La visita di Antonio Tajani al Cairo rompe i sette anni di gelo che hanno segnato i rapporti diplomatici tra i due paesi a partire dal febbraio del 2016, quando fu ritrovato alla periferia della capitale egiziana il corpo torturato e senza vita di Giulio Regeni.
Quell’orribile delitto, ancora oggi senza responsabili, legittima i risentimenti italiani, ha spiegato il Ministro degli Esteri, che in una lunga intervista concessa venerdì a Rainews24 chiarisce: riannodare il dialogo con l’Egitto non significa calare il sipario sulla vicenda. “Continueremo a chiedere verità per Giulio e libertà per Patrick Zaki”, ha detto Tajani, il quale però rimarca la necessità di confronto e collaborazione con un Paese ritenuto cruciale per la stabilità della regione: per i piani energetici italiani, per la pacificazione della Libia e di conseguenza per il controllo dei flussi migratori.
Tajani nella mattinata di domenica incontrerà il suo omologo egiziano Sameh Shoukry, nel pomeriggio presenzierà alla firma di un accordo di collaborazione tra il ministero della Salute egiziano e la società San Donato, specializzata nella realizzazione e gestione di strutture ospedaliere.
I colloqui con Shoukry si inquadrano nell’azione diplomatica che Roma ha deciso di avviare in Nordafrica, seguendo le indicazioni che la premier Giorgia Meloni aveva espresso a novembre dopo il bilaterale con il presidente egiziano Al Sisi organizzato a margine di Cop27, a Sharm el Sheikh. Roma vuole tornare ad essere protagonista in Nordafrica, aveva detto la Presidente del Consiglio, avviando una più concreta cooperazione nella gestione dei flussi migratori dal vecchio continente verso l’Europa e sviluppando una collaborazione in campo energetico.

Il tema delle migrazioni è stato al centro dei colloqui avuti da Tajani e dal ministro dell’Interno Piantedosi, nei giorni scorsi, a Tunisi, con il presidente Saied. E sarà un nodo centrale anche nei colloqui con Shoukry, perché l’Egitto è uno dei protagonisti della mediazione in corso da mesi per pacificare la Libia e portarla alle urne, avviando un processo di stabilizzazione del Paese che dovrebbe permettere alle autorità di riprendere il controllo delle proprie coste, ormai da oltre dieci anni in mano alle bande di trafficanti di uomini.
Ma l’accordo tra fazioni, in Libia, è complicato dalla presenza militare turca al fianco di Tripoli, che l’Egitto considera una minaccia per la sicurezza e un impedimento alla normalizzazione del Paese. In questo quadro si spiega la visita di Tajani, la scorsa settimana, ad Ankara: al collega Çavuşoğlu il vicepremier ha chiesto collaborazione turca nel processo di distensione della Libia. Che vuol dire fare un passo indietro, col ritiro formale dei propri uomini.
Stabilizzare la Libia, per Roma significa anche rimettere in moto i progetti sugli idrocarburi di cui il paese è ricchissimo e che sono fondamentali nei piani di affrancamento italiano dagli approvvigionamenti di gas dalla Russia.
Sullo stesso terreno gioca un ruolo in prospettiva fondamentale anche e appunto l’Egitto. L’Eni – che opera nel paese da tempo – ha scoperto enormi giacimenti di gas nel mediterraneo orientale di competenza egiziana e sta completando l’impianto di liquefazione di Damietta da cui il gas potrà essere esportato in Europa via nave. Lo scorso anno Eni ha chiuso con il Ministero del Petrolio egiziano un accordo che già dal 2023 dovrebbe garantire all’Italia 3 miliardi di metri cubi di oro blu all’anno.
Anche di questo parleranno dunque Tajani e Shoukry, perché l’Egitto chiede in cambio tecnologie e supporto per modernizzare la sua struttura produttiva, ancora oggi largamente dipendente dalle importazioni estere.
Il nodo economico è un altro dei temi sul tavolo. L’Egitto, come la Tunisia, è uno dei paesi nordafricani colpiti più duramente dalla crisi scatenata dalla guerra in Ucraina.
L’inflazione sfiora il 20%. La sterlina egiziana, dal marzo scorso, ha perso circa il 50% del suo valore contro il dollaro. Lo stop al turismo dovuto alla pandemia ha svuotato le riserve di valuta pregiata con cui il paese acquista le importazioni alimentari dall’estero. Carichi di beni di prima necessità sono bloccati nei porti perché non ci sono i dollari per pagarli. Basti pensare che l’Egitto è il primo importatore di cereali al mondo e che il pane è alla base della dieta alimentare egiziana.
L’Egitto è il più popoloso paese arabo e uno dei più popolosi dell’Africa, con quasi 105 milioni di abitanti, un terzo dei quali vivono al di sotto della soglia di povertà.
All’Italia, principale partner commerciale europeo del Cairo, Shoukry chiederà sostegno in questa delicata fase dell’economia egiziana, a cui serve aiuto per fronteggiare una situazione senza precedenti e che rischia di provocare un clima di profonda instabilità sociale.