricavi. L'86,6% si colloca nel terziario, il 13,6% nel settore industriale; le criticità interessano 3,3 milioni di addetti (19,2% del totale), di cui il 74,5% nei servizi (2,5 milioni di addetti) e il 25,5% nell'industria (850.000 addetti). Se si verificassero gli esiti già osservati nelle passate ondate di crisi, sarebbero ancora una volta le microimprese a soffrire di più. Tra il 2012 e il 2020 le imprese attive si sono ridotte di 15.000 unità.

Il lavoro dipendente non ripara più dalla povertà

Il 51% dei lavoratori dipendenti è attualmente in attesa del rinnovo contrattuale. Nel settore privato la quota scende al 36,5%, mentre nella pubblica amministrazione il mancato rinnovo riguarda la totalità dei dipendenti (100%). I mesi di vacanza contrattuale vanno dai 35 del settore pubblico ai 31 del settore privato. L'attesa di vedere rinnovato il contratto collettivo nazionale sfiora i tre anni. Sono 6,3 milioni i dipendenti con contratto scaduto e non ancora rinnovato, di cui 3,5 milioni nel settore privato e 2,8 nel settore pubblico. Oggi in Italia nel settore privato si contano oltre quattro milioni di lavoratori che non raggiungono una retribuzione annua di 12.000 euro; di questi, 412.000 hanno un contratto a tempo indeterminato e un orario di lavoro a tempo pieno. Il lavoro dipendente non e' piu' al riparo del pericolo della poverta'. Nel 2021, sul totale degli occupati, il 9,7% si trovava in condizioni di povertà relativa. 

Terza età tra insicurezza economica, difficoltà tecnologiche, spese per la cura domestica

Dopo essersi ritrovati nel periodo pandemico al vertice della piramide dei garantiti, il ritorno improvviso e inatteso dell'inflazione ha collocato i pensionati tra coloro che sono più esposti all'erosione del potere d'acquisto.  Pensando al proprio futuro, solo il 38,7% si sente con le spalle coperte sul piano economico (nel 2019 era al 68,2%). La fragilizzazione della condizione economica dei pensionati non solo rischia di mettere in crisi il welfare familiare a supporto di figli e nipoti, ma alimenta la loro paura verso alcuni rischi sociali. Il 35,2% dei pensionati si sente poco coperto in caso di malattia e necessità di ricorrere a prestazioni sanitarie, il 45,4% in caso di non autosufficienza. 

Gli ultrasessantacinquenni che possono definirsi utenti di internet (si collegano almeno qualche volta al mese) non vanno oltre il 51,4% del totale. Tutti gli altri (il 48,6% degli anziani) non si collega mai o quasi mai”. E' quanto emerge nel 56° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. Analogamente, “tra le persone che dispongono al più della licenza media, la quota di coloro che risulta fuori da internet raggiunge addirittura il 43,6%. Tra anziani e sotto-scolarizzati poco meno di una persona su due è esclusa da internet. Tra gli esclusi da internet si trova l’8,1% della popolazione maggiorenne residente in Italia (circa 4,1 milioni di persone). Il profilo di queste persone è molto caratterizzato: innanzitutto nell’80% dei casi si tratta di anziani, il 59,9% possiede la sola licenza media inferiore, per due terzi sono donne e in quasi la metà dei casi (47,6%) abitano in Comuni con meno di 10.000 abitanti. Il loro livello socio-economico, nell’80% dei casi, è basso o medio-basso”.

I lavoratori domestici sono nel complesso circa 2 milioni. Nel 2021 i lavoratori domestici contribuenti sono stati 961.358. In prevalenza si tratta di donne (816.476, quasi l'85% del totale) e la maggioranza dei lavoratori domestici è di origine straniera (672.609, il 70%). Poco più della metà sono colf (509.987, il 53%). La figura della badante è predominante tra coloro che provengono dall'Europa dell'Est (46,3%). La domanda di colf e baby-sitter è sostanzialmente ad ore (rispettivamente per l'89,9% e l'86,1% dei datori di lavoro). Nel caso in cui fosse necessario il sostegno a un proprio familiare non autonomo, più della metà del campione (58,5%) eviterebbe in tutti i modi di fare ricorso a una Residenza sanitaria assistenziale (Rsa), preferendo assumere una badante. Mediamente, la spesa sostenuta dalle famiglie per una badante oscilla intorno a 1.200 euro mensili, circa 750 euro per colf e baby-sitter

Le sfide: opere pubbliche e efficientamento energetico

Nel Mezzogiorno sono necessari mediamente 3,5 anni per realizzare un'opera pubblica, un anno in più rispetto al resto del paese. A livello nazionale servono 18 mesi dalla progettazione, nelle varie fasi, alla pubblicazione del bando o dell'avviso di gara: un arco di tempo superiore a quello che serve per l'affidamento e poi l'esecuzione dell'opera (15 mesi). Il Pnrr ha previsto che entro il 2024 dovrebbe ridursi di almeno il 15% il tempo dell'esecuzione dei lavori, corrispondente a circa un mese, e a meno di 100 giorni il tempo medio tra pubblicazione del bando e aggiudicazione dell'appalto, corrispondente a poco più di tre mesi. Poiché i tempi lunghi sono dovuti ai passaggi burocratici, è necessario aumentare l'efficienza delle stazioni appaltanti. Le amministrazioni locali e regionali hanno avviato il 67% delle procedure, una percentuale che arriva all'80% in Calabria e Sardegna. 

Su 12,5 milioni di edifici ad uso residenziale, il 57% è stato costruito prima del 1970. Circa il 70% della popolazione italiana vive in abitazioni con più di 30 anni d'età. Un'abitazione in classe G (un terzo del totale e la quasi totalità di quelle costruite prima del 1970) presenta consumi energetici mediamente quattro volte più elevati rispetto a una in classe B (standard minimo per nuove costruzioni). I consumi energetici del settore civile raggiungono il 45% del totale, superiori a quelli dell'industria e dei trasporti. Dal funzionamento degli edifici (riscaldamento, raffrescamento, illuminazione) si determina il 17,5% delle emissioni di CO2. Il Superbonus ha prodotto 43 miliardi d'investimenti autorizzati ad agosto, che hanno attivato nel totale dell'economia (filiera costruzioni e altri settori) 90,5 miliardi, contribuendo per 57 miliardi alla formazione del Pil e attivando 700.000 nuovi addetti.